
Edito da Patrizia Barrera - nel 2017 • Pagine: 198 • Compra su Amazon
La tragica storia di Robert Johnson, grande musicista Blues degli anni `30 Americani, la risoluzione al giallo della sua tragica fine, i retroscena e la discografia completa.
Un giallo emozionante e una ricerca storica sulla breve vita di Robert Johnson, considerato dai più come il nonno del rock ma amatissimo dai patiti del blues.
Una narrazione avvincente e forse la soluzione di un intrico oscuro, denso di esoterismo e fanatismo religioso, che portarono alla morte violenta e prematura di colui che fu bollato come Figlio del Diavolo.
Cosa dell`Arte di Robert Johnson può essere definito malefico? Davvero egli strinse un patto con Satana per ottenere fama e onori nel mondo della musica?
E quale fu realmente la causa della sua morte?
Scopriamolo insieme in questo libro coinvolgente e scorrevolissimo che vi toccherà il cuore.

A volte mi piace un po’ sfatare i Miti, ridurli ad una dimensione più umana. E’ questo il caso di Robert Leroy Johnson, da sempre definito demoniaco, oscuro, legato in certo senso al Maligno e a quell’immagine dark da pioniere del Rock.
Su di lui si è detto di tutto e di più benché, come per moltissimi artisti dell’epoca, i dati biografici a nostra disposizione siano davvero pochini. Ma forse è proprio la Leggenda che incide sull’ immortalità della sua figura e che, a mio parere, ne accentua anche lo spessore artistico. Non posso nascondere che il suo personaggio non mi è simpatico e probabilmente molti di voi mi odieranno per questo: tuttavia non è mio costume avere peli sulla lingua, ma anzi adoro portare alla luce verità scomode. Nel caso di Robert Johnson mi sono data molto da fare per risalire alla realtà VERA dei fatti…e vi assicuro che ho trovato bocconcini davvero ghiotti per voi lettori! Ma andiamo per ordine.
Un’ infanzia sicuramente difficile ma niente affatto oscura come molti affermano.
La madre si chiamava Julia Major ed era sicuramente una ragazza ..molto esuberante! Nel 1889 aveva sposato un tale Charles Dodds, che possedeva della terra e anche un piccolo negozio di mobili di vimini. L’uomo sembra fosse di origine Ebrea e non era molto ben visto nella piccola Hazlehurst, sul Mississippi, dove la famiglia viveva. Abile commerciante si attirava spesso l’invidia di altri piccoli proprietari della zona, probabilmente anche infastiditi dal fatto che non fosse un “puro Americano”.
Si sa che all’epoca le cose precipitavano molto in fretta: venuto alle mani con i Fratelli Marchetti ( e pare ci sia scappato anche il morto!) Charles fu costretto a fuggire la notte stessa, nel 1909, facendo perdere le sue tracce. Rimasta sola con 10 figli sulla spalle la povera Julia non sa cosa fare: isolata, additata, oggetto di varie angherie non riesce a far marciare la piccola fattoria, che va in rovina. Intanto il marito si è trasferito a Memphis e ha cambiato il nome in Spencer. Raggranellando qualche soldo da ambo le parti Julia riesce a inviare, a due alla volta, i bambini più piccoli al padre fino a quando rimane da sola in Huzlehurst con le figlie maggiori. E qui la tragedia esplode: costretta a chiudere anche il negozietto di mobili perché non riesce a pagare le tasse e trovando alloggio in una casupola abbandonata in periferia, la povera donna è costretta a fare quello che oggi chiameremmo ” lavori stagionali” per sopravvivere, raccogliendo cotone 12 ore al giorno per le piantagioni vicine.
Qui ha una breve relazione con un contadino del luogo, tale Noah Johnson, e rimane incinta del piccolo Robert, che nei primi anni di vita viene in realtà cresciuto dalle sorelline. Per un po’ la cosa viene nascosta alle orecchie del marito Charles… ma non troppo a lungo! Incapace di comprendere la solitudine della moglie, quest’ultimo scatena tuoni e fulmini rifiutandosi per gli anni seguenti di riconoscere il bambino, malgrado comunque faccia disperati tentativi di riunire la famiglia. Ci riuscirà 10 anni dopo, ma il piccolo Robert (Leroy) rimarrà per sempre ” il bastardo” mal tollerato e poco amato. Per una consolazione “preventiva” del tradimento della moglie, sembra comunque che costui avesse già in precedenza intessuto relazione stabile e avuto due figli da un’altra donna. Per cui, quando finalmente la famiglia si riunì, si trattava in pratica di una grande famiglia allargata che comprendeva i dieci figli di Charles e Julia, i due nati da Charles con la sua amante e il piccolo Robert. Non c’era da stare molto allegri in una situazione del genere!
