
Edito da Casa editrice Aletheia nel 2019
Due parole sulla trama de “I segreti di madre Lucia”
Questo romanzo, ultimo scritto, terminato nell’ottobre 2017, vede la luce, grazie allo sprono di alcuni amici che, dopo vari miei tentennamenti, mi hanno invogliato a mettermi in gioco, facendomi così entrare in un mondo a me del tutto sconosciuto e allora chiedo perdono, se nel mio scrivere si possono trovare mancanze di chi veramente esercita la professione dello scrittore ma fin dal principio del mio scrivere mi sonoprofessato essere solo uno scribacchino per hobby, comunque, nel mio seguito, vedrò di migliorami.
Nel romanzo si narra la storia di Luca Ancori, professore di fisica in pensione.
Un giorno, Luca riceve una strana telefonata. Una voce femminile lo invita a recarsi in un convento di suore, dove una suora anziana e molto malata, vorrebbe incontrarlo per poter confidarle cose molto importanti.
Nonostante la sua poca voglia, caratterizzata dalla sua giornata no, alla fine, qualcosa in se lo sprona a presentarsi all’appuntamento.
Nel faccia a faccia con l’anziana suora, (ora madre Lucia, il cui vero nome è Alda Ganci che in gioventù si era invaghita di lui ma da lui mai corrisposta), le racconta che durante la sua permanenza in missione, ha tenuto un diario e una volta rientrata in casa madre, l’ha nascosto nella cantina della vecchia casa dove erano cresciuti da bambini, supplicandolo di rintracciarlo, poiché su quelle pagine stanno scritte molte cose che lo riguardano da vicino ed ora, sentendosi prossima alla fine, ritiene giusto che lui ne venga finalmente a conoscenza.
Luca, più per curiosità che per altro, (poiché Anna, da lui più volte definita, persona priva di senno), decide di trovarlo. Così, dopo alcune peripezie, lo trova e incuriosito inizia a leggerlo, rimanendo più che mai sorpreso da ciò che lei, con ampi dettagli, aveva voluto affidare a quelle pagine del diario, mentre stava in missione.

di Gian Paolo Landoni
(Nilodan)
© 2019 Copyright Associazione Aletheia Board, Verona
° L’immagine di copertina è di Gianluca Bujan.
° Ringrazio l’amica Rita Fanchini per alcuni suggerimenti,
alcuni inglobati nella trama.
° La trama è di pura fantasia.
° Ogni riferimento a persone o a cose realmente accadute è del tutto casuale.
Personaggi
Luca Ancori
Professore di fisica in pensione
Suor Agata
Centralinista convento Sacra Croce
Madre Maria Giulia
Superiora convento Sacra Croce
Madre Lucia (Alda Ganci)
Amica di gioventù di Luca
Suor Adalgisa (Eloise Sared)
Suora infermiera di Santa Croce
Stefano dr. Risi
Cardiologo, amico di Luca
Anselmo
Ristoratore, amico di Stefano
Dantes
L’ubriaco della cantina
Octavien
Amico francese di Stefano
Ernesta
Moglie di Stefano
Nicol
Figlia di Stefano ed Ernesta
Padre Vincent
Missionario francese
Abele
Anziano direttore ditta di Octavien
Rock
Cane lupo di Abele
Laveglia Pasquale
Amico di Luca
Giuseppe
Albergatore di montagna
Ragazzi e ragazze (6)
Ospiti dell’albergo di montagna
Lucrezia
Colf di Luca
Fabiola
Bambina del parco
Cap. 1
La sveglia elettronica sul comodino di Luca Ancori aveva strimpellato l’ora puntata. Le sette. Luca, professore di fisica in pensione da qualche anno, volto socievole, capigliatura diradata e baffi grigi, rigirandosi nel letto, emanò più di uno sbadiglio.
Nove minuti dopo, ecco di nuovo la sveglia evocare l’ora del risveglio con il suo interminabile e fastidioso ronzio, sempre più insistente.
Giratosi dalla parte della sveglia, allungata la mano e individuato il tasto d’arresto del ronzio, schiacciandolo, tutto si commutò nel silenzio, favorendogli ancora qualche istante di dormiveglia ma poco dopo decise di darsi una mossa e di alzarsi.
Liberandosi da coperta e lenzuola, buttate indietro con i piedi, come da suo solito prese a stiracchiare quel suo metro e novantadue di ormai vecchio cestista.
Da ragazzino, la pallacanestro era stato il suo sport preferito, prima nella compagina oratoriana poi in una squadra di livello competitivo e se non fosse stato per quella brutta frattura alla caviglia, nella semifinale dei campionati regionali, tirata allo spasimo ma purtroppo persa dopo la sua uscita per l’infortunio subito, forse sarebbe riuscito a scalare qualche vetta in più. Una volta guarito, aveva riprovato a giocare ma capendo che non sarebbe stato più all’altezza di quel cestista di prima, poiché risentiva parecchio di quell’infortunio, le sue apparizioni in campo erano diventate sporadiche, così alla fine, seppur a malincuore, prese l’amara decisione di fare lo spettatore e giocare eventualmente qualche sprazzo di tempo nelle partitelle amichevoli pur di restare un po’ in movimento e non infossarsi a stare solo sugli spalti a vedere giocare gli altri.
Alla fine, lasciata l’attività agonistica, per qualche anno si dedicò ad allenare i ragazzini.
Ormai ci si stava avviando verso la fine di ottobre e il mese, dal punto meteorologico, sembrava rispecchiasse ancora settembre con le ottime temperature sopra la media stagionale che stavano durando da una decina di giorni ma quella mattina, alzando le tapparelle, di certo non si sarebbe mai aspettato di vedere un nebbione così fitto da non fare neppure scorgere le sagome delle abitazioni di fronte.
Osservando quell’inosservabile, rimase stupito e incollato alla finestra per alcuni minuti, scuotendo poi il capo per il repentino cambiamento del tempo, decise di andare in bagno a sbarbarsi, tuffandosi poi sotto una bella doccia calda.
Dopo essere andato in cucina per fare la solita colazione a base di tè e biscotti, si diresse verso il suo studio, ricavato in quella piccola cameretta, a suo tempo allestita per il figlio in arrivo, quando la moglie rimase incinta, ora del tutto trasformata nel suo studio privato.
Purtroppo quella gioiosa attesa di essere padre fu breve.
Alcuni mesi dopo quella gioiosa speranza, sintomi di uno strano malessere d’identità definita rara, aggredendo dolorosamente il corpo della moglie, presero il sopravvento e così lei fu costretta a svariate degenze in ospedale con somministrazione di cure di tamponamento, poiché farmaci specifici per quei suoi malanni, al momento non esistevano e probabilmente, anche a causa di ciò, perse il figlio.
Constatate le condizioni in cui ne uscì dopo le dure cure, a malincuore, sotto particolari aspetti, il loro modo di vivere la vita cambiò radicalmente ma non per questo quella loro grande voglia di continuare ad amarsi e volersi bene come sempre fatto.
Dopo aver acceso la luce dello studio, Luca si accomodò alla scrivania, sedendosi sulla sua rilassante poltrona di pelle nera dall’alto schienale reclinabile con sotto le rotelle e come spesso faceva, dedicò un po’ del suo tempo a sfogliare qualche giornale online.
Acceso il computer, attese con pazienza che facesse tutti i suoi rilevamenti e alzando lo sguardo al quadro della moglie, appeso a una parete, le rivolse un sorriso.
Per la verità, quel che lui chiamava quadro era un mega poster su cui c’era ritratta la moglie in tutta la sua giovanile bellezza. Era ritratta seduta su una poltrona di pelle scura con braccioli. Indossava una camicetta di lino a mezze maniche di color panna con bottoni dorati, su cui spiccava un delizioso girocollo d’oro con un pendente, fornito momentaneamente allo studio fotografico da un amico orefice della fotografa. Un’ampia gonna dal colore rosso le sfiorava i piedi su cui calzava sandali bianchi. Capelli castani ricci adornavano quel suo viso dal tenero sorriso giovanile.
Quel poster fu il regalo di un’amica della moglie, una fotografa di riviste di moda che saputo del bambino che aspettava, insistette tanto per poterla ritrarre in studio.
Dopo quella riverenza alla foto, Luca guardò verso la finestra e vedendo quel nebbione sempre denso, decise di starsene tranquillamente in casa.
