
Edito da Corato Marilena nel 2020 • Pagine: 167 • Compra su Amazon
A volte pensiamo che comportarci come delle perfette casalinghe sia il modo giusto per far felici tutti. In fondo siamo a casa, siamo fortunate, o no? É quello che si chiede Sara, la protagonista del libro, che da due anni è caduta nel limbo dell'ansia. Le giornate per lei sono tutte uguali: porta le bimbe a scuola, pulizie, spesa e poi a casa. La sera vorrebbe parlare di argomenti interessanti con le amiche o in famiglia, invece si trova a discutere su sconti sugli ammorbidenti. Tutto questo rischia di farla impazzire, ma un giorno, mentre è intenta a pulire la cameretta delle figlie, accade qualcosa. Un amuleto trovato tra i peluches sarà in grado di portarla in un mondo parallelo, lì conoscerà una persona che l'aiuterà a trovare se stessa. Il resto è magia.

1
Novembre è il mio mese preferito. Si sta bene, non fa ancora troppo freddo e la frenesia delle feste è appena cominciata. Come ogni mattina, la sveglia emette quello strano sibilo quasi impercettibile che sveglia solo me e riesce ad alzarmi dal letto dolcemente; così ho la possibilità di fare colazione prima degli altri.
Vado in cucina, preparo il mio tè e lo sorseggio ancora bollente. Dieci minuti di silenzio che gusto fino all’ultimo secondo. Fin quando…
«Mamma!»
La belva si è svegliata.
«Amore della mamma, calmati, arrivo!» La prendo e la porto giù.
Ha tre anni, si chiama Adele ed è mammona all’ennesima potenza. La segue a ruota la mia primogenita Letizia, otto anni, fortunatamente più autonoma – si fa per dire –, che si dirige verso il bagno ancora con gli occhi chiusi e scaraventa il pigiama dove capita.
Spesso mi chiedo dove abbia sbagliato nell’educare le mie figlie: non mi sentono neanche. Non riesco a capire quale stregoneria venga usata per far mettere in ordine i giochi, le mutandine sporche dentro il portabiancheria e magari anche le tazze della colazione nel lavandino. Chiedo troppo?
Sì.
«Buongiorno». Ecco mio marito dirigersi verso il bagno in “modalità Letizia”, tranne che per il pigiama scaraventato. Credo che quella sia l’unica parola che gli esca dalla bocca prima di aprire la porta e andare a lavoro. Si sa, sono uomini, sono di poche parole… soprattutto al mattino. Peccato.
Sapete, io invece sono una gran chiacchierona; mi piace anche ascoltare, ma capisco che non possiamo essere tutti uguali. Perciò me ne faccio una ragione.
Intanto proseguono i preparativi per cercare di uscire di casa in orario. Accompagniamo la prima figlia a scuola e la seconda all’asilo. Mio marito va a lavorare e io torno a casa.
Non lavoro da circa sei mesi ed è la prima volta che mi succede da quando ho compiuto diciotto anni. Non sono abituata a stare a casa e fare la casalinga e, ad essere sincera, a quarant’anni suonati sto riflettendo davvero su un futuro diverso.
Perlustro accuratamente la zona salotto per vedere che cosa c’è da fare, e onestamente avrei tanto “da fare”, ma le faccende domestiche non sono il mio forte. Non fraintendetemi, la mia casa è abbastanza pulita, quindi… è appunto “abbastanza pulita”.
Opto per la cucina. Preparo montagne di verdure fresche che congelo per i pasti futuri, e poi passo ai secondi; spesso però mi accorgo che manca qualcosa e così esco a prendere il pane, ad esempio, e aggiungo un saluto alla tabaccaia e un caffè al bar. E poi ancora casa.
Se non ho lavatrici da fare e la casa è abbastanza accettabile, mi dedico a sistemare quei cassetti che di norma dovrebbero già essere in ordine, così subito dopo posso dire: “Bene! Sono già le undici e tre quarti. Devo preparare la tavola!”
