Edito da Gianluca Villano nel 19 Febbraio 2016 • Pagine: 276 • Compra su Amazon
Una volta ogni 40 giorni un Oblato del culto degli Esaminatori viene trasfigurato in Divoratore. Ogni 40 anni, attraverso una cerimonia solenne nel tempio della società dell'Haorian, l'Uomo-Dio trasfigura un ragazzo in Divoratore d'Ombra: l'essere più devastante che si possa creare. Dopo soli 30 anni, Crios della città di Muelnor è il prescelto. Durante una notte di manifestazioni soprannaturali, un vento misterioso e un bianco rapace si muovono furtivi alla ricerca di Logren, il cui fato sembra indissolubilmente legato a quello dell'amico Crios. Qual'è il destino che lento e inesorabile incombe su di loro?
Il Vento scese dalle montagne e si propagò nella valle ricoprendo una vegetazione adombrata dal crepuscolo; il passaggio fugace e devastante di una tempesta d’inizio autunno aveva incupito un paesaggio altrimenti maestoso; complici le nubi, compatte e ancora livide, i colori erano smorti e opachi mentre specchi d’acqua, come polle di un acquitrino, disseminavano la distesa erbosa; una leggera bruma sembrava voler cancellare ogni traccia di quel mondo, ma per ora riusciva soltanto a velarlo di mistero.
Solcando il terreno a ridosso di lievi alture, diradandosi e quasi svanendo sopra gli avvallamenti, il Vento sfiorò le propaggini di una città incastonata nel sottosuolo: c’erano ponti, ballatoi, archi fittissimi e piazzole sorrette da pilastri; ma all’altezza del terreno spuntavano soltanto cuspidi e guglie di palazzi dall’architettura spigolosa e tetra: i mattoni che li costituivano erano neri e la malta che li univa, metallo brunito.
Fiancheggiava quel luogo un’altura coperta da case lasciate all’incuria: assi di legno, muri scrostati e muschio si mescolavano a strutture scricchiolanti e disarticolate; le abitazioni erano così vicine le une alle altre da sembrare fuse insieme;dai pochi tetti a falde scure si delineavano comignoli che vomitavano un fumo denso inframmezzato da riccioli scintillanti, segno che nell’oscurità di una realtà decadente e precaria sopravviveva ancora la vita. Sulla sommità si ergeva un maniero apparentemente abbandonato: nessun baluginio ne rivelava i contorni, nessun movimento ne tradiva la portata della minaccia, perché quel luogo emanava un’aura di gelo più forte di qualunque abisso ghiacciato.
Abbandonando la bruma ai confini della cittadella, il Vento si avvicinò per esplorarne gli anfratti e i vicoli più reconditi, ma il verso di un rapace attirò la sua attenzione altrove: l’Angelo che l’aveva richiamato dalle alte vette della Dorsale sorvolava la vicina Foresta d’Argento nelle sembianze di un falco dalle candide piume screziate d’argento e sembrava interessato a ciò che stava accadendo nel sottobosco.
Da quel punto l’aria trasportò l’odore di prede e predatori, la vibrazione della paura e la promessa di un conflitto imminente;il Vento attraversò la pianura tagliando la nube biancastra, s’inoltrò nella fitta vegetazione e dopo poco fu testimone di una scena inattesa: un carro blindato sfrecciava fra gli alberi come se i cavalli fossero impazziti; lo schiocco ripetuto e sconsiderato di una frusta irrompeva nel tramestio di zoccoli e clangori metallici come il susseguirsi dei tuoni di una tempesta troppo vicina. Quattro criniere con sfavillanti borchie d’argento nei finimenti incalzavano la via battuta con impeto crescente, quattro ombre nere che sfuggivano a un avversario che non dava tregua; lo fiancheggiavano numerosi cavalieri dalle livree d’un cupo amaranto e aprivano la corsa due figure su destrieri agili e sicuri, cavalcature che il Vento aveva visto nascere dall’incubo ghiacciato delle regioni del nord; coloro che le galoppavano erano demoni travestiti da uomini.
Sibilò verso di loro, sollevandosi dalla terra umida come un turbine, sfiorando muschi e felci di un sottobosco dagli odori pungenti;troppe forze soprannaturali si erano concentrate in quelle poche miglia di foresta, forze non sempre riconoscibili; doveva sondarne le intenzioni più segrete: forse era questo il motivo del richiamo e della fine dell’esilio forzato.