Con calma avrebbe sistemato un po’ del suo disordine casalingo, avrebbe acceso la lavatrice, poiché fra qualche giorno sarebbe arrivata Lucrezia, la colf e perché no, visto il tempo che aveva a disposizione, magari si sarebbe anche ributtato sulla bozza di quel suo libro, ormai da parecchio tempo accantonata, cercando qualche nuova idea per poterlo continuare, rimanendo così al caldo anche per curarsi di quella fiacchezza che già da giorni si portava dietro e quella sua raucedine con tanto di mal di gola, che nonostante le svariate caramelle balsamiche che succhiava durante la giornata, non riusciva a passare, così che dalla scatoletta delle balsamiche ne estrasse una e continuando a leggere sul monitor, se la portò alla bocca.
Nel bel mezzo della sua lettura quotidiana online, prese a squillare il telefono.
Distogliendo il suo sguardo dal monitor, rivolse uno sguardo un po’ scocciato al cordless, sulla cui base lampeggiava una spia rossa, poi sbuffando, pur con voce rauca, decise di rispondere.
“Sì, pronto, pronto… sì, dica”.
Dall’altra parte, una giovane voce femminile, un po’ incerta, domandò.
“Buon giorno, sto parlando con il signor Luca, Luca Ancori”?
“Sì, sono io, mi dica”.
Rispose Luca mentre lentamente continuava a succhiare quella caramella balsamica.
“La chiamo dal convento delle suore di Sacra Croce, sono la centralinista”.
Luca, sorpreso, quasi s’ingozzò con la caramella, mettendosi a tossire e lacrimando. Ripresosi, si concentrò sulla telefonata. Un attimo di silenzio, poi la voce femminile aggiunse.
“Ecco… le sto telefonando a nome di madre Giulia, la superiora del nostro convento”.
Ci fu un attimo di esitazione, poi schiarendosi la voce rauca, Luca riprese più sorpreso.
“Signora, sinceramente io non so chi sia” …
Dall’altro capo, Luca fu subito interrotto dalla centralinista per una doverosa precisazione.
“Scusi, io non sono una signora, mi chiamo suor Agata e sono la centralinista del convento di Sacra Croce”.
A quel punto, ancor più sorpreso, Luca tentennò un attimo cercando poi di scusarsi.
“Mi scusi, non lo sapevo che stessi parlando con una suora, poi sinceramente io non conosco nessuna superiora dal nome Giulia e neppure questo convento di cui lei mi ha menzionato, non vorrei che avesse sbagliato numero di telefono”.
Suor Agata, con voce sempre gioviale, quasi a volersi discolpare, rispose.
“Per la verità, mi è stato detto di chiamare a questo numero, assicurandomi che a rispondere fosse un certo signor Luca Ancori, è lei, vero”?
Luca, guardando verso la finestra, diede conferma, rispondendo.
“Sì, vero, sono io Luca Ancori ma le ripeto di non conoscere nessuna superiora dal nome Giulia e sinceramente questo convento mi è del tutto sconosciuto”.
A quel punto, suor Agata, seppur un po’ nervosa ma cercando di non dimostrarsi tale, rispose.
“La prego signor Luca, attenda un attimo, per cortesia”.
La telefonata fu messa in attesa con una musichetta di sottofondo alta e gracchiante e nel sentirla, con una stizza, Luca allontanò il ricevitore dall’orecchio.
Di tutta quella telefonata, sinceramente non stava capendo proprio nulla e fu sul punto di pensare a qualche scherzo di cattivo gusto ma alcuni minuti dopo, dall’altro capo del filo, si sentì una voce dall’accento padronale, presentarsi.
“Buon giorno signor Luca, sono madre Maria Giulia, la superiora del convento di Sacra Croce, anche se ormai son trascorsi tantissimi anni, posso dirle di conoscere sua moglie, eravamo amiche e per alcuni anni, abbiamo frequentato le stesse scuole”.
Dopo una pausa, subentrata per un forte colpo di tosse, la superiora riprese, dicendo.
“Non so se lei si ricorderà di me ma io, su invito di sua moglie, ero presente al vostro matrimonio e sull’altare, ho letto una lettera di san Paolo apostolo”.
Sentendo ciò, si ricordò di una suora presente al loro matrimonio, poi se lei abbia letto una lettura di san Paolo o di altri, passato così tanto tempo, proprio non teneva memoria.
A quel punto, facendo una smorfia e scandendo un colpo di tosse, Luca rispose rauco.
“Si, dicendomi ciò, ora mi pare di ricordare di una suora, ma” …
Interrompendolo sull’attimo, la superiora, sempre con voce padronale, riprese col dire.
“Bene, bene. Sono contenta di aver chiarito questo punto, ora le sto telefonando a nome di madre Lucia, la quale desidererebbe vederla per poter parlare con lei in privato”.
Altra breve pausa della superiora ma Luca, capendo sempre meno di tutta quella telefonata, con nuova sorpresa, anticipò la superiora nel parlare.
“Scusi superiora, ora mi sta menzionando un’altra suora, madre Lucia, ma sinceramente non” …
Al che, fu prontamente interrotto dalla superiora che sempre con quella voce gli disse.
“Signor Luca, sì, madre Lucia afferma di conoscere sia lei sia sua moglie, eventualmente mi faccia parlare con lei, magari tra donne ci s’intende meglio”.
Sentendo rievocare la moglie, Luca rispose prontamente, usando un tono di voce sorpreso.
“Superiora, mi spiace non poterla accontentare, purtroppo mia moglie è da parecchi anni che non c’è più, comunque mi lasci dire, la prego, in tutta questa conversazione, la verità è che più si dilunga il discorso, devo onestamente dire che vado a capire sempre meno”.
Dall’altro capo del telefono, a quel sentire, la superiora si fece dispiaciuta.
“Mi spiace veramente, non lo sapevamo, la prego, anche se con molto ritardo, accetti le mie condoglianze e aggiungo pure quelle di madre Lucia che penso non lo sappia neppure lei”.
A questo punto, dopo un attimo di silenzio, la superiora optò per un’altra mossa.
“Signor Luca e se le dicessi invece il nome di gioventù di madre Lucia, forse la ricorderebbe”!
Da ambo le parti ci fu un lungo silenzio poi la superiora riprese, scandendo bene il nome primitivo di madre Lucia.
“Signor Luca, le rammenta qualcosa il nome di Alda Ganci”?
Sentendo quel nome, soffocando sul nascere una sua esclamazione, Luca si sentì rabbrividire e rimanendo stupito, domandando con voce un po’ sconcertata, dopo un profondo respiro.
“Scusi, lei mi dice Alda… Alda Ganci, ho capito bene, vero”?
Non attendendo l’eventuale conferma dalla superiore, continuò ora con voce più tranquilla.
“Alda, ah sì, Alda Ganci. Vero, sentendo questo nome, ora ricordo qualcosa, ma sa, essendo trascorso moltissimo tempo da quando la vidi per l’ultima volta, mi perdoni, di lei, sinceramente conservo solo un vago ricordo”.
Al questo punto, la superiora, espandendo una voce più gentile, premurosamente disse.
“Vero, madre Lucia, mi ha accennato dei tanti anni ormai passati, quando mi ha chiesto di volerla rintracciare e sinceramente per cercare il suo numero telefonico, abbiamo dovuto fare enormi acrobazie, signor Luca”.
Luca stava per chiarire il motivo per cui il suo numero telefonico non comparisse sulle rubriche telefoniche ma la superiora, l’anticipò dicendo con voce più serena.
“Ora, finalmente che l’abbiamo rintracciata, madre Lucia avrebbe un gran desiderio di poterla rivedere al più presto, prima di… morire, così spesso dice lei”!
Usando però un tono di voce più profondo per dare maggior risalto alle sue ultime parole, quasi volesse meglio evidenziare in quale situazione si trovasse al momento madre Lucia.
“Di morire e… e questo, cosa vorrebbe significare”?
Domandò Luca, molto sorpreso nel sentire le parole prima di morire ma sentendo improvvisamente dall’altro capo del telefono la superiora parlare con qualcuno, non disse altro.
Qualche attimo dopo, fu lei stessa a riprendere la conversazione, scusandosi per l’attesa.
“Mi scusi dello stacco ma avevo delle specifiche da impartire ad alcune delle sorelle”.
Chiarendo così, la superiora riprese il filo del discorso lasciato sospeso.
“Chiedo scusa se l’abbiamo disturbata ma stiamo facendo di tutto pur di soddisfare i desideri di madre Lucia. Il problema è, che purtroppo, sta attraversando un periodo molto critico e allora, concordato con tutte le sorelle, cerchiamo di fare il possibile per alleviarle in qualche modo le sue sofferenze. Ora, signor Luca, avendola rintracciata, sta a lei decidere se venire qui a trovarla. Comunque, qualunque sia la sua risposta, riferirò io stessa a madre Lucia”.
