
Edito da Carthago Edizioni nel 2019 • Pagine: 171 • Compra su Amazon
Agosto 1993: in un paesino del Cilento, amore e magia si uniscono, mentre le giornate estive dei giovani del luogo e dei cosiddetti forestieri (coloro che provengono dalla città) trascorrono tra passioni e tormenti interiori. In questa cornice pittoresca, la spensieratezza della gioventù viene frenata dai genitori e diviene oggetto di discussione e critica da parte degli anziani del paese, legati a una mentalità contadina atavica, codificata in precise regole sociali. Ma l’amore tra Adriano e Mena riuscirà a ristabilire gli equilibri perduti e a dare coraggio a Maria, Angela, Franco, Giovanni e Caterina nella realizzazione dei loro sogni tenuti segreti per paura di deludere le aspettative delle loro famiglie?

Quando in paese correva la voce che diceva “stasera si balla!” si intendeva che quella sera il garage di Rocco e Gino, in fondo alla piazza, sarebbe stato aperto a tutti, ci sarebbe stata una consolle comprata qualche anno prima dai due fratelli e, a turno, chi avesse voluto avrebbe potuto sperimentare il mestiere del dj scegliendo i dischi a piacimento e giocando con il mixer. Qualche mese prima i fratelli erano riusciti anche a trovare in qualche mercato di Napoli un paio di fari e una strobosfera, e così il paese aveva potuto iniziare a vantarsi di avere finalmente la sua discoteca frequentabile da tutti, soprattutto da chi non avesse un’auto per raggiungere le discoteche vere in riva al mare.
Rocco e Gino ci tenevano alla qualità della loro musica e avevano sempre scelto i migliori pezzi rock, ma quando qualcuno si era mostrato un po’ stufo dei The Cure, dei Dire Straits o degli AC/DC avevano accettato, seppure a malincuore, di aggiungere qualche compilation di discomusic. Questo tipo di programmazione mista di solito aveva vita breve, perché nulla poteva sostituire il momento di Another brick in the wall in cui tutti, improvvisando un grammelot inglese, cantavano insieme.
E il tasso alcolico delle serate a volte si alzava parecchio perché, quando si ballava, il bar vicino tardava a chiudere e fiumi di birra scorrevano sereni, mentre a chi desiderava ballare non restava altro che farlo. A dire il vero i più stavano a guardare, sia perché non avrebbero accettato di mettersi pubblicamente in ridicolo, sia perché preferivano bere e chiacchierare.
Maria e le altre cugine erano arrivate abbastanza presto, quando c’era poca gente e i ragazzi ancora trafficavano con la consolle e i cavi. A loro piaceva arrivare almeno mezz’ora in anticipo per avere un attimo in più per parlare con gli altri, prima che la musica uccidesse qualsiasi tentativo di comunicazione verbale.
Adriano era arrivato insieme a Franco poco dopo di loro e avevano cominciato a chiacchierare tutti insieme, bevendo una birra. Franco ne aveva già bevuta un’altra al bar prima di incontrare Adriano, e contava di continuare finché il fisico avesse retto.
Mena invece arrivò un po’ più tardi per il motivo opposto, perché la musica troppo alta avrebbe giustificato facilmente il suo mutismo e coperto le chiacchiere, permettendole di schivare i convenevoli obbligati che a volte faticava a seguire.
Del resto le piaceva trovarsi in quel garage perché amava ballare, e anche se quel posto non era un vero locale, sentire il pavimento e la cassa toracica vibrare al ritmo della musica le dava quel senso di stordimento e di appartenenza all’universo che la mettevano in pace con se stessa. Per lo stesso motivo detestava il momento in cui qualcuno, per avvicinare qualche ragazza altrimenti inavvicinabile, richiedeva al dj di turno il pezzo moscio e romantico che innescava la sequela di “vuoi ballare con me?” dei ragazzi, a cui le ragazze non potevano dire di no senza urtare la sensibilità di qualcuno. In quei frangenti le poteva capitare tanto di parlare con ragazzi simpatici che magari le chiedevano di ballare giusto per scambiare due chiacchiere, quanto di dover accettare la compagnia forzata di altri che miravano a lei per qualche altro motivo. E Mena non pensava che i ragazzi potessero davvero innamorarsi di lei, ovvero si era nel tempo convinta che, se pure le avessero dichiarato il loro amore, la loro potesse essere solo un’illusione.