Improvvisamente i rami degli alberi che limitavano il sentiero si piegarono dinanzi al blindato, cercando di travolgerlo, sperando forse di spaventarne le bestie al morso, ma un’arcana magia li spezzò, mandandoli in frantumi. Cercò di percepire la fonte precisa delle parole del sortilegio che era divampato dalla testa della colonna, ma la sua attenzione fu allarmata da ululati e ruggiti selvaggi in lontananza: gli inseguitori si avvicinavano, si spostavano tra la vegetazione più veloci di ogni plausibile predatore. Ma il carro sembrava inarrestabile, la sua mèta era intuibile e prima che il sentiero sfociasse nella pianura, grosse radici esplosero dal sottosuolo e tentarono un nuovo attacco. Contemporaneamente numerose figure dal corpo d’albero e la testa d’animale, di lupo e d’orso, spuntarono dalla selva e investirono i guerrieri al seguito del blindato, disarcionandoli.
Dopo essersi liberati degli assalitori, scrollandoseli di dosso con una facilità inaspettata per la loro corporatura esile, i guerrieri sfoderarono spade corte e pugnali dalla lama larga e colpirono con una velocità e potenza davvero disumana; il Vento non poteva scorgere i loro volti dietro l’armatura fatta di scaglie di drago nero, ma sapeva che erano Holdan e che non avevano paura di niente e di nessuno. Si abbatterono sulle misteriose creature spezzando i loro arti legnosi e cercando di staccare loro la testa, che era la parte più vulnerabile. Contro di loro giocava soltanto l’esorbitante numero dei loro avversari e il fatto che lottassero animati dalla disperazione; dopo aver perso tutta la prima linea d’attacco, le creature della foresta riuscirono in una rapida manovra di accerchiamento e colpirono la guardia scoperta affondando artigli e morsi nelle lucide corazze.
I guerrieri continuarono a falciare e spezzare arti nodosi, ma vedendo il numero degli esseri arborei aumentare vertiginosamente, iniziarono a ripiegare per stringersi a cerchio, senza che il Vento li sentisse impartire ordini o lasciarsi andare a grida costernate.
Le Teste d’Orso ruggirono nella notte senza luna e sopravanzando le Teste di Lupo si affiancarono l’uno all’altro per formare una muraglia colossale e corpulenta; dalle gambe spuntarono grosse radici, che affondarono nel terreno e nel contempo gli ululati delle Teste di Lupo presagirono la loro azione di aggiramento per avvicinarsi al loro obiettivo.
Il carro, dopo aver tentato di evitare l’assalto, era finito nella macchia; radici e rami lo tenevano imprigionato. Il Vento intravide occhi e zanne che sciamavano intorno, in procinto di travolgerlo, sfiorò velocemente le nere bestie che sbruffavano inferocite, s’incuneò tra la vegetazione che continuava a tendersi per impedire al carro ogni minima vibrazione e spirò lieve verso la finestrella sbarrata sul fianco sinistro per entrare e vedere, prima dello scontro, ma non ne ebbe il tempo: un ruggito innaturale e selvaggio, prolungato oltre l’inverosimile,lo bloccò.
Il Vento turbinò su se stesso e con un guizzo si allontanò dal carro un istante prima di essere investito da una forza devastante. Il carro ondeggiò, colpito da un’onda invisibile e le piante che lo intrappolavano, dapprima si contorsero, poi le cortecce si sollevarono, si accartocciarono e si polverizzarono. L’autore dell’attacco non era lo stesso di quello precedente e quando si diradò l’inferno che aveva provocato, ciò che apparve sulla via principale fu un cucciolo di lupo, dal pelo grigio e nero, che si avvicinava; lo precedeva una scia bluastra e serpeggiante composta di una luce come quella di un fulmine, che spandeva un odore penetrante: un misto di cancrena e sangue; dietro di lui aveva lasciato un cimitero di corpi di legno e teste di lupo scarnificate.