Luca guardò verso la finestra. La nebbia sembrava essersi leggermente diradata e allor disse.
“Superiora, per la verità, qui persiste il nebbione e non si vede a un palmo dal naso e come penso abbia intuito dalla mia voce, oggi sono rauco e presumo di avere anche qualche linea di febbre e uscendo in queste condizioni, non vorrei poi incappare in qualcosa di più serio”.
Allora la superiora, cercando un tono misto al supplichevole e al tempo stesso un po’ più persuasivo pur di tentare ancor più di convincerlo ad andare al convento, rispose lentamente.
“Comprendo quale problema tiene ma a detta del nostro medico di comunità, che ultimamente l’ha visitata, madre Lucia potrebbe avere veramente i giorni contati”.
Sentendo ciò, Luca prese a domandarsi se era o no il caso di recarsi al convento per sentire cosa mai avesse madre Lucia di così tanto importante da riferirgli, dopo così tanto tempo e pensare che lui se l’era definitivamente scordata mentre lei, a quanto pare, no!
Mettendo in bocca l’ennesima balsamica e guardando ancora verso la finestra, nonostante la ben poca voglia di uscire al freddo, sbuffando silenziosamente, optò per farsi coraggio, decidendo di recarsi al convento.
La superiora, sentendosi in qualche modo soddisfatta, con voce molto gentile, lo ringraziò.
“Allora l’aspetto e grazie signor Luca, a breve riferirò a madre Lucia che lei verrà”.
Conclusa quella conversazione, Luca rimase ancora qualche istante con il ricevitore in mano, poi depositandolo, cercò un riordino di idee per capire qualcosa in più di tutta quella strana storia, rivolgendo il suo sguardo al poster della moglie ma non riuscendo a venirne a capo più di tanto, decise di non macchiavellarsi la mente, lasciando il tutto a quando sarebbe arrivato al convento e incontrato Ada.
Non sapendo dove si trovasse il posto, consultò Google maps, decidendo di scaricare e stampare la parte finale della piantina, poiché fino a un certo punto, parte della strada l’aveva già fatta più volte, per altri suoi motivi.
Cap. 2
Luca, intabarrato nel suo giubbotto di pelle nera, con sciarpa avvolta al collo per tenere in qualche modo calda la gola e cappello calato in testa, nell’aprire la porta di casa, si diede una pacca in fronte, ricordandosi di aver lasciato qualcosa in studio.
E sì, delle sue balsamiche non poteva farne a meno, così ritornando velocemente sui suoi passi, entrando in studio, prese quella sua preziosa scatoletta, intascandola.
Chiusa la porta d’entrata, scese le due rampe di scale arrivando all’atrio dove, sul fondo a destra, c’era una porta di ferro che conduceva verso i sotterranei del condominio, dove erano ubicati i posti macchina.
Aprendola, scese, arrivando al suo posto. Salito sulla la sua Passat, poggiando la mappa sul sedile del passeggero, prese a salire la piccola rampa del sotterraneo.
Nell’attesa che si aprisse il cancello automatico, guardò l’ora e fatti due calcoli, pronosticò di giungere a destinazione in circa trenta minuti ma ahimè, imboccata la superstrada, si trovò subito fermo in un rallentamento. Vedendo la nebbia fitta che la faceva da padrona, sbuffò.
Dopo quasi un’ora di marcia, arrivò a destinazione ma dovette tribolare un bel po’ per scovare un posto dove poter parcheggiare la sua Passat.
Alla fine decise di parcheggiarla sul marciapiede del vialone, dove già c’erano site altre macchine, nonostante i cartelli evidenziassero bene esserci il divieto di sosta ma di ciò, a ben vedere, non fregava niente a nessuno, così decise pure lui di… fregarsene, trovando uno spazio fortuito, tra un furgone bianco mal tenuto e una vecchia Simca dai colori più vari. Guardandola, non poté fare a meno che ridere.
Essendo in una zona dai palazzi molto alti, la nebbia si era abbastanza diradata ma il freddo rimaneva ugualmente pungente. Dando un fugace sguardo alla mappa di Google che poi intascò, sistemandosi meglio, giubbotto, sciarpa e cappello ben calato in testa, imboccò una strada laterale per arrivare al convento. Lungo il tragitto, trovando un’edicola, si fermò a comprare il suo solito giornale, infilandoselo sottobraccio ma nell’indietreggiare senza guardare, urtò qualcosa, sentendo una voce femminile, imprecare alle sue spalle.
Voltandosi in fretta, il giornale gli scivolò dal sottobraccio ma la ragazza urtata, con fulminea prontezza di riflessi, riuscì a recuperarlo prima che cadesse sul marciapiede umido.
Ammutolito e sorpreso da quella prontezza, Luca la guardò in faccia per alcuni istanti.
Lei, restituendogli con gentilezza il giornale, contraccambiò con un cenno del capo e con passo di fretta, riprese il suo cammino.
A causa del volto semicoperto da una sciarpa rossa fin sul naso, Luca non riuscì a vederla bene in faccia, notando solo che la parte scoperta rispecchiava un volto giovanile e adocchiandola meglio mentre si allontanava, la notò avvolta in un lungo giubbotto scuro e in testa aveva una cuffietta di lana rossa da cui scendevano delle frange di capelli castani.
Ammaliato da quella figura longilinea, rimase immobile col giornale in mano a fissarla e sperando che si voltasse, rimase a guardarla, finché nel girare un angolo di strada, lei scomparve alla sua visuale, a quel punto, ritornando sui suoi passi, riprese la direzione verso il convento.
Guardando i vari numeri civici, trovò quel numero ventisette, verso la metà della via.
Arrivato davanti, notò una palazzina grigia su tre piani, molto estesa con recinzione metallica in acciaio e videosorvegliata, poiché dei cartelli col simbolo di una telecamera, posti su alcuni pannelli della recinzione, avvisavano che si era in zona videosorvegliata.
A ridosso del cancello d’entrata suonò al citofono. Qualche attimo d’attesa poi una voce femminile chiese chi fosse e ottenuta risposta il cancello automatico prese ad aprirsi.
Entrato e saliti alcuni gradini di marmo grezzo, si trovò davanti ad una porta blindata.
Dovette nuovamente risuonare il campanello, sito a lato della blindata.
Nel suo lento aprirsi, sorpreso, intravvide una nuova porta in vetro che nel suo lento scorrere si aprì una volta chiusa la blindata alle sue spalle e sorridendo, mormorò tra sé.
“Da qui sarà ben difficile uscirne se non ti aprono dall’interno, Ho capito, è un ospizio”!
Entrato, togliendosi il cappello, si diresse verso l’accettazione, dove due monitor in bianco e nero, visualizzavano in quattro fotogrammi la parte esterna del convento e l’altro il cortile.
In quello sul cortile, notò una persona intenta a sistemare qualcosa, in quello esterno, qualche macchina e delle persone transitare per la via.
All’accettazione, una suora giovane con un roseo volto e con voce frizzante, stava parlando al telefono, gesticolando. Di statura normale, vestiva un abito nero con in testa una cuffia nera su cui s’intravvedeva una riga bianca circolare. Di certo era bionda di capelli, poiché da sotto la sua cuffia facevano capolino alcuni filamenti di capelli biondicci.
Nell’attesa che finisse la telefonata, Luca prese a fissarla, lei sentendosi forse in imbarazzo, si girò lentamente su un fianco, abbassando il tono della voce, moderando i gesti. Terminata quel sua conversazione telefonica, si girò verso Luca, squadrandolo.
Lui, avvicinandosi al banco, disse con tono e sguardo serio.
“Mi chiamo Luca, Luca Ancori e ho parlato al telefono, circa un’oretta fa, con la superiora, suor Giulia”.
La suora, accennando a un sorriso, lo guardò informandolo di essere stata avvisata che sarebbe arrivato e uscendo da dietro il banco dell’accettazione, stringendogli la mano, si presentò.
“Buon giorno signor Luca. Io, sono suor Agata”.
Luca accennò a un breve sorriso e lei, facendogli cenno di seguirla, lo portò in una saletta, nell’attesa che arrivasse la superiora e accendendo la luce, lo fece accomodare, congedandosi.
Lui, essendo abituato a temperature più modeste, il forte calore emanato dal calorifero lo colse di sorpresa, così prese a slacciarsi il giubbotto, sbuffando lievemente per il caldo.
