
Edito da RAFFAELE RINALDI nel 2021 • Pagine: 355 • Compra su Amazon
Qual è il modo migliore perché un giovane sulla soglia dell’età adulta si appassioni alla lettura della Divina Commedia? L’analisi di un testo così difficile non sembra costituire certo la sua attrattiva maggiore. Ma è davvero così?
È la domanda che Giorgio, anziano professore in pensione, e sua moglie Mariella si sono posti quando hanno invitato il giovane Filippo a discutere proprio di questa grande Opera, tra i cui pregi c’è senza dubbio anche quello di costituire un punto d’incontro per generazioni in apparenza distanti fra loro. Il ragazzo dal canto suo, sebbene in un primo momento scettico sulla reale utilità dell’incontro e restio a prestarsi a questa sorta di esperimento, si lascerà poi coinvolgere, appassionandosi. Scoprirà di dover rivedere gran parte delle sue conoscenze in merito all’architettura dei Regni ultramondani che credeva ormai assodate, come le dimensioni della Voragine infernale, la posizione del Monte del Purgatorio o la sua reale forma. Ne scaturisce un singolare dialogo, durante il quale i partecipanti non mancheranno di mettere a nudo anche gli aspetti salienti della propria personalità.
Fanno da sfondo gli endecasillabi danteschi con i loro segreti, i loro significati nascosti che il Poeta, con il suo parlar coverto, invita a ricercare.

A dire il vero non aveva ben capito per quale ragione i suoi genitori avessero insistito tanto. E a questo punto non sembrava importargli poi molto. Anche se il suo entusiasmo non era di certo alle stelle, aveva accettato quella singolare richiesta e tanto bastava.
Avrebbe dovuto trascorrere qualche ora del suo preziosissimo tempo con un perfetto sconosciuto, fargli compagnia per un pomeriggio o due, scambiare con lui qualche parola e niente più. Tutto sommato non era poi la fine del mondo. Forse i genitori conoscevano quell’uomo, poteva essere un’amicizia di vecchia data, e avevano pensato che potesse essergli in qualche modo utile. Chi poteva dirlo? Non li capiva sempre; le scelte che facevano, e che lo riguardavano, erano il più delle volte senza una ragione apparente.
Certo, non si può dire che si limitasse a subire le direttive: al pari di ogni buon adolescente che si rispetti, cercava di opporsi come meglio poteva a ciò che i suoi gli imponevano. In questo specifico caso, non avendo trovato validi motivi, si era lasciato coinvolgere, forse anche spinto da una certa curiosità, un sentimento che poteva definire latente e che non riusciva a focalizzare appieno. Quasi d’istinto percepiva che qualcosa di buono e di positivo poteva scaturire da quell’incontro al buio.
Dritto davanti a quel vecchio portone, il ragazzo fissava il campanello rimuginando fra sé questi pensieri. Si sarebbe potuto tirare indietro all’ultimo momento, inventare una qualsiasi scusa, non sarebbe stata di certo né la prima né l’ultima.
Una vocina continuava a sussurrargli di non farlo, ma di seguire le indicazioni dei suoi.
Senza ulteriore indugio si decise a suonare. La persona che venne ad aprirgli sulle prime non fece al giovane un’impressione particolare: era un uomo sulla settantina, forse più, stempiato, di corporatura media, solo un po’ curvo. Il peso degli anni, il troppo lavoro, il troppo studio? Un paio di occhiali sottili portati quasi con noncuranza sulla punta del naso incorniciavano un volto rugoso ma gioviale. I lineamenti erano tondeggianti, li si sarebbe visti sul viso di un nonno affabile pronto a consolare un nipotino appena sgridato da genitori troppo zelanti.
Sotto folte sopracciglia grigie brillavano due occhi dalla pupilla ancora viva che avrebbero potuto scrutare dentro l’animo di chiunque.
Appena vide il ragazzo sulla soglia, gli rivolse un sorriso cordiale, quasi lo avesse riconosciuto dopo tanto tempo, come se lo stesse aspettando da sempre. L’espressione che si dipinse sul viso dell’anziano fu così eloquente da indurre il giovane a fare la prima mossa, ma il suo atteggiamento fu più che altro impacciato.