Inutile dire che il matrimonio tra Charles e Julia va in frantumi; nel 1919 ritroviamo quest’ ultima nuovamente sposata con un certo Dusty Willis e la nuova coppia va a vivere a Robinsonville, sul delta del Mississippi. Robert è con loro ma il rapporto col patrigno è molto difficile. Il ragazzino ha da poco saputo chi è il suo vero padre e, rancoroso nei confronti di entrambi i patrigni, sbandiera il cognome Johnson ai quattro venti. E’ litigioso, irascibile, soffre di continui mal di testa. Pur avendo in precedenza imparato a leggere e a scrivere ( e alcuni dicono avesse anche una bella grafia!) non vuole più andare a scuola, e non prende neanche la licenza elementare. La sua unica consolazione è recarsi in riva al fiume e suonare l’armonica e l’arpa dell’Ebreo.
In casa è assolutamente inutile e lavorare nei campi non se ne parla nemmeno. Nel 1920 la famigliola si trasferisce in Arkansas a Lucas Township, Crittenden County, come sembra dimostrare un
censimento del 1920, ma le cose non vanno molto meglio. E’ risaputo che Robert avesse un occhio ” ballerino” , cioè un occhio più piccolo dell’altro, e che accusasse notevoli difficoltà di attenzione. Si sussurra che potesse aver sofferto di epilessia…ma non me la sento di confermare questo dato, anche perché molte crisi di aggressività tipiche dell’ età adolescenziale possono essere confuse con questa malattia. E sembra che il buon Robert di crisi ne avesse avute parecchie, visto che, alla fine, la famiglia si rassegna alla sua vita da sbandato!
A 14 anni comincia a frequentare i barconi musicali sulle rive del Mississippi, a fumare, bere e andare a donne. Contagiato dalla musica di Son House e Willie Brown, si rifugia nel Blues, ma la musica “maledetta” è invisa alla famiglia, che ostracizza questa sua passione in ogni modo. Nasce forse in questo periodo la mania del giovane Johnson di suonare nei cimiteri e nelle fratte oscure: lontanissimo dal pensiero del “demonio”, il povero Robert cerca semplicemente un posto nascosto per praticare in pace la sua passione e piangere in silenzio. Non ancora toccato dal Maligno, a 15 anni è un adolescente inquieto e, in realtà, un disadattato.
Ora, prima di andare oltre, vorrei soffermare la vostra attenzione su questa famosa arpa dell’Ebreo, di cui tanti parlano. Se guardate in giro sul web, troverete molti articoli su Robert Johnson che affermano che la suonasse… senza andare OLTRE nella descrizione. Eppure questo piccolo strumento la dice molto lunga sulla psicologia e, soprattutto, sulle capacità artistico-musicali del giovane Johnson!
La Jew’ s harp è in pratica…uno SCACCIAPENSIERI, uno strumento di origine Jipsy che veniva suonata dai Nomadi del Rajastan già dal 1500 e che , come molti altri, era arrivato sulle rive del Mississippi insieme agli Immigrati Italiani ed Ebrei, che lo avevano adottato. Oggi come ieri chiamare qualcuno Jipsy era appellarlo in modo dispregiativo, cioè ” Zingaro” . Il piccolo strumento era quindi quasi il simbolo di uno stile di vita fuori dagli schemi, per non dire randagio. Era inoltre molto facile da procurare, fabbricare e anche suonare; non era richiesta alcuna abilità particolare, se non la costanza. Probabilmente Johnson lo utilizzava anche per raggiungere degli stati di trance e di benessere ( oggi li chiameremmo di “sballo”) perché le vibrazioni dello strumento unitamente all’utilizzo di alcool induceva ad una forma di allontanamento dalla realtà e di dissociazione, tecnica probabilmente imparata nei locali malfamati del Delta.
Oltre a suonare l’arpa e l’armonica, il nostro Robert sembra avesse iniziato anche a lavorare un po’ per sostentarsi, soprattutto quando i rapporti con la madre e il patrigno si sgretolarono del tutto. Siamo nel 1928 e Johnson lavora come bracciante nella Piantagione Abbay-Leatherman vicino Robinsonville. Qui molto probabilmente incontrò il primo e unico grande amore della sua vita, Virginia Travis, che poi sposò all’ età di 18 anni a Penton, MS, il 17 febbraio 1929. I due non hanno soldi e vanno a vivere a casa della sorella di costei, Bessie, e del cognato Granville Hines. Sembra che la modesta casetta risiedesse nei dintorni di una comunità che ora non esiste più, la New Africa, ma per avere un’idea di come fosse orientata socialmente e culturalmente potete fare una capatina a New Road Africa verso Clarcksdale. Si tratta ancora oggi di una comunità abbastanza rigida, un po’ chiusa e sicuramente animata da grande fervore religioso. Tutto sembra abbastanza pulito e ordinato, e la vita scorre tranquilla secondo un ordinamento sociale abbastanza…ferreo. Viverci nel 1929 non doveva essere una pacchia…per un tipo come Robert Johnson!