Nell’attesa che arrivasse la superiora, si accomodò su una poltroncina. Guardandosi attorno, notò il pavimento essere di un cotto semioscuro. Nel mezzo della saletta, spiccava un tavolo ovale di legno massiccio su cui primeggiava una tovaglia color panna con il finale in pizzo con quattro sedie rivestite di pelle scura. A centrotavola, un vaso di cristallo con alcuni fiori finti, bianchi, gialli e rossi.
Le pareti della saletta erano in tappezzeria chiara. Una parete era quasi interamente occupata da una libreria sulle cui mensole spiccavano alcuni soprammobili e svariati libri.
Fronte a lui stava una finestra chiusa su cui pendeva un tendone color porpora tirato per metà da cui filtrava una pallida luce, mentre le altre pareti erano occupate da quadri religiosi.
Luca dovette attendere un po’ prima che la superiora arrivasse e stufo di stare seduto, prese a curiosare i libri sulle mensole. Alcuni riguardavano biografie di santi, due volumi della Bibbia rilegati in pelle rossa con bordi dorati, altri tre libri in pelle, numerati con solo uno – due – tre, la Divina commedia, le confessioni di Sant’Agostino, i promessi sposi e alcune riviste religiose, su una mensola.
Dopo quella fugace occhiata, prese a curiosare dalla finestra che dava sul cortile, la cui pavimentazione era fatta da lastroni grigi di cemento, posati obliquamente mentre ai lati del cortile s’intravvedevano vasi alti e grossi, ognuno conteneva una pianta diversa.
Sul fondo, un cancello scorrevole automatico di colore nero, chiuso e vicino a uno dei vasi, stava un uomo in tuta scura, forse intento a pulirlo da qualche erbaccia.
Incuriosito dai movimenti di quell’uomo, ecco aprirsi la porta ed entrare una suora alta e magra.
Voltandosi, Luca si trovò di fronte una suora vestita di nero, in testa aveva una cuffia nera su cui s’intravvedevano due righe orizzontali bianche.
Accennando a un vago un sorriso, stringendosi la mano, si salutarono, poi la suora, cercando un sorriso, si presentò.
“Buon giorno signor Luca, sono madre Giulia Maria, la superiora di questo convento”.
Luca tentando di schiarirsi un po’ la voce, rispose con tono ancora un po’ rauco.
“Buon giorno, superiora. Come può notare, non sono al massimo ma ho deciso di venire, anche se questa storia, mi permetta di dirle, la trovo molto strana”.
La superiora abbozzò un mezzo sorriso, al quale però Luca non diede ricambio.
“La ringrazio d’essere venuto e mi spiace per i suoi malanni. Prego sì accomodi pure”.
E con una mano gli indicò la poltrona poi dopo qualche attimo, continuò.
“Ebbene signor Luca, prima di portarla da madre Lucia, la vorrei informare di qualcosa”.
Mentre Luca si accomodava su una poltroncina, mettendosi comodo, madre Giulia, prendendo una sedia, si sistemò di fronte a lui.
Nella saletta, per qualche istante calò il silenzio, interrotto poco dopo dall’aprirsi della porta su cui apparve suor Agata, avvisando la superiora di una telefonata per lei.
Lei, girandosi verso la porta, accennò con la mano che non voleva essere disturbata, dicendo a suor Agata, con un tono di voce un po’ seccato.
“Chiunque mi cerchi, non ci sono per nessuno, casomai inventi lei qualche buona scusa”.
Suor Agata annuì col capo e sempre con un movimento del capo indirizzò a Luca un saluto, chiudendo la porta dietro sé.
Sistemandosi meglio sulla sedia, la superiora riprese più distesa, presentandosi.
“Sono superiora di questo convento da oltre dodici anni e a giorni ritornerò in casa madre, poiché il mio mandato sta giungendo al termine”.
Detto questo, si fermò a guardare Luca che stava osservando le sue mani, preda di un leggero tremolio e lei, quasi a volersi scusare, se le portò subito al petto, conserte.
“Scusi, ma è la mia artrite e quando si risveglia, inizia a farsi sentire”.
Luca, cercando di toglierla da quell’imbarazzo, emanò un sorriso di prassi, rincuorandola.
“Non si deve scusare di nulla, superiora, ci mancherebbe, purtroppo gli acciacchi colpiscono senza preavviso e per la verità, ne so qualcosa anch’io, quando i miei si mettono in moto”.
E lei, cercando un vago sorriso, posando lentamente le sue mani sulle ginocchia, disse.
“Ecco, a proposito di madre Lucia, volevo dirle, che pur essendo una sorella dolce, lei ha dei modi di comportamento tutti suoi e a volte quando s’impunta su qualcosa è meglio…”.
Per un attimo si fece silenziosa, lasciando a Luca silente e dalla faccia pensierosa, l’eventuale immaginazione. Di lì a un attimo però continuò quel suo discorso.
“Ecco. Circa quattro anni fa, la sua salute subì un aggravamento piuttosto pesante e voci provenienti dalla missione in cui si era offerta lei personalmente d’andare, dicevano che era molto provata. Dopo il parere della casa madre, iniziarono le pratiche per rimpatriarla al più presto, sperando che non ci rimanesse prima, ma grazie al cielo, la cosa si risolse al meglio. Sì, vero, madre Lucia dovette rimanere allettata per un mese e più, facendo cure specifiche prescritte da un nostro dottore e recapitate laggiù dalla nostra sede centrale e grazie al cielo, pian piano si riprese in modo del tutto accettabile. Ci volle però tanta pazienza da parte sua e delle altre sorelle, specie nei giorni in cui non si capiva, dato le sue molte crisi di cuore e di asma, se sarebbe sopravvissuta. Ripresasi abbastanza e visti i progressi, si decise di rimpatriarla. Da quel che poi si è saputo, laggiù, alle prime avvisaglie dei suoi malanni, veniva curata con delle erbe che usavano le persone del posto, detto da loro, erano erbe super miracolose, detto tra noi, roba da stregoneria. Quando finalmente rientrò, per qualche tempo rimase in cura in casa madre, poi ripresasi abbastanza bene, i superiori decisero di mandarla qui da noi”.
La superiora si fermò un attimo guardando Luca che sembrava molto interessato a quel che le stava raccontando, poi proseguì.
“Come ben saprà, da noi l’aria non è poi delle migliori. Io ho solo ricevuto l’ordine di ospitarla e così l’ho accolta nella comunità senza mai fare domande e pensare che abbiamo una casa ai monti e un’altra al mare, certamente luoghi più adatti, in questo caso, per lei”.
Luca aveva gli occhi socchiusi e la superiora si fece preoccupata, domandandogli.
“Qualcosa non va, signor Luca, desidera bere una bibita, un caffè o altro”?
Facendosi più sereno, passandosi una mano sulla fronte, Luca si giustificò, dicendo.
“No, grazie superiora, tutto risolto, ora va molto meglio”.
La superiora si sentì più sollevata e qualche istante dopo, sentendo aprirsi la porta, si voltò.
Sulla porta si affacciò una suora in abito bianco facendo un cenno col capo alla superiora, la quale, con un cenno di mano, indicò di aver capito e così poco, alzandosi lentamente dalla sedia, cosa che fece pure Luca dalla poltrona, sistemandosi il giubbotto, si diressero verso la porta.
Varcata la porta, superiora e suora, si parlarono sottovoce per pochi istanti.
Luca, essendo un po’ distante da loro non intese nulla.
Indicando poi le scale, la superiora fece cenno a Luca di seguirla, salendo al piano superiore.
Cap.3
Giunti sul piano di sopra, ad attenderli sul pianerottolo c’era la suora in abito bianco e in fila indiana percorsero un pezzo di corridoio dalle luci soffuse, dove da ambo i lati, le porte sembravano chiuse, arrivando così a una porta semiaperta.
Entrarono in un piccolo studio, dove la luce interna, fioca, era emanata da una finestra da cui scendeva un tendone color mattone, calato quasi a metà.
Entrando, la superiora si diresse verso una figura in ombra, seduta su una carrozzina che dava le spalle alla porta d’entrata, Mettendosi dirimpetto, inchinandosi alla sua altezza, prese a sussurrarle qualcosa per poi girare lentamente quella carrozzina verso la porta mentre la suora vestita di bianco, attivando un interruttore a lato della porta, illuminò meglio quell’ambiente.
Sotto quella nuova luce, Luca, ancora fermo sulla soglia della porta, prese a guardarsi un po’ attorno, notando un pavimento fatto di piastrelle grigie, pareti e soffitto tinte di bianco, soffermandosi di più sul lampadario di ottone con luci smerigliate che pendeva dal soffitto.