Avrebbero potuto innamorarsi del suo aspetto, eventualmente della sua simpatia, ma di lei in quanto Mena no. Perché nessuno di loro sarebbe mai stato capace di comprendere lei, né ciò che amava, né quello che le potesse passare per la mente.
Quella sera, come già immaginava, Franco le chiese di ballare.
La cosa la annoiava abbastanza: sua cugina Angela era lì con Ettore.
Si erano salutate con i soliti convenevoli, e si sentiva osservata. Dopo qualche minuto dall’inizio del lento Angela ed Ettore si erano allontanati perché giudicavano con sufficienza tutti quelli che, nonostante il posto non fosse una vera discoteca, non solo si disinibivano, ma comunicavano al mondo di riuscire a divertirsi.
E Mena ne soffriva perché Ettore, così supponente e fastidioso, aveva trasmesso alla cugina un astio corrosivo verso quel divertimento a cui Angela un tempo era abituata.
Franco puzzava di birra. Mena non se ne meravigliava. Non c’era forse nemmeno un ragazzo in sala che non ne avesse già bevute almeno un paio.
A lei la birra non piaceva, tantomeno il senso di stordimento dato dall’alcol. Temeva infatti che se si fosse ubriacata non avrebbe avuto sufficiente controllo di sé, o peggio, che quanto avesse nel cuore potesse esplodere spaventando l’universo.
Franco prese a chiederle le solite cose: «Quando sei arrivata?», «Quando vai via?», «Che cosa fai in città?» e lei, un po’ scherzando e un po’ parlando sul serio, rispose a tutte le domande ovvie con delle ovvietà. Poi lui attaccò con: «Domani vai al mare?»
«Sì, con i miei.»
«Ma sempre con i tuoi! Non puoi venire con Giovanni insieme a noi?»
Mena ci pensò su: l’idea non era male.
«Devo chiedere a Giovanni. Non so se vuole che venga pure io, lui ha i suoi giri da frequentare, capisci no?»
Al che Franco la condusse ballando fino al punto in cui Giovanni, sfruttando la grossa voce baritonale, riusciva a intrattenere un paio di ragazze nonostante la musica ad alto volume.
«Giova’! Domani andiamo al mare a Palinuro. Viene pure tua
sorella, ok?»
Giovanni lo guardò fintamente torvo: «E che vai trovando da mia sorella?»
«Io? Niente! Ma se la lasci a casa con i tuoi mentre noi andiamo a Palinuro sei uno stronzo.»
Giovanni si mise a ridere e si sentì un po’ in difetto. Franco era un anno più grande di lui e tutto sommato erano stati sempre buoni amici. Capiva anche che sua sorella fosse diventata un bocconcino appetibile per molti, ma dopotutto non sarebbe accaduto niente di male in una giornata al mare in cui sarebbe stato presente anche lui. Anzi, a pensarci bene lo trovò un ottimo pretesto per invitare altre ragazze e allargare la comitiva prima a due, poi a tre, poi a quattro auto al completo.
Il lento finì e attaccò My Sharona, tra le urla di tutti che presero a saltare per sudare fino alle mutande. Mena e le altre ragazze, entusiaste della scelta musicale, si dovettero poi fare da parte quando a ballare si aggiunsero anche Rocco e Gino. Alti e grossi, ballando su quel pezzo e già brilli per la birra che avevano bevuto, non badavano se finivano addosso a qualcuno oppure no.
Adriano approfittò del momento per andare da Mena e dirle: «Scusami, puoi venire un attimo con me? Ho lasciato in macchina una cosa da darti.»
Mena lo seguì senza quasi capire. Cosa poteva avere da darle?
E perché poi?
Adriano si fermò davanti alla sua auto, parcheggiata in piazza un po’ discosto dalle altre, e le disse: «In verità non ho niente da darti, volevo parlarti.»