Mio marito arriva quasi tutti i giorni per l’una e mezza, quindi il più delle volte, per non mangiarmi il tavolo, inizio a sbocconcellare qualcosa; ho troppa fame, una fame anomala e mi rendo conto che, oltre al cibo, divoro la noia che mi circonda.
Ecco mio marito che esordisce con un: «Novità?» Novità… ma quali novità? Per circa cinque secondi penso alla risposta, ma non partorisco niente ed esce il solito «Tutto bene». Ma tutto cosa? Stare a casa è noioso! Ti puoi riposare, è vero, e decidi tu i ritmi con cui programmare le faccende. Ma davvero c’è chi sceglie spontaneamente tutto questo?
Mi sono data anche alla lettura, ho letto più libri in questo periodo che nell’ultimo decennio, e questo è positivo; mi hanno aiutata molto, ma soprattutto mi hanno fatto compagnia.
Stando a casa perdi un po’ il contatto col mondo. A fine giornata mi piacerebbe poter raccontare qualche episodio lavorativo e invece mi ritrovo a parlare di sconti sugli ammorbidenti. Tutto questo ovviamente non interessa a nessuno. Le mie amiche lavorano e spesso senza capire il mio dolore se ne escono con la solita frase: “Beata te che stai a casa…” Certo, beata me.
Di solito mando loro il mio sorriso più finto; altre volte non ho neanche voglia di recitare, così faccio finta di non aver sentito e cambio discorso.
Al pomeriggio vado a prendere le bimbe a scuola, l’euforia di poter avere un pretesto per uscire non ha eguali, ma nonostante non le abbia viste per tutta la mattina mi sento scarica appena entriamo in casa. Ma è normale? Il senso di colpa, che accompagna questa mia sensazione giornaliera, mi schiaccia a terra come se fossi un insetto inutile. Questo senso di inadeguatezza nel fare la mamma e la brava donna di casa va in contrapposizione con quello che la società si aspetta da me e non parlo solo degli estranei, ma della mia stessa famiglia. Se ne stanno lì a compatirmi e a dirmi che dovrei fare qualche torta in più, leggere qualche fiaba in più, giocare un po’ di più con loro; come se questa fosse la soluzione. Il problema non è quello che dovrei fare con loro, ne sono sicura e certamente non ricordo di aver chiesto un parere a proposito, ma quello che ricordo è che non mi prendo più cura di me stessa, da troppo tempo ormai ed è per questo che adesso mi sento smarrita. E per prendermi cura di me non intendo giornate intere in una SPA – anche se ogni tanto ci vorrebbe-, semplicemente trovare il coraggio per farsi delle domande e nel migliore dei casi darsi anche delle risposte. Troppo difficile, lo so.
Ovviamente tra compiti di matematica, impegni e attività sportive – delle bimbe –, passo velocemente dal ruolo di maestra a quello di taxi. Ed è molto interessante, soprattutto se pensi che non ti è riconosciuto; in fondo sei a casa, sei molto fortunata. Davvero? Mah!
Oggi è venuta a trovarmi Francesca, la mamma di una compagna di Letizia. Mi ha scaraventato addosso tutta la sua frustrazione dicendo che è delusa da me perché mi sono un po’ allontanata. E’ vero l’ho fatto. Chissà perché le persone non si chiedono mai che cosa spinga un essere umano all’evaporazione sociale. Spesso è voluta e altre volte è forzata.
Nel mio caso sono entrambe le cose.
Dopo un periodo, come dire, faticoso, ho deciso di formattare la mia vita. Non pensavo fosse così difficile, ma quando non puoi farne a meno devi decidere sul da farsi al più presto o vieni inghiottita dalla “lingua nera”; che poi non sai neanche dove deciderà di digerirti, ma dal momento che il nero non è il mio colore preferito opto per qualsiasi altra strada.
Ritornando a Francesca, cerco di spiegarle il mio brutto periodo e lei quasi si sente in colpa per avermi giudicata male.