Fronte a lui stava una piccola libreria con due quadri ai lati e a sinistra, fianco finestra, uno scrittoio con una poltroncina nera. Due sedie di pelle stavano addossate a una parete.
Posando lo sguardo sulla suora in carrozzina, notò avere una benda sull’occhio destro mentre lei, in silenzio già da qualche attimo lo stava fissando. Luca, si sentì avvolgere da un brivido. Nonostante tutto il tempo ormai trascorso l’aveva riconosciuta.
Non c’era dubbio, seppur invecchiata, era proprio lei, Alda Ganci, ora madre Lucia e con occhi semichiusi e con un volto un po’ triste, rimase a fissarla.
In quell’ambiente dal silenzio più che stagno, Luca, sentiva su di sé lo sguardo della superiora e più intenso, quello di Alda. Rabbrividì nuovamente, intuendo da quei loro sguardi che lui dicesse qualcosa, invece decise per un assoluto silenzioso ma qualcosa in lui lo spinse ad avanzare di qualche passo ma vedendo la superiora affiancarsi alla suora vestita di bianco, che nel frattempo si era messa al fianco della superiora, parlare sottovoce e lei, che con cenni del capo acconsentire a quel che le stava bisbigliando, rimase come bloccato.
Luca, in quel suo disagio, ripeteva a sé stesso di aver sbagliato ad accettare quell’invito di rivedere Alda. Certo sarebbe stato più sensato declinare da subito quell’invito, rimanendosene a casa al caldo ma col se di poi, molte cose si pensano solo dopo e di certo, ora non poteva girarsi sui tacchi e andarsene all’improvviso, quale magra figura avrebbe poi fatto? Niente, ormai si era incastrato da solo e ora doveva solo affrontare al meglio la situazione.
Volente o nolente, doveva sforzarsi di stare sereno e capire il perché Lucia avesse chiesto di poterlo vedere… “Prima di morire”. e quella frase si fece rimbombante nella sua mente.
La superiora, tornando presso la carrozzina, lo distolse dai suoi pensieri e una volta accanto a madre Lucia, prese a presentarla a Luca.
“Signor Luca, ecco, questa è madre Lucia”.
Guardando la suora, lui sfoggiò un piatto sorriso, da lei, ricambiato allo stesso modo.
Dopo il cenno della superiora di avvicinarsi, Luca si diresse lentamente verso la carrozzina.
Quando gli fu di fronte, ambedue presero a fissarsi in un serio silenzio poi lei, tendendogli la mano destra per salutarlo, sfoderò un sorriso, mostrando quei pochi denti che ancor teneva.
Luca, pur senza convinzione, gliela strinse mentre con voce debole, rivolgendosi a lui, gli disse.
“Ciao Luca, come vedi, portando via ogni giovinezza, il tempo fa invecchiare tutti e come potrai notare, io non ne sono immune. Nonostante ciò, spero ti ricorderai ancora di me”.
Si fermò un attimo a respirare profondamente, riprendendo poi con voce più sciolta.
“Vero, in queste condizioni, risulterò molto cambiata da quella persona che avevi conosciuto a suo tempo e sì, a ben vedere, ne è passato di tempo da quel tempo”.
Luca continuava a fissarla e lei, appoggiandosi meglio allo schienale, proseguì.
“Dalla luce dei tuoi occhi, vedo che ti ricordi ancora di quell’Ada ed io mi ricordo anche quando da piccoli giocavamo nel cortile e quando ti facevo arrabbiare e tu con grinta tiravi le mie treccine ed io urlavo come una disperata, ridendo quando però tu le prendevi”.
Capendo di essere d’impiccio nella loro conversazione, prima di congedarsi, la superiora, ammorbidendo lo sguardo, fece cenno a Luca di accomodarsi su una sedia, dicendo che li avrebbe lasciati soli a parlare e quando l’altra suora ebbe sistemato la carrozzina di fronte a Luca, dopo un ultimo sguardo, la suora vestita di bianco ricordò a Lucia che più tardi sarebbe venuta a prenderla per fare la solita iniezione, detto ciò, superiora e suora si congedarono.
Sentendo chiudersi la porta, madre Lucia riprese il suo discorso, non prima d’aver sbuffato sul fatto della puntura da fare, dicendo quasi scocciata.
“Le punture, sono stufa, alla fine, sono piena di buchi sulle cosce”.
Cambiando subito argomento, rivolgendosi a Luca, sfornando un mezzo sorriso, gli disse.
“Ebbene, dai non fare quella faccia pensierosa, non sono un fantasma, sono semplicemente io, sì, quell’Ada Ganci che hai conosciuto in tempi migliori e poi divenuta serva del Signore, scegliendo il nome di madre Lucia, nome che al maschile mi è sempre piaciuto e di certo avrei optato per darlo a un mio figlio…”.
Lasciando la frase a metà guardò Luca poi abbassando il capo farfugliò qualcosa, parole che Luca non riuscì a comprendere, poiché dette con voce quasi impercettibile e sommerse da alcuni colpi di tosse.
Luca, nel suo serio e muto, fissava Lucia che fatta una pausa per meglio respirare, continuò.
“Ecco, venendo a te, da quel che noto non sei molto cambiato e ora, nel rivederti, posso affermare che sei come ti ho sempre immaginato, anche se ora hai alcune calvizie”.
E dopo questo suo sfottò, cercò di trattenersi dal ridere ma riuscendo solo a metà, prese a tossire forte e dalla manica della sua veste, sfilò un fazzoletto grigio, asciugandosi più volte la bocca, chiedendo poi scusa per quel piccolo inconveniente.
Luca, alzandosi lentamente dalla sedia andò verso di lei, abbassandosi alla sua altezza. Appoggiandosi con le mani sui braccioli della carrozzina, cogliendola alla sprovvista, gliela scosse leggermente, mostrandosi con un viso serio ma lei non si scompose, anzi cercò di ridere mentre lui, così accovacciato, ironicamente le disse.
“Sì, Alda, oh scusami, veramente ora, per prassi dovrei chiamarti madre Lucia, anche se come nome adottato a me piace poco, comunque contenta te… però devo dirti, che nonostante gli anni trascorsi, le linee del tuo volto non sono poi variate eccessivamente”.
Si fermò un attimo e cercando garbatamente di mentire riprese col dire.
“Ti prego, accetta le mie scuse se da subito ho stentato a riconoscerti ma sai, tra chiaro e scuro e la vecchiaia che avanza, la vista va calando”.
Notando che stava mordendosi le labbra, si fermò un attimo, aspettando una sua eventuale reazione che però non ci fu, allora continuò e pian piano, senza accorgersi prese a sfogarsi.
“Veramente, sotto questa luce morbida, sto notando che hai ancora un bel viso nonostante qualche rughetta e pure una fasciatura sull’occhio. Ora, qui da vicino ti riconosco meglio. Vero, sei tale e quale a prima. È molto difficile scordare una persona come te. Sei sempre stata unica in ogni cosa, poi col tuo mostrarti sempre all’altezza di tutto, non ti accorgervi che facendo così eri diventata insopportabile. Hai sempre avuto la mania del protagonismo ma a tal proposito, nonostante il tempo trascorso, vedo che ancora ora non fai nulla per uscire da quel mondo che ti eri creata da sola. Io ho sempre pensato che alla fine saresti andata alla deriva e questo vederti vestita così, mi dispiace dirtelo, ma per me è più di una prova, poiché questo ruolo che stai ricoprendo, non si addice affatto alla tua natura, stai solo dissacrando quegli abiti”.
Troncò lì il discorso anche perché a sentire quelle amare verità, lei si era rabbuiata in viso.
Dopo un attimo di esitazione, facendo perno sui braccioli della carrozzina, rialzandosi lentamente, si ricompose rimanendo dritto davanti a lei.
Ritornando a sedersi, accavallò le gambe e nel fissarla serio, additò a quell’occhio bendato. Lei però stava guardando nel vuoto ma poi scuotendo testa, fissando Luca, rispose con garbo.
“Luca, tutto a suo tempo. La storia è piuttosto lunga ma sapevo già, che vedendomi così, prima o poi me l’avresti chiesto ma per la verità, la mia intenzione è lasciare l’argomento come ultima discussione, poiché ora preferirei parlarti di tutt’altre cose”.
Mentre lei cercava di sfoggiare uno dei suoi soliti sorrisi che iniziavano a irritarlo, lui, rimanendo silenzioso, non si compose. Qualche attimo dopo, lei riprese a dire.
