Edito da Ad est dell'equatore nel 2019 • Pagine: 204 • Compra su Amazon
Mariano ha 13 anni, vive a Napoli e da grande vuole diventare ricco e rispettato come il signor Rosario che ha fondato la “Scarabeo”. L’agenzia, sotto la copertura di un’impresa di pulizie, seleziona e forma profili per “clienti speciali”.
Mariano non vuole essere come suo padre Salvatore che si è fatto arrestare ingenuamente e vorrebbe a tutti i costi offrire una vita migliore a sua madre Cettina, che si occupa delle pulizie in casa delle “risorse umane” dell’agenzia. Mariano fa di tutto per entrare nelle grazie del signor Rosario e si lega a suo figlio Ciro, già più grande, per opportunismo. Mariano è innamorato della segretaria Serena e fantastica di sposarla, ma la gelosia nei confronti dell’ingegner Stefano Cava, assunto per un colpo in banca, lo spinge a selezionare a sua volta una banda per dargli una lezione.
Sono nato il 23 Aprile, oggi è il mio compleanno, ne faccio 14.
Ieri sera mio padre è tornato dopo due anni dal carcere, gli hanno dato i domiciliari.
Mia mamma stamattina prima di uscire mi ha detto che è il regalo più bello che potevo avere, in verità non mi interessa, avrei preferito i soldi, quelli fanno sempre comodo e sono la cosa più bella perché uno ci può fare quello che vuole.
Due anni fa nella busta che Salvatore e Cettina mi avevano portato a letto come regalo di compleanno c’erano 200 €. I miei genitori dissero che avrei potuto comprarmi quello che volevo e così non persi tempo, non andai neanche a scuola, ma dritto da “Borghese”, il negozio di vestiti più costosi del quartiere. Comprai solo un paio di pantaloni neri larghi e una t-shirt con un teschio pieno di brillantini.
Quelli sì che erano regali, non certo mio padre che torna a casa per i domiciliari. Se voleva farmene uno, Salvatore, avreb- be fatto bene a non farsi arrestare, e per l’amicizia con il signor Rosario avrebbe potuto lavorare nella sua agenzia, la “Scara- beo”, quella che aveva creato appena tornato dall’America con la sua famiglia, e magari sarebbe potuto diventare anche suo so- cio. A quest’ora mia mamma non avrebbe dovuto fare le pulizie a casa dei clienti della Scarabeo, col rischio di trovarsi nei guai, e avremmo avuto anche noi così tanti soldi da poterci comprare tutto “Borghese”.
Invece no, Salvatore si è fatto arrestare come un pollo, ma è meglio non dirlo perché mia mamma si dispiace assai.
C’è rimasta male anche ieri sera quando me ne sono andato senza aspettare mio padre, l’ho fatto apposta, sono uscito conCiro, il figlio del signor Rosario, e siamo tornati a mezzanotte quando dormivano tutti, almeno credo.
Mamma deve giustificare sempre tutto quello che fa papà, per lei non sbaglia mai, dice sempre che siamo una famiglia e che le cose si aggiustano perché ci vogliamo bene. Me l’ha detto un’altra volta anche ieri sera al telefono, mi fa innervosire que- sta cosa che mi chiama mentre sono con gli amici.
Sono grande, me la so cavare, glielo dico da due anni, dal giorno che Ciro con il suo accento americano, aveva detto: «Mariano, do you think again che tuo padre sta in Spagna for job? Ma quando cresci? Your dad Salvatore sta in galera». Che mazza- ta quel pomeriggio, stavamo seduti sulla panchina fuori l’ufficio dello Scarabeo, il padre di Ciro. Era fine Maggio, mi ero ritira- to da scuola già da una settimana, faceva troppo caldo e mio padre era partito da due mesi, almeno così pensavo. Il signor Rosario corse subito fuori dall’ufficio: «Ciro, a papà, ma tu sei più grande, la vuoi smettere? C’era bisogno di dirgliela questa cosa?». Poi mi guardò: «Mariano, tu non ti preoccupare che a te ci penso io».
