
Edito da Effigie nel 2021 • Pagine: 160 • Compra su Amazon
La Ragazza Melampo è una raccolta sulla singletudine femminile. Undici racconti, di lunghezza diversa (dalla singola cartella alle venti cartelle) con protagoniste donne single, o con l’istinto di single, diverse per età, estrazione sociale e personalità, che vivono, con molteplicità di sentimenti e urgenza di comprendere se stesse attraverso un partner, una contraddizione: da una parte il profondo bisogno dell’altro e dall’altra l’irrinunciabile sincera necessità di svincolarsi dall’ idea e dal giogo dell’amore come ostaggio del rapporto di coppia.La Ragazza Melampo è una raccolta sulla singletudine femminile. Undici racconti, di lunghezza diversa (dalla singola cartella alle venti cartelle) con protagoniste donne single, o con l’istinto di single, diverse per età, estrazione sociale e personalità, che vivono, con molteplicità di sentimenti e urgenza di comprendere se stesse attraverso un partner, una contraddizione: da una parte il profondo bisogno dell’altro e dall’altra l’irrinunciabile sincera necessità di svincolarsi dall’ idea e dal giogo dell’amore come ostaggio del rapporto di coppia.
Il titolo della raccolta prende lo spunto dal cane Melampo di Collodi quando Pinocchio si ritrova a fare il burattino da guardia. Qui una ragazza, poco più che trentenne, in fuga da una relazione dove ha barattato il suo bisogno di stabilità affettiva con i campionati di calcio che ipnotizzano il suo compagno, si ritrova in una mini roulotte a fare la guardiana in un campo per scambisti.
Situazioni a volte comiche - come in Filomena, la donna napoletana e capa con la complusione a controllare la spazzatura differenziata del condominio che fa una corte serrata al ragazzo egiziano delle pulizie, a volte più intense, vedesi Media Vita in cui Linda, cantante in un coro, si ritrova a vivere l’analogia tra il canone a sei parti di cui sa solo l’incipit e il suo modo di vivere le relazioni che non riescono a spingersi oltre la fascinazione dell’inizio - danno vita a piccoli quadri dove la semplice quotidianità ritrova valore declinandosi nella ricchezza di mondi interiori, a volte semplici a volte più complessi, creando l’ampio spettro della caledoscopica realtà femminile.
Il controcanto alle voci femminili è dato da quella dei protagonisti maschili che mostrano a loro volta uno scenario di contraddizioni e fragilità che per condizionamento culturale troppo spesso censurano. Sono a loro volta uomini divisi tra la voglia di esserci e il desiderio di una “sfuggenza” che il mondo femminile legge come “non impegno”, spesso illusi dall’oasi del sesso come roccaforte di libertà, frastornati dall’esclusione del binomio madre-figlio, oppure padri per caso (come Luca, uomo senza canini “con un vuoto nel sorriso e l’assenza del gene predatore”), maschi delusi, feriti, a volte incattiviti da “voi donne che cercate uomini come figli per poi diventarne le badanti.”Tra scenari metropolitani - la città sfondo è Milano -, e di provincia, la geografia del libro è quella comunque di una mappa mutante in cui i territori maschili e femminili rompono e cambiano i confini, avvicinandosi, intrecciandosi e contaminandosi per una comune ricerca di senso dell’esistenza attraverso inquietudini, solitudini, voglia di esserci o anche di non esserci dove nulla sembra essere definitivo eppure necessario.

Siamo in arrivo alla stazione di Roma Termini. TreniItalia vi augura buona permanenza.
Si aggancia lo zaino in spalla, un’occhiata al sedile vuoto. Lì c’era lei ma adesso non è più lei. Gambe di grattacielo, con due falcate è già in fondo alla carrozza. Un bambino piange, la madre continuando a chattare gli schiaffa in mano uno librino di gomma. Lui lo lascia cadere, le figure no, non rimbalzano, e nemmeno il libro. Strillo acuto. Il treno rallenta, frena, riparte. Procede per un po’ con quel singhiozzo che trasforma i binari in una striscia di mare dove, pronti o no, bisogna poi tuffarsi, e nel momento preciso in cui la porta si apre in un espiro liberatorio e il mondo ritorna da linea retta a sfera in tecnicholor, col suo odore di gas di scarico, caffè e le sue voci a pioggia battente, un’immagine le blocca il piede nello stivaletto dark tacco dodici già mezz’aria sulla banchina: “E se fosse zoppo??”