“Ecco, di una cosa ne sono certa. Non so, ma se qualche volta ti sarebbe balenata l’idea di pensarmi, presumo che mi avresti data per morta e sepolta e senza dispiacere”.
Luca non disse nulla mentre lei, toccandosi un attimo la fasciatura, prese a fissarlo, in modo serio.
“A essere sincera, ti voglio informare che la morte l’ho sfiorata più volte ma come vedi, lei non ha osato rapirmi e superati i momenti critici, mi veniva sempre da pensare che nonostante tutto, la mia ora era ancor lungi da venire” ….
E qui fu stroncata da forti colpi di tosse, poi ristabilitasi, continuò.
“… Mi sa che quello di lassù, sembri voglioso di far tribolare ancora un po’ coloro che mi accudiscono e spesso a loro vado a dire che avranno ancora delle colpe da espiare”.
Luca, decise di non provocarla ma di giocare ancora con la sua pazienza, così incrociando le braccia, attese novità da lei, cosa che però andò per le lunghe.
Madre Lucia, chinando la testa in avanti, sembrava essersi immersa in una pausa di riflessione mettendo in mostra sintomi di nervosismo dati dai movimenti scomposti delle sue gambe.
Dopo quella lunga pausa di silenzio, alzando il capo, guardò Luca, decidendo di arrivare al nocciolo della questione per cui aveva chiesto di vederlo e convincendo sé stessa di accantonare ogni altro sorrisetto, prese a dire le cose come stavano.
Sistematasi meglio sulla carrozzina e fatto un lungo sospiro, con voce chiara, s’aprì.
“Ebbene Luca, ho insistito tanto nel cercare di vederti poiché vorrei portarti a conoscenza di cose che non ho mai confessato a nessuno, neppure a un sacerdote”.
E qui si fermò un attimo, fissando Luca che sembrava una statua di pietra, avendo il volto pallido e le mani conserte, tanto se ne stava immobile su quella sedia.
Sbatteva solo le palpebre a ritmo uguale senza muoversi a cenni di curiosità su quel che lei aveva appena accennato, ma non volle chiedergli nulla di personale, così riprese.
“Quando, anni dopo, compresi qualcosa in più della vita, capii quali fossero le vere motivazioni dei nostri genitori per sposarsi nello stesso giorno in quella chiesetta fuori borgo, dedicata a Maria Assunta. Ecco allora svelata la storia, la causa della loro fretta eravamo noi che già scalpitavamo dentro loro. Quando a volte ci penso, ci rido su”.
Da qualche minuto, Luca stava notato che lei parlava con un po’ di fatica e quando giungeva al punto critico, fermandosi per riprendere il fiato, era costretta a tossire.
Riprendendosi, continuò a parlare, prima con voce normale, poi un po’ più tremate.
“Essendo una bambina curiosa e cocciuta, una volta chiesi a mia madre il perché, a pochi giorni di distanza da me, nascesti pure tu e lei con uno sguardo sorpreso, ricordo ancor oggi cosa mi disse, che probabilmente pure i tuoi genitori, da subito, avevano deciso di avere un figlio ma poi scomparso l’attimo di sorpresa, prendendomi in braccio e stropicciandomi con la mano i capelli mi avvolgeva di baci. Lo ricordo ancora come fosse ora”.
Notando Luca ancora in statua, lo squadrò seria ma dopo un attimo decise di continuare.
“Alla luce dell’oggi, questi fatti non sarebbero più tenuti nascosti, ormai il mondo è cambiato, il clima è diverso dal nostro e si direbbe senza vergogna che per volersi bene, beh, insomma mi capisci, hanno scelto l’attimo sbagliato e ormai oggi a vivere insieme, senza sposarsi in chiesa come si usava in tempi remoti, è diventata una moda e non facendo più una piega, si risparmia pure”.
A quel punto, Luca mostrandosi un po’ annoiato dalla piega presa dal discorso, cercò di trovare una via d’uscita, cercando in qualche modo di poter troncare tutto e svicolarsi così da lei ma non ebbe il coraggio di farlo fino in fondo. Qualcosa dentro gli era contrario e così iniziò ad ammorbidire la sua voglia di andarsene, dicendo.
“Lucia, dimmi, questa storia deve proseguire ancora per le lunghe”?
La fissò un attimo, pensando che lei rispondesse ma rimase muta, allora riprese il filo del discorso con voce seria e pungente.
“Come ben sai, quel che mi stai raccontando, non essendo ignorante, lo so pur io e non c’è più nessun mistero da svelare. Alla fine di tutto, se hanno voluto amarsi fin da prima del matrimonio, a noi che interessa se siamo nati prima del previsto di calcoli che altri, a loro insaputa, avevano fatto e ora siamo qui. Io sono contento così e ormai queste cose, come ben sappiamo, sono acqua passata. Sinceramente, dopo tutti questi decenni, non so cosa tu voglia da me, mi auguro che non sia solo per questo motivo che hai chiesto insistentemente di vedermi, così pur avendo poca voglia di uscire al freddo, nonostante la mia raucedine e la mia febbriciattola, ho deciso di accettare la tua richiesta”.
Lucia, stendendogli una bozza di sorriso, gli disse.
“Se hai deciso, anche se mai me lo dirai apertamente, in te c’è stato qualcosa in più di una semplice accettazione per spingerti a rivedermi, sii leale almeno in te, vero”?
Anche se in parte era vero, cercò di far finta di non avere sentito nulla e poiché la sua gola si era fatta secca con qualche sintomo di bruciore, avvalendosi del solito suo rimedio, dalla tasca tolse la scatoletta delle balsamiche, offrendone una a Lucia ma lei rifiutò.
Prendendone una per sé la mise subito in bocca e richiudendo la scatoletta, l’intascò.
Sentendo Lucia col il respiro affaticato, Luca si fece preoccupato ma lei, dalla tasca del suo abito, levò un tubetto verde e ispirando profondamente, prese a farsi due puff in bocca, inspirando molto profondamente ma una volta avvitato il tappo del tubetto, prese a guardarlo un attimo per poi giocherellarci, passandoselo da una mano all’altra.
Luca la stava osservando da un po’, Lei, accorgendosene, le inviò una smorfia visiva, poi intascando il tubetto, quasi sottovoce si rivolse a lui.
“Sinceramente è da un’eternità che non abbiamo avuto più contatti e forse tu sarai stato pure contento di non avermi più né vista né sentita, vero”?
Luca fece ancor finta di non averla sentita, al che lei riprese.
“E sì. Sono sicura che sia così. Questo te lo leggo dentro, poiché è da un po’ che sto osservando le espressioni del tuo viso e loro mi dicono che una parte di te vorrebbe andarsene ma l’altra parte è molto curiosa di sapere altro da me. Ti prego rilassati, dammi tempo e saprai molte altre cose. Vero, avrei tante cose da dirti e da me mai confessate, come dicevo all’inizio e ora, anche per via della vecchia amicizia, vorrei confidartele prima che sia troppo tardi, garantendoti che quel che andrò a dirti è solo pura e santa verità. Si, solo verità”.
Si fermò a riprendere fiato guardando Luca con serietà.
Luca rimase impassibile, allora lei, muovendosi un po’ sulla carrozzina, continuò.
“Sì, ti confesso che ho peccato e nulla ho mai confessato, avendoti sempre nei miei ricordi, così un giorno, sentendomi isolata da tutto ciò che succedeva in quel mondo tutto mio, come dicevi prima tu, decisi di lasciarmelo alle spalle e confidarmi con un quaderno. All’ultimo momento, prima di andare in missione, ne misi in valigia ben tre e alcune biro rosse e blu, per la verità senza sapere al momento che farmene ma dopo alcuni mesi di missione decisi di utilizzarne uno come diario. Quando decisi di confidarmi con lui, scrivendo su quelle pagine alcuni particolari delle mie giornate, le prime volte mi sentivo tremendamente stupida, mi sembrava di essere ritornata ragazzina, quando al diario si confidavano i propri segreti e quante volte sono stata con la biro penzolante dalla mano a chiedermi se alla mia età era ancor fattibile fare ciò, poi scrivendo, pian piano, ogni peso scompariva e nel sentirmi più serena iniziai a confidarmi con quelle pagine che spettavano solo le mie confidenze”.
Lucia si prese una pausa per riprendere fiato ma Luca nel seguire il suo discorso, notò che ultimamente parlava con lo sguardo un po’ smarrito e di tanto in tanto, la testa le ciondolava leggermente. Si notava che era tesa ma poco dopo, riprendendosi, si rivolse a Luca con voce tranquilla.
