Edito da Gruppo Albatros il Filo nel 2020 • Pagine: 761 • Compra su Amazon
Draghi, Precursori, Potere… poco più che leggende da raccontare davanti al fuoco. Così Passava le sue serate alla taverna il vecchio Amos, in uno sperduto borgo dell’Isola del Nord, rivangando le storie di un passato misterioso e ormai dimenticato. Una notte il Dono sopito dell’anziano si risveglia e gli fa avere una visione foriera di catastrofe. Nonostante i suoi tentativi di persuasione i compaesani lo bollano come folle, ma dovranno ricredersi. Ad Amos non resta che partire alla ricerca dei vecchi compagni, i Guardiani del Potere, un gruppo di ribelli che si oppone all’impero. Amori, guerre, vendette tesseranno gli orditi di questa avvincente avventura. Forze arcane si stanno risvegliando: nell’isola di Rollster Xirthain la Spezza Anime è tornata dal suo esilio, liberata da Ragnar, erede del casato locale deposto dall’impero. La mitica spada, forgiata dai Precursori per combattere i draghi, renderà l’uomo invincibile, ma il prezzo richiesto dall’arma sarà la sua anima. Nel sud una compagnia mercenaria viene annientata dalle forze imperiali e la Silente, spietata assassina membro della Legione del Dragone Nero, dopo un incontro che la cambierà per sempre, diserta per compiere il suo destino. Nella capitale il cancelliere Mennix, seguace fedele del Verbo, ordine religioso che vuole estirpare il Potere dal continente, complotta contro l’imperatore. Leonidas Everloak, signore del dall’Altopiano decide di intraprendere un viaggio di ricerca…
Al termine del discorso vennero accompagnati in un’arena le cui gradinate erano gremite di spettatori. Guardando gli abiti elaborati e lussuosi oltre ogni sua immaginazione, comprese che il pubblico doveva essere di nobile estrazione, si rammentò dei racconti che Hjalmar le aveva fatto sul mondo esterno, del quale lei non aveva alcun ricordo. I vari gruppi vennero indirizzati ai cancelli dove, ad ognuno di loro, venne assegnato un numero ed indicato un orario: i combattimenti avrebbero intrattenuto gli spettatori per più giornate. Il suo turno era nel tardo pomeriggio, ognuno doveva affrontare un unico avversario in uno scontro mortale scegliendo la propria arma preferita. Sette optò per uno spadone a due mani, preferiva una versione più leggera ad una mano e mezza, ma non era tra le scelte disponibili. Soppesò l’arma, forse per lei era un po’ troppo pesante, ma sperava che il suo duello fosse di breve durata, anche perché la resistenza non era il suo forte, inoltre era la tipologia di arma con cui si trovava più a suo agio.
L’attesa era snervante, i minuti e le ore scorrevano lente mentre l’aria era colma dei suoni provenienti dall’arena: il clangore del metallo, le urla di incitamento della folla, le grida di dolore degli sconfitti e lo scrosciare degli applausi per i vincitori.
Finalmente giunse il suo momento, afferrò la propria arma e quando la grata che dava accesso all’arena si alzò fece il suo ingresso. L’araldo iniziò a blaterare per presentare i due contendenti al pubblico che però sembrava disinteressarsi alle sue parole attendendo solamente lo spargimento di sangue che li avrebbe appagati. La giovane donna squadrò il suo contendente. Era un colosso, armato di martello da guerra: sarebbe stato lento, probabilmente impacciato dal peso della sua arma che, teoricamente, lo avrebbe fatto affaticare prima di lei. Doveva tentare di affidarsi all’agilità, come se fosse semplice con tutto quel metallo addosso.
Il duello iniziò subito con veemenza da ambo le parti, il suo avversario vibrava colpi precisi e potenti spostando il suo pesante martello come se fosse un fuscello, più volte fu sul punto di colpirla e solo una sfacciata fortuna le evitò il temibile impatto. Per quanto lei si sforzasse di trovare uno spiraglio per poter contrattaccare, non vi era assolutamente possibilità: l’altro combattente era nettamente più bravo di lei. L’unica cosa che poteva fare era sperare in un miracolo se voleva vincere quello scontro. Dagli spalti il pubblico ululava ogni volta che l’arma del colosso la sfiorava, sperando che fosse la volta buona in cui avrebbe messo a segno il proprio colpo. Per lei il tempo sembrava non scorresse mai, i secondi divennero interminabili come se fossero secoli. Il sudore le grondava copiosamente dalla fronte e le finiva negli occhi minandole la visione. Il fiato si faceva sempre più corto mentre le sembrava di cuocere dentro quell’ammasso di acciaio nero che la ricopriva, scaldato dagli impietosi raggi solari del tardo pomeriggio.
