Edito da Dario Vergari nel 2017 • Pagine: 343 • Compra su Amazon
Il nuovo Avvento di Dio sulla terra non è proprio come potreste aspettarvelo.
Stanco di un mondo imperfetto e di essere bombardato ogni giorno da notizie di violenza e orrori il giovane musicista Drago Ozelot, nel tentativo di creare bellezza e amore, inventa il Devil, [Dispositivo Emozionale Variabile Intra Limbico], congegno che altera la percezione della realtà in chi ne viene colpito.
Dopo aver spodestato dal Vaticano il suo legittimo occupante, attraverso il Devil e le Riunioni televisive Drago ipnotizzerà la popolazione mondiale, incarnerà il nuovo Dio Senzanome e plasmerà il mondo a sua immagine e somiglianza imponendo all’umanità i nuovi comandamenti, costringendola a essere felice e a vivere in pace e letizia nei secoli dei secoli.
Dopo il Secondo Avvento il mondo nel quale è iniziata questa storia si era capovolto. La scomparsa, o per meglio dire, l’annientamento dell’avidità, aveva lasciato libero un fiume di ricchezza che veniva spontaneamente diviso e ridistribuito, l’imperativo di amare era divenuto più forte dell’istinto di accaparrare. Ci furono in effetti dei problemi con quelli che, non avendo subito l’effetto God, non avevano la minima intenzione di condividere alcunché con chicchessia.
Alcuni grandi industriali in viaggio d’affari all’estero fecero rientro in un paese impazzito. Amministratori delegati che avevano rinunciato a stipendi da favola per devolverne la maggior parte in beneficenza, la loro casa piena di sconosciuti che venivano accolti con premura dalla loro famiglia, il garage svuotato, avevano trovato una gigantesca orgia di collettivismo bolscevico.
La Chiesa e le gerarchie ecclesiastiche per la maggior parte non furono colpite dal Devil. BXVI era in viaggio all’estero quando gli riferirono di quanto succedeva in Italia. Una strana ansia correva lungo i corridoi, la sensazione che se ‘Lui’ fosse tornato forse non sarebbe stato tanto contento di ciò che avrebbe trovato dentro le mura Vaticane.
Alcuni giorni dopo l’evento, una volta ricostituita una parvenza d’ordine, le autorità rimaste indenni riguardarono rassegnate più volte la registrazione del concerto. C’era stato uno strano momento durante il concerto, all’improvviso il pubblico si era ammutolito. Era successo quando il cantante di uno dei gruppi della serata aveva pronunciato le parole “io sono qui per voi”, la piazza si era improvvisamente azzittita, le registrazioni mostravano migliaia di persone in completo silenzio. Poi quello che sembrava uno dei tanti sciagurati con cui avevano a che fare ogni giorno aveva detto ‘amatevi’, quindi aveva mimato qualcosa di buffo e fatto partire la registrazione di una vecchia canzone dei Beatles e la gente aveva ricominciato a ballare. Niente di particolarmente strano, specialmente per un concerto rock, le solite frasi da improbabili messia che molti musicisti parevano divertirsi ad impersonare. Niente di evidente, niente di concreto, non avevano in mano niente di tangibile.
Si era pensato ad un attacco chimico terrorista, all’avvelenamento delle falde acquifere, ma niente poteva spiegare l’estensione e la portata del fenomeno. Si dovettero sospendere per qualche giorno i voli che lasciavano scie nei cieli dopo l’aumento delle pressioni e delle proteste dei gruppi che da anni affermavano che le scie rilasciavano sostanze chimiche, ovviamente, per avvelenare la gente. La CNN aveva dato notizia di un inspiegabile sindrome di massa in Italia. Con accenti folcloristici i reporter avevano dipinto un paese pervaso da un estasi mistica, già arrivavano da tutto il mondo inviati straordinari per monitorare quella storia incredibile.
Diossido si aggirava per le vie con il dispositivo antidevil ben stretto in mano – ci tengo al tuo cervello – gli aveva detto Mirko spiegandogli come usarlo. Il disorientamento nelle strade era totale. Le persone che non erano state esposte all’effetto God non capivano il motivo di tanta eccitazione, li vedeva girovagare cercando di capire la ragione per cui ovunque c’era gente che ballava o faceva cose strane. Se chiedevano a qualcuno cos’era successo si ritrovavano ad essere abbracciati e baciati da perfetti sconosciuti senza peraltro ricevere spiegazioni sensate o comprensibili.