Non mi sono vergognata nel dirle che soffro di stati d’ansia. Non starò qui a spiegarvi i motivi per cui ho attirato questa “patologia”, né tanto meno le problematiche che una persona deve affrontare una volta entrata in questo tunnel. È solo un brutto periodo e spero vivamente di riuscire a superarlo.
Ci spero da quasi due anni e ogni giorno ringrazio il cielo per i miei progressi. Sono sempre stata una ragazza carina, simpatica e piena di amici, sempre in modalità ON. Semplicemente ora sono in modalità OFF. Capita.
«Bè, se proprio vuoi saperlo, mi sono inventata un sacco di scuse per non uscire con te, il più delle volte. C’erano dei momenti in cui non riuscivo proprio a gestire le crisi, e perciò…», dico di getto a Francesca, liberandomi.
«E perché non me lo hai detto prima? In qualche modo avremmo potuto…»
«Fare niente!», la interrompo. «Sono cose che devo risolvere da sola. E poi alla gente non piace avere a che fare con questi problemi», sospiro.
Mi abbraccia forte e non dice più nulla. In fondo anche lei è mamma, è di tre figli per giunta, quindi credo che un po’ mi possa capire. In quel momento mi sento più leggera; mi sembra davvero dispiaciuta e quell’abbraccio, per me, è più importante di mille altre parole.
Verso sera avverto un formicolio strano su tutto il corpo, quasi impercettibile a dire la verità, e molto piacevole. È davvero bello poter dire quello che si pensa senza nascondersi dietro a dei sorrisi di cera ed oggi pomeriggio ne ho avuto conferma. Ora posso andare a dormire tranquilla; diciamo come sempre “tranquilla”, ma è quella tranquillità che fa quasi paura.
Prima di addormentarmi rifletto su come cambiano le amicizie nel tempo. Dicono tutti di conoscerti bene ma nessuno è in grado di capire quando stai male. Anzi, presi da mille cose quasi ti scansano, perché in realtà le persone avvertono che c’è qualcosa che non va, ma sarebbe troppo faticoso spendere energie per starti vicino. Per fortuna, in quei momenti si ha la lucidità di vedere con altri occhi quello che ti circonda, focalizzando chi resta e chi se ne va. È un passo molto importante della vita.
Al mattino seguente, ancora quel sibilo nell’orecchio: “Dai Sara, alzati!” Il disperato bisogno di zuccheri mi trascina fino in cucina. Avanzo lentamente e mi metto a guardare attraverso la finestra. A quell’ora il tempo sembra si che possa fermare. Se non fosse per qualche auto che inizia a percorrere la strada davanti casa, penserei a un fermo immagine con me come protagonista principale.
Me ne sto immobile per qualche minuto e guardo le montagne già innevate, sono proprio immense.
Di solito fisso un punto preciso, il più alto, e con la mente mi immagino esattamente lì; poi rido perché soffro troppo il freddo e non reggerei neanche mezzo minuto.
A un certo punto il film si interrompe, sento il borbottio dell’acqua calda. È ora della tisana mattutina.
Passano quindici minuti e tutta la famiglia è in cucina a fare colazione.
«Ma ancora questi biscotti?», borbotta Letizia.
«Ringrazia di averli sul tavolo ogni mattina», rispondo nervosa.
Mi rendo conto di quanto siano piccoli i problemi a quell’età, ma non riesco a lasciar perdere; vorrei farle capire dei concetti di base, ma il più delle volte non ci riesco. Sono scarica già dal mattino. Ovviamente la piccola, imitando la sorella, mi propone la stessa scena qualche minuto dopo.
Basta, ci rinuncio.
Come siamo arrivati a non riuscire ad imporci con le nostre figlie? Mio marito scende in cucina e come un fantasma si prepara, mi sente sgridare le bambine e non batte ciglio, e quando si siede a tavola lancia loro un sorrisone. Bene!, mi dico, e così viene accentuata la parte della strega cattiva. Meglio sorvolare, è davvero tardi per aprire un dibattito sull’argomento. Rischiamo di trovare chiusi i cancelli di scuola.