Il Vento soffiò verso la creatura e, come ne sfiorò l’aura, essa reagì spalancando le fauci quasi al punto da disarticolare le mascelle, gli occhi avvamparono di un fuoco gelido, oscuro come la magia primordiale celata nei meandri delle più profonde gallerie di Ghorla e il verso che emise, chiarì definitivamente cosa fosse: un Divoratore.
Il Vento seguì la scia che lo teneva al guinzaglio e scoprì che proveniva da un anello portato da uno dei due uomini Holdan che stavano davanti alla spedizione. Il Vento si produsse in un vortice, l’umidità circostante si cristallizzò, catturando pochi riflessi di luce; scivolò sulle cortecce, sfiorò il sottobosco e raggiunse i due, che intanto si erano avvicinati al carro.
«Guidalo in città!» ordinò l’Holdan in comando. «Non ci vorrà molto!» sentenziò, sollevando il braccio sinistro all’altezza del petto, stringendo il pugno saldamente, come se volesse stritolare il vuoto. Al dito portava un anello, un cerchio di ferro con rune naniche e una pietra incastonata color amaranto; la pietra riluceva e ne scaturiva la scia che arrivava fino al cucciolo.
Il giovane seguace annuì e indirizzò subito lo sguardo in direzione del carro; come in risposta a un richiamo, l’uomo che lo guidava spronò i cavalli e riportò il blindato sul sentiero. Il Vento cinse il ragazzo Holdan e s’interessò al suo mantello: si muoveva nell’aria leggero come una ragnatela, incurante di ogni legge naturale, nero con riflessi purpurei; era ancorato al suo padrone come un lembo di pelle. Anch’egli portava un anello con una pietra, ma sembrava priva di potere, diversamente dall’ornamento che portava al collo: un pendaglio d’avorio a forma d’ippocampo appeso a una catenella d’argento.
Il ragazzo spronò il suo destriero e si diresse a gran velocità verso la pianura con quel che restava del convoglio.
Il Vento sferzò l’Invocatore per infastidirlo e tornò verso l’area dello scontro. Alcune Teste di Lupo erano riuscite a staccarsi dal massacro, lasciando alle loro spalle guerrieri trascinati via oppure tenuti a terra dal peso di numerose Teste d’Orso e stavano per lanciarsi di nuovo all’inseguimento del carro, quando incrociarono il passo del Divoratore. Non arretrarono, né tentarono di aggirarlo: credevano di poterlo ignorare.
Il cucciolo produsse di nuovo quel verso,che al Vento parve quasi umano, un grido come di disperazione e sembrò gonfiarsi,le ossa crebbero a dismisura e la pelle si lacerò. Il Divoratore scattò fulmineo e travolse quattro creature, spezzando i loro arti, tranciando una testa, affondando artigli, per poi iniziare la caccia delle ultime prede.
Non c’era nient’altro che potesse vedere, così il Vento si appiattì a terra, spirò in direzione del carro e sul limitare dei boschi scorse di nuovo il Bianco Rapace, che abbracciando l’aria con grazia solenne, volava verso l’altura ove sorgeva la città;non sembrava interessato al carro, non lo seguiva nemmeno ora che, difeso da un solo cavaliere, s’inoltrava nella bruma, sollevandola, a tratti venendone sommerso.
Come è nata l’idea di questo libro?
Sono un Master di Dungeons & Dragons da 27 anni, abituato a scrivere storie e a cercare intrecci sempre più entusiasmanti e originali. Negli ultimi 15 anni ho sviluppato un mio modulo geografico e, dopo averne delineato cronologia storica e leggende, mi sono cimentato nella stesura di una saga che potesse meglio valorizzarlo.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
La difficoltà maggiore che ho riscontrato è stata il riuscire a far vivere al lettore un mondo completamente nuovo senza doverglielo spiegare nei minimi dettagli.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Gli autori che amo particolarmente sono: Terry Brooks, Terry Goodkind, Michael Ende, Tolkien, Margaret Weis e Tracy Hickman.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Attualmente abito in una casa di campagna a Palombara Sabina, una suggestiva cittadina in provincia di Roma ma ho trascorso la mia infanzia in un’altra casa, all’ombra del Castello Savelli, tra vicoli e misteri.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Ho già ultimato e pubblicato il secondo e il terzo volume della Saga, che si concluderà con una pentalogia. Contemporaneamente sto realizzando una serie di spin-off dedicati ai personaggi più significativi e amati.
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