Il grosso martello la colpì poco sotto alla spalla, sbalzandola a terra. Il dolore si irradiò in tutto il braccio. Anni di stenti, sofferenze e ben poche gioie stavano per giungere al termine. La folla sugli spalti si era alzata in piedi dall’eccitazione. Il sangue le colava copioso lungo l’arto ferito, dove l’armatura si era incrinata fendendogli la carne ed impedendole di sollevare il braccio sinistro, anche se ormai dubitava che sarebbe stato di alcuna utilità. Pensò di essere spacciata, stavolta non avrebbe avuto nessuno a proteggerla, non poteva contare sull’aiuto di Hjalmar. Il suo unico amico non avrebbe potuto salvarla anche questa volta, sarebbe morta da sola, in quella maledetta arena, dicendo addio alle promesse di vedere il mare assieme e quant’altro c’era fuori da quella prigione in cui aveva sempre vissuto. Nonostante la sua vita fosse sempre stata appesa ad un filo e così in bilico in tutto quel periodo, aveva ancora così tanta paura dell’abbraccio scuro e freddo della morte. No, non si doveva arrendere, si disse. Puntellandosi sulla spada come fosse un bastone si rialzò. Provò a menare un fendente, ma fu un colpo velleitario nel vuoto. Il martello ripiombò su di lei colpendola in pieno addome abbattendola, l’urto le tolse il fiato, nonostante il colpo appena incassato fosse meno potente di quello che si aspettasse, forse anche l’avversario iniziava a dare i primi segni di cedimento.
Ormai era finita: la placca pettorale si era deformata, impedendole di respirare liberamente, le fatiche del combattimento l’avevano spossata. Era inutile continuare a resistere per essere fatta a pezzi poco per volta per divertire il pubblico. La sua mano lasciò la presa sull’elsa dello spadone. Se doveva morire lì che fosse almeno un trapasso breve. Il suo vincitore si avvicinò con passo pesante sollevando sbuffi di polvere. Tutto sarebbe terminato per sempre. Sette trattenne il fiato aspettando il colpo fatale, ma il colosso esitava fissandola a terra mentre raccoglieva i fischi del pubblico che si stava spazientendo. Il suo avversario sembrava indeciso sul da farsi, mentre a lei appariva così semplice: gli sarebbe bastato calare il martello sul suo elmo per farle esplodere il cranio. Invece quello sciocco restava lì immobile a fissarla. Se ne avesse avuto la possibilità glielo avrebbe urlato come fare ad ucciderla.
Quell’impulso di rabbia le diede nuovamente un po’ di energia. Se il suo nemico rimaneva immobile così vicino a lei, forse aveva ancora una possibilità. Nel cinturone portava un pugnale che aveva preso assieme allo spadone. Se fosse stata abbastanza rapida avrebbe potuto provare a recidergli i legamenti del ginocchio, quando il colosso fosse caduto avrebbe potuto pugnalarlo sotto l’ascella dove l’armatura era più debole. Il gigante di metallo sembrava assente, ignorando all’apparenza tutto ciò che lo circondava, rimanendo lì in piedi impassibile, senza fare nulla con il martello abbassato. Poteva quasi sentire il suo sguardo dietro la feritoia dell’elmo che la fissava. Lei approfittò della situazione, estrasse il coltello e lo colpì con tutte le sue forze dietro al ginocchio come aveva programmato. Il suo avversario perse l’equilibrio e cadde come colto di sorpresa, la folla urlò di stupore, lei colse l’occasione e piantò con tutte le energie rimaste la lama del pugnale nel fianco del nemico e la rigirò. Collassarono a terra l’una sull’altro. Successe tutto così rapidamente. Sull’arena calò il silenzio.