Aveva cercato di apparire adulto ma finì per sembrare ancora più infantile.
«Salve, io sono Filippo» esordì il giovane.
L’anziano gli rivolse un caloroso sorriso di benvenuto: «I tuoi genitori mi hanno detto che saresti passato. Ti stavo aspettando.» Porgendogli la mano si presentò a sua volta. «Molto piacere, io sono Giorgio. Prego; accomodati» e gli fece cenno di entrare.
Più che un’abitazione, e di un anziano per giunta, sembrava una libreria. Ciò che colpì il ragazzo fu l’enorme quantità di libri che vide appena ebbe varcato la soglia. Ce n’erano su tutti gli scaffali dei mobili ai lati del piccolo ingresso, quasi fossero stati messi lì ad accogliere gli appassionati di lettura e a respingere tutti gli altri. Era come se quei volumi costituissero le pareti stesse del corridoio.
Giorgio, facendo finta di non accorgersi dello stupore di Filippo, fece strada verso un salottino arredato con cura ed eleganza in cui, c’era da aspettarselo, non mancavano libri, sugli scaffali e alle pareti, mentre al centro erano disposte due poltrone. Se non fossero state in quella posizione da sempre, il ragazzo avrebbe giurato che fossero state disposte così in previsione di quell’incontro.
Di poco discoste l’una dall’altra, erano separate da un tavolinetto da the su cui erano appoggiati alcuni volumi.
L’anziano si sedette invitando il suo ospite a fare altrettanto, e quando si furono trovati entrambi l’uno di fronte all’altro egli, che era un ottimo conoscitore dell’animo umano in tutte le sue sfaccettature, posò sul ragazzo uno sguardo indagatore ma carico di quella curiosità sincera e mai fastidiosa che può nutrire un ricercatore di fronte a un fenomeno nuovo e a lungo atteso.
La sua espressione era amichevole e questo non fece sentire Filippo in imbarazzo ma anzi lo indusse ad aprirsi e a rivolgergli la parola.
«Vedo che le piace leggere…» disse percorrendo con lo sguardo le pareti di quella stanza.
«Sì, non posso negarlo…» rispose l’anziano signore con un sorriso compiaciuto.
«E a te piace?» chiese di rimando.
«Anche a me, sì.»
«Mi fa davvero piacere. Che genere di libri leggi?» domandò Giorgio, senza distogliere lo sguardo dal viso del suo interlocutore.
«Leggo un po’ di tutto, a dire il vero. Più che altro romanzi d’avventura, di viaggio, ecco.»
La risposta ebbe l’effetto di illuminare se possibile ancor di più gli occhi dell’uomo: «Interessante! Ce ne sono alcuni che ti sono piaciuti più di altri?»
Filippo non seppe dire se quella battuta fosse stata pronunciata per farlo sentire un po’ più a suo agio o se dettata da una viva curiosità per quel particolare genere di romanzi. L’aver subito trovato un punto di intesa e di conversazione così presto non gli dispiacque invogliandolo ad approfondire.
«I romanzi di Verne, ad esempio, ma anche titoli più recenti come Nelle terre estreme, sa, quel tipo che intraprende un viaggio verso il Grande Nord lasciandosi la civiltà alle spalle… Un grande, davvero!»
L’espressione sul volto dell’uomo tradiva una certa riluttanza a considerare personaggi di questo genere dei grandi e non cercò di farne mistero. Che il giovane se ne fosse accorto oppure no, sembrava non importargli. Dal canto suo pensava che fossero altre le persone alle quali rivolgere un tale appellativo.
«Personalmente preferisco viaggi più introspettivi, che cerchino di scandagliare l’animo umano, di scoprire cosa si nasconde nelle sue profondità. Mi affascinano gli autori che pongono al centro dei loro scritti quel mare di emozioni che si agita in ciascuno di noi.»
Quell’uomo singolare aveva gettato un sasso nello stagno: sul suo viso gli poteva leggere un leggero stupore. Attese che quel pensiero, fatto ad alta voce quasi fra sé e sé, sortisse l’effetto desiderato.