La sera mi era venuta una crisi isterica che gli infermieri del pronto soccorso se la ricordano ancora.
Io non volevo piangere, però le lacrime scendevano lo stesso, anche quando chiudevo gli occhi.
Non mi ricordo molto di quella sera, neanche che gridavo, so solo che mi sono spezzato il dente centrale superiore tanto che stringevo la mascella, per questo mi chiamano Mariano lo Spezzato.
Quando mi guardo allo specchio e sorrido penso a quel gior- no, al fatto che mio padre si sia fatto arrestare come un fesso e ci abbia lasciato nei guai. Ogni volta che sono in bagno faccio lo stesso gioco, alzo e abbasso la mano davanti alla faccia, prima lentamente e poi veloce, come per magia passo da arrabbiato a sorridente, da felice a triste, da come ero a come sono.
Il regalo deve farti sentire meglio, cioè se alzi e abbassi la mano davanti alla faccia quella deve rimanere sempre sorriden- te, come quando mia mamma mi ha comprato la maglietta da calcio del Napoli.
C’ero pure io al mercato quel giorno, era venerdì e lo Scarabeo le aveva dato un permesso di lavoro:
«Cettina, il cliente di stamattina mi ha telefonato dicendo che è malato. Quello del pomeriggio lo faccio spostare da Serena a lunedì. Prenditi una giornata di festa, fai quello che vuoi».
Mia mamma teneva gli occhi che brillavano, poteva andare al mercato dell’abbigliamento senza pensieri. L’unico era il mio che dovevo andare con lei a fare il facchino.
Lo stadio e il mercato sono uguali.
Parcheggiatori abusivi che urlano, scooter che vanno a tutta velocità, gente che passa da destra a sinistra senza motivo e l’odore inconfondibile di quello che vende la frittura. Una cosa che però non c’è allo stadio è il trans che grida: “Tengo ‘o pesce fresco”. Tutti ridono quando passano davanti all’ape car dove ha sistemato le cassette con la merce, ma solo qualcuno si ferma a comprare, soprattutto per il gusto di fare quattro chiacchiere con lui o forse dovrei dire lei, non so. Ha il corpo di una donna, ma la voce di un uomo, ha le gambe di una fotomodella ma le mani di un muratore, ha i capelli lunghi e biondi, ma in faccia quella barba che inizia a crescere dopo qualche giorno che l’hai rasata. È come se fossero due persone, una dentro l’altra. Pure a me succede la stessa cosa: ci sono dei giorni che mi sento un neonato, appena vedo mia mamma seduta da qualche parte mi butto sulle sue gambe e la stringo al collo per farmi cullare, poi sento quella voglia di fare i capricci che mi sale da dentro la pancia, altri giorni invece mi sveglio e mi sento grande, penso che posso fare quello che voglio, che è arrivato il momento di non ascoltare più le cose che dicono mamma e nonna, che voglio fare un sacco di soldi e comprarmi una moto velocissima. A dire la verità ci sono anche un sacco di giorni in cui mi sveglio con un coso in mezzo alle gambe duro e alto, quello sì che mi fa sentire grande.
Prima di entrare al mercato mamma aveva detto: «Mariano mettiti l’anima in pace che devo comprare un sacco di cose. Vedi di non perderti che mi devi aiutare a portare le borse della spesa, e non sbuffare che mi fai innervosire».
La prima bancarella è stata quella delle tende, servivano tre metri per la stanza da letto e tre metri per il salotto. Quella con le farfalle era bella, ma la beige era proprio triste.
Al mercato era come quando da piccolo andavo alla Via Cru- cis e ci si fermava in quelle che chiamavano stazioni per dire delle preghiere. Nella seconda stazione al mercato abbiamo comprato le mutande, tre scatole dieci euro.