A fatica si mise in ginocchio accanto al contendente sconfitto, ormai doveva essere morto. Con suo sommo stupore il suo nemico si mosse, forse lo aveva solamente ferito: impossibile gli aveva piantato venti centimetri di acciaio sotto l’ascella, probabilmente gli aveva persino trapassato il cuore da parte a parte. Il colosso con il braccio destro, lentamente, prese qualcosa dal cinturone e glielo porse cercando di mormorare qualcosa, ma venne colto da uno spasmo che le impedì di capire cosa stesse dicendo. Quando notò cosa le stava porgendo le si gelò il sangue nelle vene. La paura l’aveva accecata, come poteva essere stata così stupida da non riconoscerlo, nonostante l’armatura che ne ricopriva il volto: nessuno combatteva in maniera così letale ed aggraziata. Voleva urlare per la disperazione. Cosa aveva fatto? Gli strappò via l’elmo perché Hjalmar potesse respirare meglio. Il sangue colava ai lati della bocca dell’uomo, mentre gli occhi stavano perdendo il loro bagliore vitale. Anche stavolta l’aveva salvata, sacrificandosi per lei come aveva sempre fatto. Sette emise un rantolo soffocato dalla sua gola incapace di produrre suoni e scoppiò a piangere. Il suo unico amico, il suo compagno di tutti quegli anni, avevano condiviso tutto insieme, persino i loro sogni una volta che tutto quello fosse finito. Sarebbe dovuta morire lei, l’inutile ragazzina egoista. Era Hjalmar il migliore, lui avrebbe dovuto vivere, lui che sapeva cosa c’era fuori dalla loro prigione, lui era il soldato che servendo l’Imperatore avrebbe potuto ottenere onori e gloria, non lei. Lo detestò per aver esitato così a lungo nel finirla, non avrebbe dovuto avere nessuna pietà come gli avevano insegnato, nonostante l’avesse riconosciuta. Hjalmar le sorrise per un’ultima volta, quel sorriso gentile e sincero che l’avrebbe accompagnata per sempre.
Vennero a trascinarla via dal corpo del suo salvatore. Si ribellò, scalciò, perse l’elmo e quando le immobilizzarono gli arti morse come un cane rabbioso, mentre la allontanavano. Altri uomini presero il cadavere del suo compagno e lo trasportarono via senza ritegno, come fosse un sacco di spazzatura, lui che meritava tutti gli onori di un grande eroe.
Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea di questo libro è nata dalla mia passione per la letteratura fantasy che ha fatto nascere in me il desiderio di mettermi in gioco e cimentarmi nella narrazione di una mia storia. La tavolozza bianca che questo genere letterario ha da offrire mi è subito sembrata appropriata come campo di sperimentazione: il fantasy consente libertà d’azione sia nella creazione degli scenari che dei personaggi e la possibilità di affrontare tematiche di attualità della vita quotidiana e civile estrapolandole dal loro contesto.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
I primi tentativi di stesura dell’intero romanzo non sono stati soddisfacenti. Nel 2012 e nel 2013, nonostante la buona volontà, non ero assolutamente pronto per portare a compimento una simile impresa. Il mio stile di scrittura era troppo acerbo, grezzo per poter risultare avvincente e scorrevole alla lettura. Così ho dovuto cercare di “carpire” i segreti dei grandi autori del genere prima effettuare il terzo tentativo, che ha portato alla realizzazione della prima stesura. Finalmente la mia creatura stava prendendo forma e vita, ovviamente anche in questo tentativo ci sono state pause e periodi di riflessione, ma senza mai demordere sono arrivato alla fine. Dopodiché ho lasciato il romanzo a sedimentare per effettuare un’ultima revisione importante dall’aprile al novembre 2019 raccogliendo i primi feedback e decidendo così di lanciarmi nell’avventura della pubblicazione.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
I miei autori di riferimento partono dal padre fondatore del genere fantasy Tolkien, maestro della creazione di altri mondi fantastici. Mentre per quanto riguarda lo stile narrativo, gli ambienti, le trame più complesse non posso fare a meno di citare Martin, Jordan e Sanderson, a mio parere colui che riesce a fare migliore sintesi degli elementi di questo genere letterario. Un altro autore che sento la necessità di citare è Emilio Salgari, anche se non appartiene al genere sopracitato, tuttavia è stato fonte di ispirazione con la narrativa densa e incalzante dei suoi romanzi di avventura. Al contrario dei personaggi di Salgari i miei non sono eroi senza paura ma persone normali che riescono a trovare nuove e diverse motivazioni per affrontare le sfide che la vita propone.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Da sempre ho vissuto a Pandino, un tranquillo paese dell’alto cremasco, ai confini con la metropoli di Milano, che ho frequentato per gli studi universitari di ingegneria al Politecnico.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Dopo la pubblicazione di questo primo volume chiaramente l’obiettivo principe è quello di completare e pubblicare gli altri due romanzi della saga “L’Era della Profezia”. Dopodiché ho alcuni progetti ancora in fase embrionale sempre appartenenti al medesimo genere in cui però vorrei spaziare integrando ulteriori elementi, soprattutto prendendo spunto dai romanzi gialli, mentre per altri mi piacerebbe approfondire e spaziare nel mondo da me creato magari ambientandoli in epoche differenti.
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