Benché lavorasse e amasse la moglie, una timida e dolce quindicenne impegnata nei lavori domestici , è risaputo che Johnson non tollerava la vita rurale e che scappava via di casa molto spesso. Si ritirava nei locali malfamati e sui barconi sul fiume all’inseguimento di un sogno. Ormai corrotto dalla musica Blues e dalla ossessione sfegatata per Charlie Patton e Son House stava molto poco accanto alla moglie, che era ormai incinta del primo figlio. Ma la tragedia è dietro l’angolo. Nella notte tra il 9 e il 10 aprile 1930 Virginia muore di parto con in grembo il piccolo Claude Lee: Robert non è con lei ma a suonare per clienti ubriachi sui barconi del Mississippi.
Quando tornerà a casa due giorni dopo troverà la moglie morta e sepolta e l’ostracismo dell’ intera comunità che lo bolla come dissoluto, libertino e schiavo del demonio. Assalito dalla cognata Bessie che lo accusa pubblicamente di ” aver venduto l’anima al diavolo e di aver così ucciso sua moglie” il ragazzo viene letteralmente buttato fuori di casa, umiliato, ferito e completamente devastato nell’animo. Scomparve il giorno stesso e iniziò a vagare sui treni merci di città in città assumendo ogni volta nomi diversi: Robert Spencer, Robert James, Robert Barstow e Robert Sacks. Lo ritroviamo per un breve periodo ad Hazelhurst, probabilmente alla ricerca di un conforto. Forse lo troverà in uno dei fratellastri del patrigno Charles che gli insegnerà i rudimenti della chitarra, e anzi gliene regala una, una Gibson Kalamazoo che lui terrà con sé fino alla morte. Proprio qui impalma una donna molto più grande di lui, Calletta Craft, che sposerà in gran segreto nel maggio del 1931 e che non solo gli darà un figlio ma che gli permetterà (anzi favorirà) la frequentazione con quello che fu indicato come “il Diavolo in persona”.

Come è nata l’idea di questo libro?
Sono partita spinta solo dalla passione per il suo stile, essendo io stessa una cantante blues. La figura di Robert Johnson, maledetta e oscura come tutti i bluesmen del Delta del Mississippi, era già allettante da sola: per non parlare del suo presunto Patto col Diavolo, al fine di ottenere fama e onori, che ha affascinato più di uno scrittore e molti registi cinematografici. Ma, strada facendo, mi sono accorta che tra le pieghe della sua orribile morte si nascondeva molto, molto di più. Mi sono trovata di fonte ad un fanatismo religioso e sociale da far accapponare la pelle, e che forse è alla base di un omicidio “simbolico e dimostrativo” passato inosservato per decenni.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Ci ho messo un anno di dura ricerca storica per scrivere questo libro. Per me non è stato solo stilare la biografia di un musicista maledetto, ma la risoluzione di un enigma che per circa settant’ anni è rimasto celato nell’ombra. Fior di studiosi gli hanno dedicato il loro impegno e il loro tempo, offrendo le spiegazioni più disparate sulle cause della morte violenta e misteriosa di un artista straordinario, anello di congiunzione tra la musica blues e quella rock. Grazie a fonti autorevoli, come La Libreria del Congresso, da cui ho attinto documenti molto interessanti e informazioni fino a quel momento poco conosciute, ho potuto toccare con mano una realtà collettiva impensabile e penetrare in un’America invisibile che oggi non esiste più.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Nella mia vita ho letto tantissimo, ma non posso dire di avere un autore di riferimento. Adoro lo stile di Pearl Buck, da cui mi piace prendere ispirazione. Ma adoro definirmi una divulgatrice storica, piuttosto che una scrittrice di romanzi.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono Napoletana di origine, ma non ho radici. Mi piace sentirmi cittadina del mondo.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
A breve pubblicherò un’antologia sulla storia del Blues, ma sto finendo anche un altro libro, questa volta un romanzo storico, basato sulla vera storia di Ah Li Toy, prima prostituta Cinese arrivata a San Francisco in piena età dell’oro. E poi…chissà? Scrivere è di per sé una storia infinita…
Bravissima!
È la mia autrice preferita. La seguo sempre e non mi ha mai delusa. I suoi libri sono interessanti, semplici da leggere e diversi dagli altri. Per me è il top!