La terza fermata è stata nella zona delle scarpe: Cettina in un piede provava uno stivaletto con il tacco alto e in un altro le scarpe con la zeppa. Quando si guardava nello specchio con lo stivaletto la prima cosa a cui pensava era aggiustarsi i capelli, la seconda era mettere la schiena dritta, sembrava che dovesse sfilare sulla passerella. Quando si girava dall’altro lato per vede- re le scarpe con la zeppa spingeva la pancia in avanti e diceva: «Tanto queste mi servono per tutti i giorni». Le prendemmo entrambe e io sembravo un ciuccio, camminavo con cinque borse piene di cose e ancora dovevamo andare nella zona dei vestiti. In quel viale c’erano i furgoni più attrezzati del mercato e un’aria irrespirabile per colpa delle signore che si tuffavano su quelle montagne di vestiti alzando una tempesta di polvere.
«Mariano tu lo vuoi un regalo? Allora non ti muovere da qui, se dopo non ti trovo ti do un sacco di mazzate» aveva gridato mia mamma. Sono rimasto non perché avessi paura, a me le mazzate non mi fanno niente, ma perché volevo vedere mia mamma come sarebbe uscita da quella rissa. Mi sono avvicinato al ragazzo che dava la voce, stava seduto sopra una scala a tre gradini, era come il capo degli ultrà, e gridava: «Venite, venite che ce l’ho solo io».
Ogni tanto vedevo la testa di mia mamma sopra le altre, face- va il collo lungo come quando andavamo a mare tutti insieme e per non bagnarsi i capelli metteva la testa fuori dall’acqua, più in alto possibile.
A un certo punto è successa una cosa divertentissima: una signora, per prendere una maglietta ha graffiato Cettina.
Io e il ragazzo sopra la scaletta stiamo ancora ridendo:
«Signora bella, ma all’anima di chi tenete in cielo, lo vedete che mi avete fatto?».
Quella con le unghie colorate, tranne una decorata solo di brillantini, fece il grave errore di rispondere:
«Signora bella, ma chi ve la dà tanta confidenza? Non vedete che mi avete fatto perdere pure i brillantini?».
Da quel momento non si è capito più niente: male parole, spin- te e tutte le mosse che possono fare due femmine che litigano. Io tifavo per Cettina logicamente, quella è troppo bella quando si incazza.
Il ragazzo sulla scala dopo un po’ decise di intervenire facen-
do uno di quei fischi potentissimi con la lingua all’indietro, io non ci sono mai riuscito e devo ogni volta piegare la lingua con le dita. Sembrava l’arbitro, tirò fuori dal taschino due cartellini rossi e le cacciò via dicendo: «Signore belle pagate quello che avete preso e non vi fate vedere almeno per un paio di turni. Espulse».
Mica è facile in mezzo a quel bordello trovare quello che cer- chi. Devi essere allenata a capire quando una maglietta non ha difetti e se è della taglia giusta. Se non sei una fuoriclasse non ti porti niente a casa.
Mia mamma da campionessa uscì con la maglietta originale, quella col numero 9 e disse: «Hai visto Mariano, quando si dice che uno la maglia la deve sudare».
Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea del libro è nata circa dieci anni fa quando lavoravo come educatore a Napoli. C’era un ufficio di persone della zona che non mi sembrava niente di buono nonostante i titolari fossero sempre vestiti di tutto punto e parlavano al telefono come manager. Da lì mi venne l’idea dell’agenzia interinale per “clienti speciali”. Di lì a poco vennero arrestati.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non è stato semplice scrivere questa storia perché ho dovuto svestirmi della mia parte di educatore e così ho fatto tante versioni e cambi di registro linguistico fino a che sono riuscito a trovare la strada che permettesse al lettore di guardare come in un film quello che accade e poi fare una riflessione alla fine.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
I miei autori di riferimento sono i classici che ho studiato quando frequentavo Lettere moderne all’Università, ma per questo libro i miei riferimenti sono stati “Io non ho paura” di Ammaniti e “Certi bambini” di De Silva.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Ho sempre vissuto in periferia est di Napoli che è il luogo dove è ambientato il romanzo.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Ho già in mente una storia a cui ho iniziato a lavorare in primavera. Si tratta di tutt’altro, ma soprattutto c’è un morto, quindi datemi un po’ di tempo e saprete chi lo ha ucciso e perché.
Lascia un commento