Fece una pausa ed estrasse il portafogli dalla tasca dei pantaloni. Con il fiato un po’ corto e le mani scosse da un tremito impercettibile tirò fuori il foglio che Mena gli aveva scritto. Il vento cominciò a levarsi all’improvviso. Le nuvole notturne a squarciarsi nel cielo. Gli alberi della piazza presero a stormire senza pace.
Mena non capiva. Cercava di trattenere con le mani i capelli in balia di quel vento improvviso, sentiva di avere bisogno di tempo per mettere a fuoco ciò che stava accadendo: quando Adriano
aprì il foglio e Mena riconobbe la sua scrittura si agitò, sentì il sangue alla testa.
«È che volevo chiederti di quello che hai scritto…»
«Ma non so se quello che ho scritto sia giusto» disse subito Mena «È solo quello che mi è passato per la mente, magari non c’è niente di vero» e stava per aggiungere un ingiustificato mi dispiace quando lui la interruppe e le disse: «No. È questo il punto. È tutto vero.»
All’improvviso sentirono forte le urla che venivano dal garage e altre si udirono rincorrersi per tutto il paese. Adriano e Mena si guardarono intorno, l’ansia e il terrore li prendeva senza un’apparente giustificazione. Finché, in mezzo al vento imbizzarrito, videro i lampioni dapprima muoversi e poi spegnersi, e un pezzo del cornicione di un palazzo di fronte a loro schiantarsi al suolo.
Era il sempre ovvio, maledetto e onnipresente terremoto.

Come è nata l’idea di questo libro?
Due anni fa, nel Cilento, nel paese di origine dei miei genitori, ho incontrato dopo tanti anni una vecchia amica. Era il solito 15 di Agosto nella solita festa di paese. Forse erano vent’anni che non ci si vedeva o ci si raccontava prendendosi un po’ di tempo… e dopo il solito aggiornamento sul numero di figli pro-capite, ci siamo ritrovate a rimestare nei nostri ricordi degli anni ’90 e su come a quei tempi, senza tablet, smartphone e altre diavolerie, fosse facile divertirsi con niente. Ridendo abbiamo ripensato agli scherzi stupidi e innocenti che ci si faceva in comitive affollate di mille persone, alcune delle quali assurte a “personaggi” per via di una particolare battuta o di una caratteristica caratteriale o fisica. È chiaro che da queste affermazioni una persona possa ammettere in onestà di stare invecchiando, ma, al di là di questo, con un bel salto indietro personale, mi sono chiesta se davvero ci si divertisse tanto da adolescenti, a quell’epoca, e se davvero non covassimo tutti dentro qualche malumore che ci avrebbe poi, nel bene o nel male, indirizzati nelle scelte di vita.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non molto. Scrivo sempre piuttosto speditamente. Quando mi fermo è solo perché ho bisogno di darmi tempo per chiarirmi le idee ed evitare di buttare via inutilmente le energie su pagine che poi mi vedrei costretta a scartare.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
David H. Lawrence, Gabriel Garcia Marquez, Jorge Amado, ma anche Hemingway, Paul Auster, Virginia Woolf, Hermann Hesse… Sono tutti autori stranieri… ma ho iniziato la mia formazione in questo modo. Amo molto il modo di mischiare realtà, immaginazione e dimensione poetica degli autori sudamericani, come anche la vocazione per la scrittura pulita di Hemingway e dell’approfondimento psicologico di Woolf ed Hesse.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Io sono campana, nata in Svizzera e cresciuta nella provincia di Salerno. I miei genitori sono originari del Cilento, in cui ambiento in senso lato la mia storia. Non ho mai vissuto stabilmente lì, ma è il riferimento geografico per tutto quanto concerne gli affetti famigliari. Oggi vivo in provincia di Pavia e lavoro a Milano.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sto scrivendo la seconda parte di questa storia. Avrà una strutturazione più complessa e meno favolistica de “Il Sangue Buttato”. Un lavoro per me senza dubbio più impegnativo, ma davvero interessante.
Anch´io ho bellissimi ricordi del posto dove trascorre la tua storia. Non posso aspettare a fare arrivare questo libro in Spagna e leggerlo.
Attendo con ansia che mi arrivi il libro. Leggendo l’estratto mi è sembrato di rivivere un po’ la mia “meglio gioventù” campana!
Complimenti