“Vero Luca, ultimamente ti ho fatto cercare fino all’impossibile, poiché da amico vorrei che tu leggessi quelle mie pagine di confidenze, augurandomi che quando io non ci sarò più e sento che ciò avvererà presto, ogni tanto, dedicassi una prece a quest’anima, che pur decidendo di seguire un’altra strada, ti è stata sempre amica”.
Alla luce di quel che aveva appena detto, in Luca si estese maggiormente la convinzione che quel che aveva detto all’inizio, quando si sfogò. Senz’altro, anche a causa della sua malattia, a ben vedere, era molto peggiorata dai tempi che si frequentavano in amicizia, decidendo a questo punto d’intervenire nel discorso, rompendo il suo lungo silenzio.
“Senti Lucia, io per prima cosa non sono un prete e perciò il peccato altrui non m’interessa minimamente, ho già del mio e mai mi è mai balenato l’idea di farmi venire la vocazione per indossare una tonaca e stare a sentire tutte le baggianate in confessionale, mamma mia che pazienza dovrebbero avere lor signori e obbligatoriamente assolvere i peccatori con un’adeguata penitenza, in conformità ai casi, anche se le menti dei preti sono molto variabili tra loro, poiché tra uno e l’altro, sugli stessi argomenti, ci sono differenze abissali che il più delle volte ti scombussolano e non sai a chi veramente credere”.
Si fermò un attimo per deglutire e schiarendosi la voce, riprese con tono più tranquillo e fissandola un attimo, accennò a portare due dita incrociate alla sua bocca, come segno di non interromperlo fino alla fine, poiché aveva notato che lei stava per intervenire, così alzandosi ritto davanti a lei, continuò.
“Lucia, per il bene di entrambi, facciamo finta che questo nostro incontro non sia mai avvenuto, così ci separiamo come due vecchi amici, salutandoci definitivamente Detto questo, in me, vorrei solo ricordarti com’eri l’ultima volta che ci siamo visti a quella cena di fine anno scolastico. Vorrei ricordarti sorridente e felice come non mai e pure io ero felice di vederti così, pensando che finalmente avessi capito che per me non eri l’amore, ma solo una cara amica. Vero, ci siamo rivisti per caso mesi dopo, tu eri sempre sorridente mentre io stavo in crisi. Giorni addietro, avevano litigato, sì, a ben vedere, il tutto per una sciocchezza e facendo così, pensavo di averla persa e tra noi poi è successo quel che mai sarebbe dovuto accadere. Il fatto che non ho calcolato, è stato, quando da parte tua, ci fu quell’improvviso atto di consolazione nei miei confronti e così la mia vita, per un lungo periodo rimase scombussolata”.
Lucia stava per intervenire ma Luca la zittì con un cenno di mano, proseguendo.
“No, lasciami finire, ti prego. Ora sto veramente pensando che quel che dicevi di sentire per me, quel tuo amore, mio no di certo, non l’hai mai disperso e lo sento ancora dalle tue parole. Sinceramente io non ti ho mai amato e ben lo sapevi ma tu ancora oggi vai a confondere quel che in quel giorno purtroppo è successo come se di punto in bianco, in me fosse nato l’amore per te. No, no, ripeto, in quel momento, quello non ero io. Non lo nego di averti abbracciata e baciata ma più ci penso, rimpiango di non aver compreso subito quale errore stavo commettendo e così ci si è trovati uniti nell’intimità più pura”.
Luca, a quel punto si fermò senza andare oltre e ambedue si fissarono negli occhi.
In un sottofondo di silenzio che lo umiliava, si sentiva ancora schifato per quell’accaduto, mentre Lucia, accennando a un sorriso ironico, prese a dire.
“Sii almeno sincero, alla fine ti è piaciuto o no? Ricordo, a me moltissimo, anche se in un momento di enorme sofferenza, a un altro avevo già concesso la mia verginità”.
Al sentir ciò, Luca rimase più che mai sbigottito che lei, come se nulla fosse e come se fosse la cosa più innocente del mondo, gli abbia sventagliato in faccia quell’altra sua esperienza avuta con un altro, perlopiù mescolata a un tenero sorriso sulle labbra.
Luca la fissò con sguardo cupo ma non gli diede soddisfazione di risposta.
Nello studio calò un silenzio profondo, Lucia, con il solito fazzoletto grigio, si sfregò più volte l’occhio sano, irritandolo, poiché via il fazzoletto, l’occhio stava nervosamente chiuso. Mettendo le mani giunte tra le gambe, all’improvviso disse a Luca.
“Dai, siamo adulti e vaccinati, abbiamo trascorso molti anni insieme in quel cortile e più che mai siamo qui da soli ed ecco che come un bambino ti vergogni di quel fatto ma leggendoti nello sguardo, anche se non dichiarato, mi dai la conferma e così mi sento veramente felice”.
Dopo questo suo dire, prese a tossire più volte, mentre in lui, nel fissarla, seppur sfocatamente, per degli istanti si affacciò quel momento, poi lei, ripresasi, continuò sottovoce.
“Sai Luca, a volte ricordo ancora quanto mi stringevi. Vero, son passati tantissimi decenni ma molti ricordi non si scordano, Sentivo quelle tue unghie strisciare sulla mia pelle e poi quel tuo iniziale nervosismo finalmente sciogliersi delicatamente nel piacere e così ho voluto che ti potessi soddisfare fino all’ultimo, quando finalmente hai preso a rilassarti”.
Luca la fissava con uno sguardo cupo ma lei, con atteggiamento serio, proseguì.
“Ti prego, no, non dirmi nulla. So già quello che stai pensando, non è una novità ma ti sbagli ancora una volta. Ti garantisco che pur essendo vecchia, non ho ancora abbracciato l’età della pazzia. Su questi ricordi ho posato molto della mia vita, loro mi hanno permesso di vivere e di arrivare fino a oggi, poiché in me sentivo veramente d’avere amato qualcuno e con quell’amore, sognavo un grande futuro. Così alla fine, per non essere d’intralcio ad altri tuoi sogni, pur a malincuore, decisi di eclissarmi, portando con me i miei segreti. Ora, lascia che ti ringrazi di tutto cuore d’essere venuto e lasciami pensare che se sei venuto qui, qualcosa voglia pur dire”.
A quel punto, Luca sentendosi stufo e imbarazzato, fece per alzarsi dalla sedia ma lei prontamente gli fece un cenno con la mano, come a dire di non andarsene.
Non disse nulla a Luca ma sentiva di non stare tanto bene, le mancava il fiato e infilandosi una mano nella tasca della veste, prese a cercare qualcosa, mentre sul suo volto si stampigliò una smorfia di dolore.
Dalla tasca levò nuovamente lo spray e con mani tremati, sollevò l’inalatore, infilandoselo in bocca, lo spruzzò due volte, cercando di domare quel suo respiro affannoso.
Vedendola paonazza in viso, l’occhio sano semichiuso e il respiro pesante nonostante lo spray assunto, Luca sentì battergli il cuore in gola, venendo poi sommerso dalla paura che a lei potesse succedere qualcosa, poiché prese pure a tremare.
Ingessato sulla sedia, come se una forza maggiore lo trattenesse lì, prese a fissarla.
L’occhio sano stava lentamente aprendosi ma il suo volto rimaneva teso e vedendola fare ancora delle smorfie col viso e dalla sua bocca, colare della saliva schiumosa bianca che prese a scivolare lentamente sulla sua veste andò a pensare che fossero sintomi d’epilessia e a quel punto, alzandosi di scatto, corse verso la porta, aprendola alla svelta.
Affacciatosi sulle rampe delle scale, sporgendosi oltre la ringhiera, non vide nessuno di sotto.
Nella sua tensione non sapeva cosa fare, gridare o scendere a chiedere aiuto ma improvvisamente sentì Lucia chiamarlo e allora, tralasciando tutto, di buon passò ritornò da lei e con sua profonda soddisfazione, notò che si era ripresa.
D’istinto allungò la sua mano destra per controllare se la sua fronte scottasse ma lei, con un gesto di stizza, lo bloccò ancora prima di riuscire a sfiorarla.
“Mi spiace veramente d’averti spaventato, ora è tutto passato. Sono un po’ stanca ma non ho la febbre, il tutto è dato da questa asma cronica che mi affligge da parecchio e così quando capita, devo spruzzarmi quello spray in bocca ma poi la saliva s’ingrassa colandomi dalla bocca e quello che succede dopo è solo normale amministrazione”.