«Detta così sembra interessante, anche più di quanto abbia immaginato» replicò Filippo «forse, se mi fa qualche esempio, capirò meglio a chi si riferisce.»
«Conoscerai sicuramente la poesia e in particolare la poesia di Dante Alighieri» esordì secco l’anziano.
«E chi non la conosce!? Certo!»
Il ragazzo non si sarebbe mai aspettato di dover affrontare un discorso su un argomento così poco accessibile, ma quell’uomo sembrava più che mai interessato a proseguire. Dopo tutto aveva comunque studiato quella materia in classe e, nonostante non si potesse definire un appassionato, aveva sempre riportato risultati più che soddisfacenti alle interrogazioni o nelle verifiche. Sì, sarebbe stato senza dubbio in grado di sostenere la conversazione.
Mentre lo sguardo di Giorgio sembrò cercare un punto lontano sul quale fissarsi, nei suoi occhi brillò una luce più intensa, a preludio di ciò che stava per dire, quasi che le parole scaturissero da quella scintilla. Quel pensiero sembrava avesse atteso da chissà quanto tempo l’occasione giusta per poter essere espresso.
«Comporre versi immortali in grado di oltrepassare indenni i secoli senza perdere nulla della loro forza e del loro vigore iniziali è sublime; se a questo si aggiunge la facoltà di contemplare orizzonti temporali vastissimi, diventa genio incomparabile.»
Il ragazzo continuò a fissarlo, rendendosi conto che non sarebbe stato un viaggio facile come aveva preventivato. Ma si stupì nell’accorgersi che questo non lo spaventava affatto. Capendo che non aveva terminato il suo pensiero, attese che quell’uomo continuasse.
Ed egli, dopo un breve intervallo che sembrò concedere più a se stesso che ad altri, riprese. «Nessuno può negare alla poesia di Dante la capacità di tendere a quel senso di eternità che, se non si può raggiungere, di certo si intuisce, e che noi lettori siamo indotti a cercare.»
«Se dice così, a me sembra che il viaggio non sia introspettivo quanto piuttosto fuori di noi.»
«La Divina Commedia» disse tornando a fissare lo sguardo sul giovane «induce proprio alla ricerca del Sommo Bene quale fine ultimo verso cui deve tendere l’uomo e che racchiude in sé l’essenza dell’immortalità. Crediamo di doverlo ricercare al di fuori di noi, seguendo il Pellegrino attraverso il suo viaggio nei regni ultramondani, per scoprire di poterlo trovare dentro noi stessi.»
«Eppure Dante compie il suo viaggio immaginifico in luoghi lontani, lontanissimi direi. Dov’è questa introspezione?» si sentì di obiettare Filippo.
«A ben guardare» disse il padrone di casa «l’intero itinerario si riduce proprio a questo: a un’introspezione e a un’analisi delle nostre emozioni, del senso che diamo alla nostra esistenza e all’importanza che riteniamo possa avere il tempo che ci viene concesso.»
Quando si è giovani non capita spesso di essere riportati a una dimensione in cui occorre compiere valutazioni di questo genere. Conteggiare il tempo a disposizione di ciascuno è affare di coloro che hanno già vissuto gran parte del proprio.
«Se il tempo della narrazione diventa specchio del nostro tempo, se questo filo conduttore, lungo il quale le vicende descritte si snodano, diviene guida e ci conduce verso la contemplazione del Sommo Bene, allora il nostro peregrinare sulle orme del grande Poeta deve prendere le mosse proprio dall’indagare la dimensione temporale dell’Opera.»
L’analisi della Divina Commedia non era mai stata posta in questi termini al giovane che si sentì invogliato a seguire il suo nuovo amico. Iniziava a nutrire un certo fascino nei suoi confronti, non poteva negarlo. Si augurò che continuasse nei suoi ragionamenti.
«Fondamentale risulta dunque approfondire questa nozione la quale, se si presta la dovuta attenzione, consente, non solo di avventurarsi con passo sicuro lungo il cammino tracciato dall’Alighieri senza il rischio di smarrirsi, ma permette anche di dare una connotazione precisa e concreta allo svolgersi delle vicende narrate negli endecasillabi danteschi.»