“Scusa, ma l’hai mai fatto?” le aveva chiesto Luca. Una domanda da prima volta. Ovviamente no, non l’aveva mai fatto, ma l’occasione era irrinunciabile: l’amica di una cliente aveva creato casualmente il contatto – non era uno dei soliti tipi rimediati in chat – sarebbero stati duecento euro puliti. Perché no? Un extra vitaminico ogni tanto sarebbe stato utile e dice di sì anche se non ha mai scritto nulla, coi temi se la cavava male, peggio con i riassunti, figuriamoci con un articolo. Come primo pezzo deve fare un’intervista al direttore. Spiegare chi è, cosa fa, perché e come lo fa. La chiama lui, lo chiama lei. La richiama lui, lo richiama lei, la ri-richiama lui. La invita a Roma. E per fare che? E’sposato. E allora proprio per quello. Fatta l’intervista aumentano gli articoli che lui le propone – piccoli pezzi per presentare eventi -, le telefonate pure. E gli sms poi: a qualsiasi ora del giorno e della notte riempono il display di una tenue fluorescenza che si intensifica ad ogni rilettura. Lui c’è. Accende il telefono la mattina e compaiono già due o tre messaggi. “Ciao tesoro, il pensiero di te mi fa male”. “Dove sei cuore mio?” e smielate del genere. Roba che normalmente non avrebbe mai tollerato. Eppure. Gli risponde, ma in inglese, per sviare il suo imbarazzo di fronte al guado della banalità :“You open doors on my inner life no other man can open”. Le prenota un treno e si imbarca per Roma. E’ da sei settimane che vive chattando. Un imbarazzo tra tenerezza, curiosità, eccitazione che la accarezza e la disfa a ondate come fosse una formina di sabbia in riva al mare. Sì, ha anche pensato a un suo trasferimento in zona, lui potrebbe procurarle altre collaborazioni, ovviamente un posto dove stare e una cena di addio agli amici. Alla grande.
“Se sei stanca andiamo in albergo subito.” legge nel messaggio. Minkia. Adesso le cose sono due: o spegnere il cellulare e intrupparsi nella fiumana di gente che lascia il binario per risalire sul primo treno per Milano o andare fino in fondo. Son state settimane in cui tutto è sembrato possibile, cambiare città, cambiare vita, trovare l’uomo giusto sganciandosi da uomini come vuoti a perdere. Ma pensa quanto sono cretina si dice. Lui le ha raccontato la storia più importante della sua vita che non è stata quella con sua moglie. Era con una donna col suo stesso nome, Maria Cleofe. Strano però, è la prima volta che trovo un’altra me, ha pensato mentre lui si accaniva sui particolari di quando poi si è ammalata, di uno di quei mali dove sei condannato fin da subito, e gli è morta tra le braccia. Mentre glielo raccontava lui ha pianto, lei pure e poi l’ha consolato sentendosi la prescelta per farlo. Troppa cultura pulp. Non ha sviluppato gli anticorpi per Love Story, tutti hanno bisogno di una Love Story e si ritrova invischiata.
