Edito da Daniele Mugnaini nel 2020 • Pagine: 180 • Compra su Amazon
Noricor è il nome del farmaco che Gregor sarà costretto a prendere per far cessare le allucinazioni iniziate al risveglio, nel 2167, dopo essere
rimasto ibernato per 150 anni. Ma cosa sono veramente quelle visioni?
Perché non ricorda niente del proprio passato? Grazie all'affascinante e misteriosa Marla, Gregor inizierà a vivere e ad avere fiducia in questo futuro ostile ma proprio quando tutto sembrerà andare per il meglio, l'incontro con Race, un uomo magnetico e carismatico proprietario di un insolito locale, metterà in discussione il suo modo di percepire la realtà e Gregor si troverà a dover fare una scelta difficile: perché per quanto si possa fuggire lontano nel futuro, le impronte del passato giungono fino a noi.
“Osservo mio figlio attraverso l’oculare della videocamera. Lui guarda meravigliato la sconfinata distesa liquida e ondeggiante. Mare, gli dico, indicando l’acqua. “Mae”, ripete voltandosi verso di me, alzando il dito e imitando il mio gesto. Inquadro i piedini immersi nell’acqua limpida. Faccio uno zoom sullo sguardo. È lo stesso che, i primi navigatori coraggiosi della storia dell’umanità, rivolsero al mare nel momento in cui decisero di lasciare la terraferma per andare incontro all’ignoto.
Coraggio piccolo Oscar.
I piedi si muovono e affondano nella sabbia molle del fondale. L’acqua lambisce le sue caviglie. Perde l’equilibrio. Viene colpito e scaraventato a terra da un’onda che lo sommerge. Sembra una piccola tartaruga rovesciata. Annaspa. Mi precipito ad alzarlo con la videocamera che, penzolando appesa al collo, continua a registrare. Quando lo sollevo gli pulisco la faccia sporca di terra, sicuro che da un momento all’altro inizierà a piangere.
Lui rimane immobile, con l’espressione seria e confusa di un pugile stordito. Poi lo sguardo cambia direzione, qualcosa ha attirato la sua attenzione. Un coccodrillo di plastica galleggia poco più avanti. Entro in acqua, prendo il coccodrillo e lo spingo a zig zag a pelo d’acqua, dirigendolo verso di lui. Oscar ride, si volta, corre sulla battigia.
Mi chiedo di chi sia quel giocattolo. Sarà stato dimenticato. Trascinato in mare dalle onde.
Il mare e la spiaggia sono deserti, le persone che l’affollavano fino a poco prima non ci sono più. Dov’è Eveline? Possibile che se ne sia andata senza dirmi niente? Forse sta per piovere e si sono tutti spostati al riparo.
No. Il cielo è limpido, sgombro. Neanche un gabbiano che vola. Una leggera brezza mi lambisce la faccia sussurrando “uuush”.
Mi volto. Oscar è scomparso. Guardo attraverso l’acqua tentando di scorgerlo tra le onde che danzano giocose e irrispettose, avvolgendosi in spirali e ridendo schiuma.
Le mie mani tagliano e scavano i flutti che rimarginano istantaneamente le loro ferite.
Mi immergo fino a che la fatica mi costringe a fermarmi.
Avverto la disperazione del mio cuore che si divincola nella gabbia toracica ed ho un sibilo costante nelle orecchie.
Nei miei occhi si specchia un’onda alta decine di metri.
Sta per abbattersi su di me”.
Gregor si svegliò ansimante, con il cuore che batteva tale e quale al sogno di poco prima, come se fosse veramente riemerso dall’onda che lo aveva travolto. Cercò un punto di riferimento dirigendo freneticamente l’attenzione verso ogni angolo della stanza, verso ogni particolare. Le facce dell’uomo e delle due donne che lo guardavano gli erano perfettamente estranee. Dall’odore e dall’aspetto asettico di quella sala avrebbe giurato di trovarsi in un ospedale. Era stato solo un incubo? Provò a muoversi ma gli arti non volevano collaborare. Ma se aveva soltanto sognato perché allora si trovava in ospedale? Che cosa era successo? E dov’erano sua moglie e suo figlio? Perché non riusciva a muoversi?
Urlò.