«Perché dovremmo prenderci la briga di dare tanta importanza a vicende che sappiamo essere per lo più inventate?» chiese il giovane con viva partecipazione.
«Lo studio del rapporto che Dante ha con il tempo è necessario per arrivare a comprendere appieno il significato dei suoi messaggi. Se si prescinde dalle coordinate temporali che il Poeta assegna alle vicende narrate per dar loro concretezza storica, e di rimando credibilità agli occhi del lettore, si rischia di perdere di vista il senso profondo che tali esempi possono suggerire.»
«Mi faccia un esempio, allora» lo incalzò.
L’anziano, vedendo che quel ragazzo si era dimostrato più interessato di quanto egli stesso si sarebbe aspettato, si alzò e andò a prendere da uno scaffale un grosso volume finemente rilegato.
Era una vecchia edizione della Divina Commedia, ma tenuta con estrema cura. L’appoggiò sulle ginocchia e l’aprì.
«Ne basti uno su tutti» rispose l’anziano «a riprova di quanto proposto:
Nel mezzo del cammin di nostra vita
Inf I, v. 1
«Come vedi l’inizio del poema è indicazione di tempo, prima che di qualsiasi altra. La voce narrante non fa riferimento al dove, al perché o al come. Questi aspetti si scopriranno in seguito insieme ad altri, ma a qual è il momento in cui si svolge l’azione. Si vuole intendere qui che il viaggio nei regni ultramondani ha luogo in un preciso momento storico.»

Come è nata l’idea di questo libro?
Inizialmente avevo solo intenzione di documentarmi il più possibile sulla Divina Commedia, leggendo autori che, in particolare, avessero affrontato l’argomento secondo altri schemi, cercando chiavi nascoste, significati finora non scoperti. Sono andato allora alla ricerca di quante più letture fuori dall’ordinario fosse possibile: fui per questo affascinato dagli aspetti eterodossi legati alla Divina Commedia. In queste ricerche, in un primo momento fini a se stesse, ho iniziato a intravedere un disegno sempre più completo che si andava formando e che riguardava in particolare quello che poi è diventato l’argomento centrale del libro. Per rispondere alla domanda: il libro è nato dal tentativo di riassumere in un disegno organico e completo tutte le nozioni che avevo avuto modo di raccogliere nelle mie ricerche.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
La difficoltà maggiore non è stata tanto nel portarlo a termine, dal momento che le nozioni erano tutto sommato chiare nella mia mente; il problema fondamentale è stato rendere la serie infinita di concetti che volevo esprimere in una forma accessibile e chiara. La prima stesura è risultata abbastanza criptica, per cui, seguendo il consiglio di alcuni amici, ho pensato di addolcirne il linguaggio passando alla forma del dialogo. Certamente questo espediente mi avrebbe permesso di spiegare meglio i passaggi più ostici e indugiare in dettagli che avrebbero agevolato la lettura; la difficoltà da parte mia stava però nel fatto che il dialogo doveva essere reso piacevole da leggere e non piatto. I personaggi dovevano presentare una sorta di personalità, dovevano dimostrare spessore e così via. Quindi da una parte avevo la necessità di esprimere e riportare i concetti legati agli studi condotti, dall’altra dovevo rendere per così dire il dialogo e i personaggi credibili.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Devo dire di aver letto gli studi di numerosissimi autori, ma quelli che posso considerare dei punti di riferimento sono certamente Maria Soresina, Luigi Valli, Chiara Dainelli, A.M. Leonardi Chiavacci, per citare i più importanti.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Originario di un paesino in provincia di Rieti, attualmente vivo a Torino; dopo aver studiato all’Università de L’Aquila, alla facoltà di Ingegneria Meccanica, ho deciso di trasferirmi nel capoluogo piemontese per iscrivermi al Politecnico e conseguire la specialistica in Ingegneria Aerospaziale.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Nel tentativo di non appesantire in modo esagerato il libro, già di per sé complesso e denso di concetti, ho omesso diversi dettagli, presenti comunque nella Divina Commedia. In futuro potrei decidere di integrarli in una eventuale seconda edizione, che includa un approfondimento di alcuni aspetti e che ne riporti altri, al momento non trattati.
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