Roba degli altri mondi di Arsenio Siani, edito da Officine Editoriali, è il primo capitolo della trilogia paranormal-urban fantasy I Maestri, di cui la casa editrice ha già pubblicato il secondo volume, intitolato Il prezzo della conoscenza. L’uscita del terzo volume della saga è previsto per la fine del 2015.
La trama di Roba degli altri mondi
Fabrizio è un ragazzo solo e disperato. Si sente in dovere di risollevare le sorti della sua famiglia, che versa in gravi difficoltà economiche, per questo motivo, senza un soldo in tasca, ha lasciato casa per tornare nella cittadina dei suoi studi universitari con lo scopo di cercare fortuna. Le sue giornate si dividono tra l’ossessiva ricerca di un lavoro e lunghe passeggiate senza una meta, con l’unico scopo di attendere che un’altra giornata trascorra e l’incidere del tempo riveli il suo destino, che sa essere segnato dalla sofferenza. Unica consolazione e àncora di salvezza dal baratro della follia è l’amore che prova per Federica, la bella cameriera che lavora in un lercio bar dove Fabrizio trascorre alcune serate solo per poterla contemplare da lontano, tenendola all’oscuro dei sentimenti che prova per lei, sospirando e straziandosi per la consapevolezza che non troverà mai il coraggio di dichiararsi. Sullo sfondo di una città senza nome, si consumano le vicissitudini di questo sfortunato giovane, la cui vita verrà d’un tratto travolta da eventi misteriosi e inspiegabili. Sogni inquietanti, apparizioni terrificanti, ombre minacciose che si nascondono nel buio e perseguitano il protagonista guidandone le scelte e gli eventi della sua vita. Chi sono i Maestri? Perché un misterioso individuo in soprabito e cappello perseguita Fabrizio minacciandolo con frasi che sembrano presagire una sentenza di morte imminente? Quale torto avrebbe perpetrato Fabrizio per meritarsi la persecuzione e punizione da parte di queste oscure entità? E se fosse tutto un sogno o allucinazioni del protagonista generate da una prolungata sofferenza che l’ha fatto scivolare verso la follia?
Roba degli altri mondi, un estratto: ‘Ho trovato lavoro’
La sveglia sul comodino cominciò a vibrare furiosamente. Era ora di alzarsi. Afferrai un bicchiere colmo d’acqua riposto di fianco alla sveglia e lo vuotai tutto d’un fiato. Avevo la gola in fiamme, per aver fumato troppo la sera precedente e la bocca arida come il deserto era l’inutile cimelio dell’ennesima serata scivolata via senza significato, trascorsa in una bettola del centro, seduto ad un tavolo da solo, davanti ad una pinta di birra che ho osservato per ore, sorseggiandola con disinvoltura, non per darmi un tono, ma per farla durare il più possibile, perchè non avevo i soldi per comprarmene un’altra e dovevo giustificare la mia presenza prolungata nel locale. Non avevo voglia di tornare in camera, così avevo deciso che il mio passatempo per la serata sarebbe stato quello di compatirmi mentre fissavo il vuoto in un locale lercio e malandato, dove i clienti sono tutti miserabili pezzenti come me, attratti dalla economicità dei drink e dal fatto che i gestori non si fanno troppe domande se ti vedono troppo a lungo seduto al bancone con la faccia gonfia e l’espressione inebetita dall’alcool. Mentre versi fiumi di lacrime, magari. O lanci sguardi di sfida, colmi di odio e di rabbia, che tutti evitano.
Mi alzai dal letto per dirigermi al bagno. Notai che il letto del mio compagno di camera non era disfatto, e ciò significava che non era rientrato per la notte. Accennai un sorriso malinconico mentre lo immaginavo svegliarsi in una casa che non riconosceva, sbronzo e malandato, con un grande cerchio alla testa, conseguenza di una serata goliardica, condotta da chi è consapevole che si vive una volta sola e bisogna divertirsi finchè è possibile…io non sono mai riuscito a godermela la vita, maledizione! E ho sempre invidiato chi lo faceva. “Beati loro…”
Dopo una breve doccia mi vestii e uscii dalla camera per fiondarmi nelle strade del centro, con il mio solito andamento frenetico, il mio passo veloce, la mia camminata ansimante, tipica di chi va di fretta, come se avesse l’inferno alle calcagna… Mi serviva un lavoro, cazzo! Ero caduto in disgrazia e i pochi soldi messi da parte in tanti anni stavano terminando inesorabilmente. Ancora qualche giorno e non avrei avuto neanche i soldi per pagarmi il posto in camera in foresteria nella casa dello studente a cui avevo avuto accesso spacciandomi per studente universitario. 11 euro a notte…ormai sul conto non mi rimanevano più di 40 euro. Mentre ero preda di questi pensieri, pronto a rielaborare per l’ennesima volta gli ultimi avvenimenti e a chiedermi cosa fosse andato storto, come potevo essermi ridotto a quel modo, arrivai dinanzi alla porta di un ristorante del centro. Avevo risposto ad un annuncio in cui cercavano un lavapiatti e avevamo fissato un colloquio per quella mattina alle 10:00.
Varcai la soglia della porta e mi ritrovai nella sala di un modesto e anonimo locale, che probabilmente serviva come luogo di ristoro per lavoratori durante le pause pranzo. Di sicuro non era un ambiente distinto ed elegante.