«Oscar! Eveline! Dove siete! Dove sono?» poi si rivolse, implorando, alle persone che aveva intorno e che rimanevano ostinatamente impassibili e composte. «Cos’è successo? Dove mi trovo?» disse guardando negli occhi l’uomo più vicino il cui volto era parzialmente coperto da una mascherina bianca. L’uomo allora la abbassò e iniziò a dire qualcosa ma Gregor percepì soltanto dei suoni confusi che si mescolarono con il forte ronzio che aveva in testa. «Dov’è mio figlio Oscar! Come sta? Mi dica che sta succedendo!».
«Gregor! Signor McCullers, si calmi, per favore!».
«Lei non capisce dottore, eravamo al mare e poi… io non so cosa sia successo ma mio figlio è sparito tra le onde!».
L’uomo scosse la testa e si rivolse a una delle due donne: «Proceda, la prego», disse.
La donna prese un flaconcino e cominciò ad armeggiare al tubo collegato all’avambraccio di Gregor che immediatamente sentì insinuarsi un leggero torpore. Presto fu nuovamente sopraffatto dall’oscurità.
«Ecco fatto, dottore».
«Bene. L’ultima cosa di cui ha bisogno è di ricordare. Lasciamolo riposare».
«Dottore, ne abbiamo ancora un altro: Bernard Switzel. È l’ultimo per oggi».
«Andiamo. Prepari subito un’altra dose, non ho intenzione di riprovarci, è tempo perso».
Quando finalmente Gregor riaprì gli occhi la stanza non gli sembrò la stessa di poco prima. Riuscì a voltare la testa e scorse alla sua destra una ragazza distesa su una specie di letto dai bordi rialzati. Alla sua sinistra c’era un letto vuoto. Un’ombra invase l’estremità del suo campo visivo. La figura rimase in disparte in un punto in cui Gregor non riusciva a vederla ma dal tono della voce, seppure molto basso, capì che si trattava di una donna.
Gregor provava una leggera inquietudine e aveva la sensazione che fino a poco prima ci fosse qualcosa che lo turbava, un ricordo, qualcosa di importante che gli sfuggiva; aveva l’impressione che fosse lì nella sua testa, da qualche parte, ma non appena tentava di afferrarlo con gli artigli della memoria, questo svaniva come una bolla di sapone, dissolvendosi in una nuvola di microscopiche e intangibili goccioline.
«Come si sente? Va meglio adesso?».
«Sì. Credo di sì».
«Cerchi di riposare. I suoi parametri sono stabili ma è importante che stia tranquillo» disse la donna, osservando il display che sporgeva da un lato del letto su cui Gregor era disteso. «Tra un po’ verrà a trovarla qualcuno che le spiegherà tutto».
«Mi spiegherà tutto? Aspetti! Per favore non se ne vada».
La donna se ne andò senza ascoltare le suppliche di Gregor e lui esausto, lasciò affondare la testa nel cuscino. Si mise a fissare il soffitto, concentrandosi e cercando di risalire a ritroso tra gli eventi della sua memoria. Era una situazione assurda. Amnesia. I suoi ricordi erano circondati da un muro impenetrabile, asserragliati in una zona alla quale lui non aveva più accesso.
Dopo alcuni minuti un’altra donna entrò nella stanza. Aveva un camice che le scendeva fin sotto il ginocchio. Era alta e magra e dal punto di vista di Gregor, che era disteso sul letto, sembrava gigantesca come il picco di una montagna e come tale aveva sulla vetta una spruzzata di capelli cortissimi e bianchi simili a neve. La donna porse a Gregor un contenitore bianco di plastica e i bracciali che aveva al polso si mossero in un ritmico sferragliare. Gregor lo afferrò accorgendosi così di aver riacquistato parzialmente l’uso degli arti superiori. Il tepore emanato dal barattolo gli suscitò la stessa sensazione di piacere di un abbraccio in un momento di sconforto ma quando lo aprì rimase deluso dal contenuto; si era illuso di trovare qualcosa di solido e appetitoso al suo interno ma ciò che vide fu soltanto un liquido giallastro e denso.
Alzò la testa e incredulo guardò la donna: è uno scherzo, avrebbe voluto dire.