Da un rapido calcolo a occhio Camillo stimò che più della metà della popolazione fosse stata colpita. L’idea di quel bastardo era stata al solito semplice e geniale, un veloce collegamento con il concerto del I Maggio veniva sempre trasmesso anche nei telegiornali all’ora di cena. Così aveva colpito non solo gli ascoltatori interessati a quella serata, ma anche tutti quelli che all’ora di cena guardavano il telegiornale, ed erano davvero tanti, senza contare gli ascoltatori radiofonici, gli avventori dei bar e tutti coloro che per un motivo o per l’altro pur non essendo spettatori diretti ne erano comunque rimasti coinvolti in qualche modo. Non pensava che sarebbe successo così tanto in così poco tempo, sarebbe bastato un altro passettino per finire il lavoro, e lui non poteva fare niente, tranne pensare a come fermare quella follia.
Mirko saltellava su e giù dalle pietre miliari, camminava lungo il bordo del marciapiede con le braccia aperte ad ala, la gente lo guardava, tutti si prostravano, solo qualcuno aveva il coraggio di sbirciarlo con la coda dell’occhio quando si allontanava, lui si girava di scatto per sorprenderli ridendo poi a crepapelle della loro reazione spaventata. Arrivò in una grande piazza, c’era una bella fontana ed era un giorno caldo, pazienza se non era quella di Trevi, l’acqua era azzurra e pulita, troppo invitante. Mentre si dirigeva verso la fontana le persone nella piazza si inginocchiavano vedendolo arrivare. Appoggiò una mano al bordo di marmo e saltò nell’acqua che gli arrivava alle ginocchia. Urlò di sorpresa quando si accorse che anche sotto il sole caldo l’acqua era rimasta gelida, poi vide che tutti avevano appoggiato la fronte a terra al suo grido, poveracci, facevano quasi pena.
“Hey non voglio mica farvi male!”
Le fronti si alzarono di qualche millimetro.
“Dai, perché questa paura? Vi sembro pericoloso?” disse indicandosi i vestiti fradici.
“Perdonami Signore perché ho peccato” disse una voce confusa tra le teste chine.
“Anch’io ho peccato!” replicò un’altra. Presto ci fu un coro di autoaccusazioni mormorate a testa bassa.
“Ma sì dai, cos’avrete mai fatto, sentiamo, tu con la maglietta azzurra, vieni qui e raccontami, dico a te biondino, alza la testa.”
Una chioma platinata si sentì obbligata a obbedire, il ragazzo cui apparteneva andò verso quella luce luminosa nella fontana che stava parlando proprio con lui, o forse era un roveto ardente, teneva gli occhi bassi non ne era sicuro. Si avvicinò alla luce e disse alcune frasi a bassa voce, nessuno dei presenti doveva udire le parole, la vergogna era troppo pesante. Si preparò a ricevere la sua punizione.
La folla prostrata udì il Dio scoppiare a ridere, poi disse qualcosa nell’orecchio del ragazzo e gli ordinò di andare in pace continuando a ridacchiare.
“Dai adesso vediamo…” dalla postura di quei corpi spaventati capiva chi era più o meno afflitto da sensi di colpa, rannicchiati su loro stessi sarebbero implosi se avessero potuto, pur di non farsi vedere, “…a chi tocca…”, fece danzare l’indice sui deretani, “…tocca a…” si fermò su “quel chiappone che cerca di nascondersi dietro la panchina!”
La montagna di carne traballò un attimo, ma una volta erettasi e messasi in cammino si diresse decisa verso quell’essere da cui emanava un alone che sembrava racchiudere in sé le stelle e l’universo. Raccontami, gli disse prendendo forma umana, assomigliava al personaggio di una riproduzione degli affreschi di Pompei che era appesa a casa sua, capì che aveva assunto quella forma per metterlo a proprio agio. L’uomo mise le mani attorno alla bocca e iniziò a parlare, parlò a lungo mentre la piazza taceva. Mentre raccontava si asciugò diverse volte le labbra con un fazzolettino, alla fine non aveva più saliva di una duna del Sahara ma si rammentò del nome del personaggio del dipinto, non aveva con sé quel buffo flauto ma era certissimo che fosse proprio lui.
Terminato il racconto ci fu silenzio per un tempo che lo fece sudare non poco, poi il dio Pan disse “ohibò, davvero? Davvero si fanno queste cose? Questo non lo sapevo. Insomma però non dovresti farlo più. Come cazzo vi viene in mente? Ma sì, vai, vai vai anche tu, che oggi mi sento buono” gli diede un buffetto sulla guancia cadente, “ma non provarci più!” coglione, pensò, poi stirandosi la schiena e allungando le braccia guardò ancora le pecorelle smarrite. “Una” disse, “ancora una confessione, poi me ne vado. Chi vuole venire? Nessun volontario?”