Le luci della sala erano ancora spente. “Buongiorno” dissi, ma non ebbi risposta. “Buongiorno”, ripetei, con tono più deciso. “Buongiorno a lei” mi rispose finalmente una voce proveniente dalla destra della sala. Mi voltai nella direzione da cui mi era parso che provenisse la voce e notai la porta della cucina. Un braccio si affacciò dalla porta invitandomi ad entrare con un gesto deciso. Entrai e mi trovai dinanzi ad un omone sulla cinquantina, tozzo e pelato, che portava due spessi occhiali da vista, impegnato ai fornelli a cucinare una brodaglia di qualche tipo in un pentolone grosso almeno quanto il suo busto. Il locale era invaso da un nauseante odore dolciastro, che non seppi identificare fin quando non vidi dei tentacoli spuntare dal pentolone. Stavano cucinando del polipo, ma non ricordavo avesse un odore così sgradevole, per cui mi interrogai sulla genuinità del polipone che stava ammollando in acqua e giunsi alla conclusione che non doveva essere freschissimo.
“È qui per il colloquio?” mi chiese l’omone, senza sollevare lo sguardo dal pentolone.
“Sì, io…”
“È un lavoro di merda” mi interruppe, senza darmi il tempo di presentarmi o spiegare alcunchè, “c’è da sgobbare come dei muli, più che un ristorante siamo una mensa per lavoratori, abbiamo convenzioni con varie aziende che ci mandano i loro dipendenti durante le pause pranzo, quindi si lavora a ritmi industriali. Piatti e pentole da lavare fin quando non ti si staccano i gomiti.”
Fece una pausa per scrutarmi in viso per la prima volta. Mi osservò per bene in volto con i suoi sottili occhi porcini, forse cercava di capire dal mio sguardo se era riuscito ad incutermi timore e a scoraggiarmi con le sue parole.
“Sei giovane, non sarai mica uno studente universitario? Guarda che questo non è un lavoretto per arrotondare, c’è da farsi il culo…”
“No, signore. Non sono più uno studente. Ho terminato i miei studi. Mi sono laureato lo scorso anno in giurisprudenza.”
A quelle parole l’omone si tolse gli occhiali. Diede prima uno sguardo al pavimento, poi si infilò una delle stecchette in bocca e mi lanciò un’ occhiata incuriosita.
“E allora mi spiega che ci fa qui ‘AVVOCATO’ ?” disse in tono di scherno, scandendo con tono malizioso l’ultima parola.
“Mi serve un lavoro qualsiasi, ho bisogno di soldi e con questa crisi economica mi adatto a fare qualunque cosa. Non si faccia condizionare da quello che le ho detto, il mio titolo di studio è un pezzo di carta, nella mia vita ho fatto decine di lavori, partendo da quelli più umili e il duro lavoro e la fatica non mi hanno mai spaventato, mi sono sempre fatto in quattro quando c’era da sgobbare”. Stavo mentendo spudoratamente, ma la sortita sembrava avere avuto effetto perchè l’omone mi guardava con un’espressione sempre più incuriosita.
“La paga è una miseria, è un lavoro part-time, si lavora dalle 10:00 alle 15:00 sei giorni a settimana per sei euro lordi di paga all’ora. In più sarai subordinato a quel ragazzo negro che è il mio aiuto cuoco e quindi come mansioni ti è superiore”. Mi indicò un ragazzo di colore che prima non avevo notato, seduto su uno sgabello intento a pelare delle patate, mentre guardava il suo titolare con aria risentita. “Ci pensi? Un marocchino che comanda ad un avvocato! Ahahahah…” scoppiò in una grassa risata che terminò in una sonora serie di colpi di tosse, che rivelavano cattive abitudini legate al fumo. Dopo una serie di rantoli e di sospiri si ricompose e fece cenno di avvicinarmi a lui. ” E va bene boy, voglio darti fiducia. Ti assumo per un periodo di prova di 4 giorni. Vediamo come te la cavi, se non mi deludi avrai un contratto a tempo determinato per un anno. Però ti ripeto che la paga è bassa e c’è da sgobbare…”
“È sempre meglio di niente. E le ripeto che il lavoro non mi spaventa. Sono pronto a spaccarmi la schiena”.
“Molto bene. Lascia le tue generalità e il tuo codice fiscale alla ragazza che sta entrando ora in sala. È la mia commercialista, manderà i tuoi dati al collocamento per l’assunzione in prova.A proposito io sono Antonio” disse, porgendomi la sua mano callosa. “Fabrizio”, risposi stringendogli la mano con la mia, grande poco più della metà della sua.
“Domani alle 9.30 si comincia. Fatti trovare qui. Mi raccomando puntuale”.
“Sì, signore. Grazie, signore. Non la deluderò…”
“E piantala con stò ‘signore’. Non siamo mica nell’ esercito. Dammi del tu, avvocà!” Scoppiò di nuovo in una sonora risata, interrotta dai consueti colpi di tosse.
Dopo aver disbrigato le pratiche con la commercialista uscii dal ristorante e mi avviai lungo il corso principale. Ero stordito e confuso. Finalmente un lavoro! L’opportunità di rimanere a galla. Ma a che prezzo? Di sgobbate furiose per quattro spiccioli, in un ambiente che non conoscevo e che mi aveva già creato disagio al primo impatto?
Dinanzi a me, la strada si dipanava in modo vorticoso.