Lei, sorridendo e inclinando leggermente la testa, quasi gli avesse letto nel pensiero, disse: «Sì. Lo so, ma i muscoli deputati alla deglutizione devono abituarsi gradualmente, altrimenti rischia di soffocare, non abbia fretta, presto tornerà a mangiare, glielo prometto».
Lo aiutò a mettersi in posizione semi-seduta posizionandogli un cuscino dietro la schiena.
Le mani della donna per quanto magre e scheletriche, sembravano perfettamente in grado di prendersi cura di una persona.
Gregor ingurgitò la pappa semi-solida. Non aveva un cattivo sapore e comunque faceva scomparire la fame che aveva preso a trafiggergli incessantemente lo stomaco.
La donna se ne andò senza dire niente. «Posso chiederle cosa le è successo?», sentì dire ad una voce proveniente dalla sua destra. Apparteneva alla ragazza, sua compagna di stanza, di cui si era dimenticato.
Gregor la osservò per quanto possibile, prima di rispondere. Era giovane, piuttosto carina, con gli occhi color cielo incastonati in un ovale di alabastro.
I capelli castani, tendenti più al rosso, si avvolgevano in un groviglio inestricabile. Lei cercò di sistemarli raccogliendoli e avvolgendoli in una crocchia che le ricadde disordinatamente sul volto, donandole l’aria innocente di una bambina arruffata.
«Io… non lo so. Non ricordo».
«Capisco. Devono averla risvegliata da poco. Mi scusi, non dovrei parlarle, rischio soltanto di aggiungere altra confusione a quella che ha già in testa. Comunque mi chiamo Marla».
Continuava a non capire. Risvegliato?
Quella ragazza pareva conoscere bene la situazione in cui si trovavano. Gregor pensò che anche lei doveva essere lì per lo stesso motivo.
Prima che potesse rivolgerle altre domande entrò un uomo che senza dire niente si avvicinò al letto di Marla, le fece cenno di stare giù con la testa, premette il pulsante che sbloccava le ruote e iniziò a spingere il letto fuori dalla stanza.
Marla sollevò una mano e fece oscillare le dita in segno di saluto, il suo sorriso era molto rassicurante, sembrava non avere alcuna paura.
“Una mano che saluta. Una mano femminile. Un volto che conosco ma non riesco ad identificare. Mi saluta e poi l’auto parte. Se ne va”.
Quell’immagine si era stagliata nella mente di Gregor come un’esplosione, senza che potesse fare niente per reprimerla; sovrapponendosi al presente aveva assorbito completamente la sua attenzione, si era trattato di qualcosa di simile ad un sogno ma era avvenuto in stato di veglia.
Pensò che fossero dei ricordi che cominciavano a riaffiorare.
«Salve, signor McCullers!».
Gregor sobbalzò. La voce proveniva da qualcuno che si trovava ai piedi del suo letto. Non sembrava reale. Aveva qualcosa di insolito. Pensò che dipendesse dai farmaci che gli avevano dato o da qualcosa presente nella pappa giallastra che stava sorseggiando. Tutte quelle persone che entravano e uscivano dalla stanza in rapida sequenza, contribuivano all’intensificarsi del senso di vertigine e alla nausea che lo stavano assalendo.
«Sono la dottoressa Stanford, direttrice di questo centro. È un piacere conoscerla. Ho qui la sua cartella. Il suo nome è Gregor McCullers, nato nel 1980. È corretto?».
Lui annuì, continuando a fissarla. La donna aveva in testa una coltre di riccioli neri e sul suo volto cominciavano ad apparire i primi segni dell’invecchiamento: lievi rughe increspavano le sue labbra sottili.
«Signor McCullers?».
«Sì, 1980. È corretto». Non sapeva perché ma ricordava di essere nato nel 1980.
«Mi sa indicare la data odierna?».
Gregor strinse le labbra e scosse la testa.
«Bene. Perfetto. Dai referti delle analisi effettuate sembra che sia tutto a posto.
I suoi parametri sono soddisfacenti. Lei come si sente?».
Si sentiva ancora molto confuso, tutto scorreva troppo velocemente. Le parole gli uscivano con difficoltà e non riuscivano a stare al passo con i pensieri.
«Bene, credo… ma la ragazza?».
«Quale ragazza?» chiese incuriosita la Stanford.
«Fino a poco fa c’era una ragazza in stanza con me».