Appoggia il piede sulla banchina, un senso di barcollamento, troppa altezza, si fosse almeno messa le scarpe da ginnastica. No, ha voluto strafare ed eccola lì ora, uno struzzo a gambe flosce che si fa trascinare dal flusso di folla. Squilla il telefono. “Non ti vedo, fammi un cenno.” le dice E poi si descrive: un paio di occhiali scuri, brizzolato, camicia bianca, altezza media. Adesso, adesso o mai più, Mifi, tira dritto. Accelera, sgomma, vuole sbucare da questa cappa da stazione che la avvolge a placenta tra sbuffi, fischi di treno, gente che saluta, risate adolescenti, valigie con rotolle vanno-vengono-ogni-tanto-si-fermano come le Nuvole della canzone di De Andrè. La sua voce al telefono lontanissima, dietro tutto al resto, magari è rotolato in Sicilia. Le risuonano in testa camicia bianca, brizzolato come un allarme. Vuole individuarlo e poi scansarlo in volata come fa con quei tipi che si piantonano in mezzo alla corsia del supermercato persi nelle offerte tre per due. Altezza media. Se fosse stato alto avrebbe detto alto. Sarà sicuramente un nano. Non evocare il nome di Dio invano. La fiumana di persone si dirama ad altri binari e destini ed eccolo lì, punto di arrivo della sua lunga carrellata, che le sorride tutto labbra e lingua da Bull Dog inglese. Cristo Santo. Molto peggio di come se l’era immaginato. Ma come ho potuto?? Basso, grasso, incapsulato in un completo antracite di una taglia fa, camicia bianca sì, ma aperta, da cui esce un villo spaventoso e una catena d’oro a maglie pesantissime. Scarpe marroni con leggero rialzo, occhiale a goccia marrone sfumato. Uno di quei personaggi da parodia della parodia, un B movie con una vaga idea de I Sopranos ma con chiari riferimenti a Leone di Lernia. E il marrone è un colore che Maria Cleofe, detta Mifi, non tollera. Neanche la saluta. Sorride, per un attimo l’espressione un po’sorpresa e poi subito dilatata di chi sa che incasserà il Gratta e Vinci.
“Allora, vuoi andare in albergo?” le fa.
Comincia il wrestiling da week end.
E io dovrei condividere la stanza d’albergo con questo qua? Cribbio. Ma che bel casino. Ben mi sta a non farmi mandare delle foto prima. Si mette off line. Sente una voce che non riconosce come propria mentre racconta del viaggio. Il posto sì era comodo, ah, il volo era completo? Ma va, non ti disturbare, per la prossima volta vediamo – ma quale prossima volta??- no, niente vagone ristorante, non mangio mai in treno e poi ho dormito e poi ti ho pensato. Il passo sul tacco dodici buca l’asfalto, spera in una voragine che l’inghiotta prima di arrivare alla sua auto. Fa testa di civetta ruotandola a destra e a sinistra, se potesse anche dietro, per trovare spunti di distrazione mentre lui non le stacca gli occhi di dosso. Sbavoso com’è.
“Ah, Roma …” butta là Mifi, tanto per dire. Ma fuori dalla stazione l’aria è diversa davvero e lei si sente come se fosse improvvisamente guarita da quella lieve miopia che le dà uno sguardo vacuo sulle cose che invece dovrebbe mettere a fuoco. Come questa per cui ormai è tardi tornare indietro.
“Er Ponentino.” ribatte lui calcando l’accento romano con la spigliatezza di chi gioca in casa.
Una Mercedes infinita col sapore di plastica. L’ha noleggiata. Le cerca la mano guidando mentre Roma scorre ai lati, da Villa Borghese a Piazza Navona, facendole occhi a panoramica, coi suoi pini ad ombrello aperti a sostenere il cielo su tanta bellezza.
“Ma sei un metalmeccanico?” le fa ridendo. La vuole rivestire da capo a piedi e la porta in via Condotti. Mifi veste sempre di nero perché è più facile abbinare il tutto. E non deve lavare le cose dopo mezza volta che le ha usate. Il negozio è un viaggio nel colore. Che trip alla Klee. La cattura una casacca turchese, non starebbe male con gli infiniti pantaloni scuri che aspettano il turno di libera uscita dall’armadio. Ma paga lui e sceglie lui. Dopo varie occhiate in cui la spoglia e la riveste con gli abiti esposti in vetrina opta per un completo in seta grezza color giallo arancio. Le dice di indossarlo subito. Perfetto. Come la bandiera di qualità turistico-ambientale del Touring. Scarpe di vernice beige, tacco medio, niente roba punk nemmeno di taglio chic, borsa- borsa!- in tinta. Bleah. La commessa le porge una sacca a bauletto cartonata per riporre i suoi jeans e il resto, che lei però ficca, stivaletti compresi, nello zaino. La porta a mangiare a Ostia . Mifi dice che vorrebbe vedere dove hanno ucciso Pasolini, lui replica, e senza troppo tergiversare, che ha prenotato per le otto. Magari dopo. Ma figurarsi, che gliene frega a questo qua. Mangiano a Ostia Lido. Neanche Ostia Antica. Aria salmastra, traffico del porto, ristorantone di lusso travestito da trattoria rustica spella turisti.