Con un sorriso da ebete saluto la piccola mentre mi allontano dall’asilo.
«Ciao amore, fai la brava oggi». Salgo in macchina e rifletto sul fatto che la mia vita sociale terminerà tra pochi minuti, quando spalancherò la porta di casa e l’eco del salotto mi stringerà a sé pronto a divorarmi.
Il rumore dei miei sospiri mi ricorda la bronchite di mia figlia di qualche anno fa. È proprio vero che più c’è silenzio fuori e più riesci a sentirti dentro.
Mi dicono di trovarmi qualcosa da fare per occupare il tempo. Già, Il Tempo. Non voglio creare un diversivo qualunque che copra i miei sospiri, ma vorrei che proprio questi sospiri mi indicassero la strada giusta per migliorare, dal momento che molto gentilmente mi accompagnano per gran parte della giornata. Chiedo troppo?
I miei pensieri filosofici vengono interrotti dal trillo del mio cellulare.
«Ciao amore! Come stai?» È sempre squillante la mia amica Monica.
«Come sempre. Niente di nuovo», rispondo con l’entusiasmo di un bradipo.
«Dai Sara, è un solo un periodo. Passerà. Perché non scrivi? È terapeutico, lo dice sempre mia zia».
Vorrei dirle che non ho tempo, ma sarebbe falso. La verità è che a volte ho paura di farlo, perché smuove sempre qualcosa dentro di me. Che poi non sarebbe neanche tanto negativo, ma è più facile non vedere a volte. «Magari oggi ci provo. Okay?», farfuglio.
Sembra quasi che debba farle un favore, immagino la sua faccia mentre vorrebbe dirmi: “Ho quarantasei anni! Pensi che non abbia capito che stai scappando?”
Ma Monica è così, lei non supera mai i confini, non invade il tuo spazio ma cerca di condividerlo con te nel migliore dei modi; ed è per questo che le voglio bene.
«Ascolta, noi ci sentiamo dopo», mi dice, «anche perché se non ti sento quattro o cinque volte al giorno mi preoccupo, lo sai». Scoppiamo in una risata scema e chiudiamo la telefonata.
Col sorriso da quindicenne stampato sul viso fisso il telefono, come se lei potesse vedermi.
Nel frattempo mi ricordo di guardare l’ora – neanche avessi chissà quale appuntamento – e la mia testa parte con i suoi soliti pensieri. Penso a quanto sia importante essere realizzati, cercati, capiti. Quanto sarebbe bello alzarsi con una motivazione vera che brucia ogni tuo dubbio. Riuscire a non pensare mai a quando arriverà sera, ma accorgerti che è già sera! Andare a letto soddisfatti e pieni d’amore, così pieni da poterne dare agli altri e ricevere ulteriore soddisfazione.
Mi commuovo solo al pensiero. Sono lacrime di gioia, che mi fanno vibrare l’anima e che si interrompono bruscamente quando scorgo la pila di panni da stirare nella camera da letto. Dai super-mamma, c’è del lavoro per te! Non sei contenta?
Come no.

Come è nata l’idea di questo libro?
É nata per esigenza personale, uno di quegli esercizi che si fanno per tirare fuori le proprie emozioni. Poi mano a mano che le parole scorrevano sul quel foglio è nata una storia fantastica. Quella di una donna come tante, che prova a scappare dalla routine giornaliera e si rifugia in un mondo surreale per poter affrontare le proprie paure.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
A dire la verità, mi sono lasciata prendere a tal punto che non mi sono resa conto della fatica, anzi, aspettavo con ansia l’incontro con il mio Pc.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Federica Bosco, Anna Premoli.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo in provincia di Torino da quando sono nata.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Ho terminato da poco il mio quarto libro: un genere erotico-romantico, con una ventata di esoterismo. Mi piace buttarmi in diversi campi e vedere cosa esce fuori, l’importante è che io scriva, altrimenti divento irrequieta.
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