«C’era una ragazza in stanza con lui?» disse preoccupata, rivolgendosi all’infermiera.
«Sì, è appena stata dimessa».
La dottoressa Stanford parve sollevata dal constatare che Gregor aveva detto la verità.
«Bene. Continuiamo: lei sa dove siamo e perché si trova qui?».
Gregor stava per commuoversi. Pensò che finalmente avrebbe avuto delle risposte. Si chiese come mai fino a quel momento nessuno si fosse preoccupato di dargliele.
«N-no».
«Bene, allora è tutto nella norma, direi che possiamo iniziare. Prego, passiamo alla fase uno».
La Stanford parlando rapidamente e con sicurezza si girò verso il corridoio come se stesse chiamando qualcuno. Gregor non poteva credere che tutto questo stesse accadendo veramente.
«La lascio in compagnia della dottoressa Paula, la nostra esperta in psico-ingegneria. Lei le chiarirà alcuni aspetti della sua situazione e risponderà a tutte le sue domande. A presto Signor McCullers».
La direttrice Stanford se ne andò tornando nel nulla dal quale era emersa e Gregor al pensiero di vedere un’altra persona varcare la soglia della stanza, vomitò.
Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea del libro è nata in un modo non troppo originale. A quel tempo svolgevo un lavoro di otto ore in fabbrica e ascoltando la radio, come ogni giorno, ho sentito al notiziario la vicenda di una ragazza (credo fosse inglese) che aveva scelto di farsi ibernare finché non sarebbe stata disponibile una cura per la propria malattia, che al giorno d’oggi purtroppo risulta incurabile. Da quel momento ho iniziato a pormi alcune domande alle quali non sapevo trovare una risposta certa, ad esempio: che tipo di mondo avrebbe trovato al suo risveglio? Sarebbe stata in grado di adattarsi? Sarebbe stata accettata? E soprattutto, dato che dopo molti anni probabilmente tutti i suoi parenti e amici sarebbero morti, chi avrebbe potuto aiutarla? Dal tentativo di rispondere a quelle domande è nata la trama di questo romanzo.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
È stato abbastanza difficile, non tanto per le idee (prendevo appunti durante il lavoro su qualsiasi foglietto mi capitasse sotto mano e ne avevo accumulate molte) ma per il tempo necessario a metterle in ordine e dare loro un senso: con una famiglia e un lavoro che ti impegna 8-9 ore al giorno non è semplice ritagliarsi qualche momento di concentrazione alla tastiera. Così ho preso l’abitudine di svegliarmi alle 5 del mattino e scrivere fino alle 6 e 30 circa, in questo modo sono riuscito a portare a termine la stesura del romanzo, non senza addormentarmi talvolta seduto sul divano con il portatile appoggiato sulle gambe.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Prima di essere uno scrittore sono stato, come tutti del resto, un lettore. Ho sempre letto molto fin dalla più tenera età e continuo ancora a leggere appena ho un momento. I miei interessi possono spaziare dai Manga alla letteratura scientifica, passando per la poesia, il romanzo e i libri per bambini (che leggo a mia figlia prima della nanna e che spesso trovo meravigliosamente edificanti). La mia passione è la fantascienza e quindi non posso che risentire enormemente dell’influenza di Philip K. Dick ma mi piacerebbe (anche se non è nelle mie corde) riuscire a scrivere come Douglas Adams e Lewis Carrol, due autori che possono letteralmente trasportarti in mondi meravigliosi, deliziarti con le loro invenzioni, sorprenderti e farti divertire.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo in un piccolo e tranquillo borgo della Toscana, Loro Ciuffenna. Sono nato in un paese poco distante e mi sono trasferito qui quando mi sono sposato.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Mi piacerebbe continuare a scrivere, dato che ho ancora molte idee da sviluppare e che in un certo senso ne ho bisogno (è la mia terapia antidepressiva). Nell’ultimo anno ho cambiato lavoro, ho lasciato l’impiego fisso in fabbrica perché ho avuto la possibilità di lavorare a scuola come docente (Istruttore Tecnico Pratico), facendo supplenze annuali. In questa modo mi rimane molto più tempo libero da dedicare innanzitutto a mia figlia e poi alla passione per la scrittura, alla quale vorrei accostarmi in modo sempre più concreto.
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