Solo una testa si mosse esitante, si guardò attorno di sottecchi come per accertarsi che nessuno dei presenti lo conoscesse, poi osservando il Dio che con le dita gli faceva cenno di avvicinarsi si alzò e lo raggiunse. Non riusciva a vedergli le gambe, erano immerse in una nuvola di fumo ma quel viso triangolare, il corpo possente e soprattutto le corna bovine gli incutevano terrore, solo dopo che la divinità disse raggiungimi gli fu possibile avanzare fino a lui. Non capiva perché tenesse un fagotto fra le braccia reggendolo come si regge un neonato. Parla, gli ordinò ,e lui parlò.
Mirko stava già pensando al gelato che si sarebbe mangiato di lì a poco, magari dopo essersi cambiato i vestiti fradici, quando qualcosa nel discorso dell’uomo lo riportò al presente. Gli chiese di ripetere, poi fissando l’uomo che a capo chino parlava con voce rauca non parlò più fino alla fine del discorso. Stringeva con le mani un tubo di metallo, le dita si serravano con maggior forza al procedere del racconto. Si sarebbe potuto temere che gli schizzassero le nocche fuori dalla pelle per quanto erano tese. L’uomo aveva appena terminato di raccontare una storia a cui faceva fatica a credere quando si accorse con orrore che ne aveva già iniziata un’altra. “Stop!” urlò.
L’uomo colto di sorpresa lo guardò negli occhi e subito si portò una mano davanti al volto per difendersi.
“Questa è la cosa più… maledettamente schifosa che ho mai sentito!” il grido riecheggiò nella piazza, “ho la nausea, mi fai venire da vomitare cazzo… tu, e quelli come te, dovete morire! Capito? Crepare!”
L’uomo indietreggiò di scatto, inciampò e cadde all’indietro sbattendo la schiena sul selciato, si rigirò aiutandosi con le mani, cercò di alzarsi e correre, non fece un altro passo che inciampò sui suoi stessi piedi e volò verso lo spigolo di una fioriera di cemento colpendola con una spalla, l’urto lo fece rimbalzare contro una bicicletta legata ad un palo. Il braccio destro attraversò la ruota posteriore della bici, purtroppo la mano non si infilò nei varchi tra i robusti raggi in acciaio ma questi penetrarono fra le dita divaricate aprendo uno squarcio dolorosissimo nelle carni fra il medio e l’anulare. L’urlo che ne seguì si spense solo quando la bicicletta, piegandosi su sé stessa sotto l’urto, si girò, e il manubrio colpì con la leva del freno l’orbita sinistra dell’uomo che emise un rantolo roco e dopo un breve guizzo tacque immobile.
Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea di questo racconto è nata durante una riunione con vecchi amici della mia adolescenza, riguardandoci a cena attorno allo stesso tavolo, dopo tanti anni in cui la vita e i suoi riti ci avevano separato, mi sono chiesto chi eravamo diventati e cosa invece avremmo fatto se da giovani avessimo avuto il potere di realizzare i nostri sogni. Il racconto ha presto preso una piega che non mi aspettavo e non mi è rimasto altro da fare se non seguire con gli occhi della mente i protagonisti e descriverne azioni e pensieri.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Portare a termine la stesura del romanzo è stato come guardare un film e rappresentare con parole le immagini che si susseguivano sullo schermo della mia fantasia. Mi sono divertito nell’immaginare questa storia che è esplicativa del modo in cui vedo le cose.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
I più importanti fra gli scrittori che amo e che hanno influenzato il mio modo di scrivere sono: Hermann Hesse, Chuck Palahniuck, Stephen King, Ray Bradbury, Umberto Eco, Jack London, John Niven.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nato a Pesaro, nella terra di mezzo fra Romagna e Marche. Ho passato alcuni anni viaggiando per il mondo. Ora abito a Milano, ma ho lo sguardo rivolto altrove.
Dal punto di vista letterario, quali sono i vostri progetti per il futuro?
Ho appena terminato di scrivere il mio nuovo libro: PhoeniX. È un romanzo storico ambientato nel futuro. Racconta la storia del ritorno dell’uomo sulla Luna e della sua colonizzazione sullo sfondo di un pianeta Terra devastato dalle guerre atomiche e governato dal Popolo dei Libri, una teocrazia formata da rappresentanti delle tre religioni monoteiste.
Lascia un commento