“Coda alla vaccinara?” fa lui sistemandosi l’enorme tovagliolo a triangolo sulla camicia. Se vuoi che ti vomiti nel bicchiere.
”Sono vegetariana.” replica lei roteando gli occhi in cerca della toilette.
“Una coda di rospo allora, qua è speciale.” riprende alzando un braccio con indice puntato su un cameriere.
Fissato con le code. Deve avere un problema di erezione.
“Va benissimo un’insalata.” fa lei estraendo il cellulare come una colt.
“Ma scusa, vieni a Roma per mangiare un’insalata?”
Sul perché ha accettato l’invito a Roma decidendo anche di rimanere ce ne sarebbe da dire. Si prende un break fuori round e va in bagno. Nessun sms da Luca. Che cavolo fa a Londra. Ben ti sta.Così impari a scopare da ubriaco. Amici di sesso, poi solo amici, poi solo amanti, poi qualcosa che non si è capito, poi ha messo incinta una che è una grafica londinese con l’occhio lungo: lei il lavoro ce l’ha in Inghilterra, ed è anche lanciata, non vuole un uomo tra i piedi, ma una base in Italia e un padre generoso con la figlia e Luca che ha soffocato ambizioni e talenti e ha appena finito di pagarsi il mutuo si fa tirar dentro dalla storia ed eccolo a fare il baby sitter di sua figlia nel quartiere di Acton. Nella sua casa a Milano ha dovuto eliminare il letto a barca per l’angolo della figlia. Un letto assurdo,costruito sul modello di un drakkar vichingo all’interno della camera. Per toglierlo ha dovuto smontarlo pezzo a pezzo. L’ha messo in regalo su Ebay. Non ha voluto neanche venderlo perchè i sogni non si comprano.
Luca, dove sei?. Con lui poteva essere la Storia. E forse in qualche modo lo è. Amicizia, cataclisma erotico, this is the end a cuore aperto per l’ennesimo by pass. L’ha inquadrato subito da come si è seduto in poltrona, con il suo viso a cui mancava qualcosa, un Apollo dell’Omphalos senza naso, che lo faceva sembrare un buono per difetto. All’epoca aveva una storia con una ventenne, una di quelle aspiranti designer con una visione della realtà del particolare a prescindere. Con una fissazione da mesi per gli sgabelli ergonomici da sushi e che da lui si faceva accompagnare a mostre, inaugurazioni, vernissage, fedele a una ferrea strategia di happy hour con creativi in carriera, con la paura che lo scambiassero per suo padre che i denti li aveva ancora tutti. A Luca invece mancavano i canini. Un’ agenesia ereditaria, un’ “ontogenesi con un intoppo evolutivo che non è arrivata all’Australopitecus” gli diceva ogni tanto la ventenne ridendo. Ma quel vuoto nel sorriso, che le dava l’idea di una totale assenza del gene predatore, le garantiva un trampolino d’affetto da cui tuffarsi … esplorazioni.

Come è nata l’idea di questo libro?
Da sempre nei miei libri indago la complessità femminile. Leggendo blog, articoli, ascoltando i fatti di cronaca ho trovato il filone per dare un comune denominatore a racconti sulla singletudine. Le donne sono sempre divise tra bisogno di appartenenza e indipendenza, percorrono labirinti affettivi che spesso sono il preludio a situazioni più drammatiche.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
In realtà non è stato complesso concluderlo: c’è sempre un momento in cui il libro si separa da noi. È stata comunque una scrittura durata diversi anni.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
La fortezza della solitudine di Jonathan Lethem è il mio libro preferito, i miei autori di riferimento sono comunque Lucia Berlin, Laura pariani, Alice Munro, Joyce Carol Oates, Margaret Attwood, David Foster Wallace.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo in appennino modenese in mezzo alla natura, ma ho vissuto a lungo a Milano, ogni tanto ci torno, una parte del mio cuore è d’ “asfalto”.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Ho tanti inediti per piccoli lettori da curare, in particolare i racconti sonori in due lingue che ho già iniziato a pubblicare in Audible.
Lascia un commento