Ci fu una pausa di silenzio, poi guardando l’orologio da polso, Lucia si rivolse a Luca.
“Tra poco dovrebbe arrivare suor Adalgisa, l’infermiera, quella che hai visto vestita di bianco. Mi porterà in infermeria per la solita puntura anche se le ho ripetuto più volte che sono alquanto stufa di tutto, non c’è giorno senza un nuovo buco. E lei… È per il tuo bene”!
Fissando negli occhi Luca, che se ne stava sempre ritto di fronte a lei, cercando un tono dall’approccio supplichevole, dopo una breve pausa, disse.
“Stai sereno, ora è tutto risolto, però ti prego, non menzionare nulla dell’accaduto, sono arcistufa di sentirmi rivolgere le solite domande, quando accadono queste cose e poi io, dare sempre le stesse risposte cantilenate. Che una buona volta tutti capissero che il mio tempo si restringe ogni giorno di più. Lo sanno che cuore e polmoni sono ormai al limite e invece loro sempre a somministrarmi medicine varie, suggerite da quel babbeo di dottore che viene qua. Sì, questo qui mi è veramente antipatico, mentre quello vecchio, sì che aveva la stoffa del vero dottore”.
Luca non disse nulla, non sapendo a quale dottore si riferisse, rimanendo a fissarla, mentre sembrava guardasse nel vuoto, poi indicandogli la sedia, gli disse.
“Su, dai siedi ancora, oggi Adalgisa deve essere in ritardo, sarà impegnata altrove e allora ascoltami un attimo ancora, te lo leggo sul viso che vorresti andartene al più presto ma se ci congedassimo così, probabilmente col tempo rimpiangeremmo di non esserci lasciati da buoni amici, come credo valga la pena, ora più che mai”.
Emanando un lungo sospiro, Luca cercò in qualche modo di rilassarsi e alla fine, seppure controvoglia, si sedette, mentre lei, dopo essersi sistemata meglio sulla carrozzina, fissandolo un attimo e cercando un tono rilassante, gli disse.
“Vero Luca, forse nella visuale dell’oggi, noi non eravamo fatti l’uno per l’altra e qui hai vinto tu. Il tempo, per me passava lentamente e alla fine si è sempre tristi e a questo punto, scusa se non l’ho fatto all’inizio, ma purtroppo il discorso è partito sotto un altro aspetto ma ora però permettimi di porgerti le mie condoglianze”.
Lucia, quell’ultimo pensiero lo espresse come prassi, senza nessun rammarico ma Luca, capendola, non ci diede peso. Era comprensibile, anche se ormai era tardi per tutto che la sua rivale non ci fosse più.
Luca, non riuscendo più a reggere lo sguardo fisso di lei, si vide costretto ad abbassare la testa, mentre lei, dopo un attimo, gli disse.
“Di te Luca, ho sempre avuto un grande ricordo e ti ho amato come amerei un mio figlio”.
Detto ciò, face finta di tossire lievemente, smorzando così il tono di voce sulle ultime parole. Lui, che poi abbia o meno capito quella frase, non lo diede ad intendere e allor come se nulla fosse, sapendo che a tempo debito avrebbe compreso, continuò con mezza voce.
“E fu così che mi sono persa in un labirinto oscuro, dove la giusta uscita mi era negata”.
Sentendosi agitata si mosse un po’ sulla carrozzina, riprendendo con un tono di voce più profondo e a occhi socchiusi.
“Ora però devo confessarti una cosa, anche se penso che ci rimarrai molto male ma devo scaricarmi di questo peso che da troppo convive con me”.
A questo punto, fissando Luca, si concesse un profondo respiro, prima di proseguire.
“Sì è così ed è bene che ora tu lo sappia. Più volte ho desiderato la tua morte, almeno nessuno ti avrebbe mai più avuto, ma alla fine, capendo quale errore stavo commettendo, decisi di tagliare i ponti con tutti, scomparendo da ogni visuale. Decisi così di andarmene, portando con me tutti i miei segreti e come amica, abbracciai e amai solo la mia solitudine”.
Avendo la gola secca chiese a Luca di passargli la bottiglietta d’acqua che stava nella sacca dietro alla carrozzina. Lui la fissò un istante poi presa la bottiglietta dalla sacca della carrozzina, lentamente l’aprì davanti a lei, porgendogliela.
Lei, accennando a un vago sorriso, col capo lo ringraziò prendendo a sorseggiare l’acqua dalla bottiglietta e accennando a Luca di sedersi, riprese il discoro interrotto.
“Ecco Luca, non so bene se già a quel tempo lo sapevi, ma i miei, passati gli anni della felicità, nel loro totale distaccamento, più volte mi avevano rinfacciato che ero stata lo sbaglio della loro vita, io non ero nei loro programmi, così ormai lontana da ogni loro visuale, a loro davo solo a sapere che esistevo ancora, quando bussavo alla loro porta e loro senza porsi una conta, pur di non avermi tra i piedi, mi rifocillavano di denaro, per la verità, mai saputo da dove provenisse, poiché mai li ho ritenuti così ricchi e mai ho osato fare domande a tal proposito e così, senza batter ciglio, mi rifornivano anche di più di quel che avevo bisogno. Arrivò un momento che però iniziai a riflettere sul mio futuro. Ebbene, essendo stata una figlia sbagliata, non potevo continuare a mendicare alla loro porta e dopo una lunga riflessione, decisi di prendere l’unica via che a quel momento ritenevo fosse veramente giusta, eclissarmi. Sì, dovevo sparire, in qualche modo dovevo far perdere le mie tracce e anche se non avevo una meta precisa, per me, l’importante era cercare di dimenticare tutto e tutti nel più breve tempo possibile. Vero, alla visuale dell’oggi, se tornassi indietro, non lo rifarei. Così, anche per poter vivere, chiesi di poter entrare in un convento ma man mano che il tempo passava, pur sentendo che quella vita non mi vestiva come avrei immaginato, in me, strano ma vero, una voce mi spronava ugualmente a vivere con più serenità e coraggio quella scelta, così con forza d’animo, decisi per quella scelta, persuasa che fosse per il bene di tutti quanti. A questa mia età che mai dovrei fare? Mettermi a rimpiangere quelle scelte che alla lunga hanno condizionato la mia vita? No, di certo no. Sarebbe del tutto illogico”!
Luca rimase zitto a fissarla e dopo qualche attimo lei riprese.
“Così, sentendomi stanca e fallita, decisi per quella scelta facendo il possibile per impegnarmi a essere un’anima di vocazione, cercando di cancellare per sempre il passato, pensando seriamente che un domani, mai e poi mai avrei potuto stracciare questa veste. Sì, insomma, piantare in asso tutto, senza creare un grande scandalo”.
Luca rimase taciturno e lei, dopo un attimo di presa di fiato, continuò a svuotarsi l’animo.
“No, ti prego, non giudicarmi una pazzoide, come mi dicevi a volte in altri tempi. No, io mi sento più che matura e ragiono più di quanto credano tutti. Queste cose le rivelo ora a te e voglio dirti di più. Ora più di ieri, sono convinta che una volta davanti a Lui, sarò perdonata, perché anche se a volte, indossando questa veste me la sentivo stretta, posso ben affermare che ho amato e ancor mi sento di amare Dio, con il solo distinguo che non sono all’altezza di amarlo come vedo farlo dalle altre sorelle, anche se mi è poi difficile chiamarle sorelle”.
Luca decise di rimanere in silenzio, vedendola asciugarsi l’occhio sano col fazzoletto ma poco dopo decise di darle in qualche modo una notizia.
“Lucia, come vedi, finora sono solo stato ad ascoltarti. Ebbene, rientrando nel discorso dei segreti, mi hai detto che ne detieni uno in particolare e poiché è tuo, lo vuoi tenere in te, confesso che mi sembra giusto. Io, sinceramente farei come te. Mai svelerei i miei segreti personali al primo che dovessi incontrare o a chi mi capitasse di rivedere dopo moltissimi anni. No, no… li terrei per me, confidarsi con una persona è una cosa seria” ….
Prima che dicesse altro o in qualche modo avrebbe esercitato delle pressioni facendosi più pertinente per cercare di fagli svelare quel segreto, cosa che a lei, al momento non voleva, lei intervenne dicendo.
“Mi spiace Luca, a te non deve per nulla interessare cosa ci sia stato tra me e i miei, sono fatti personali ma la mia richiesta di poterti incontrare, è invece per tutt’altro”.
Luca, vedendo Lucia respirare profondamente, decise di non insistere.
Lei, qualche istante dopo, si spostò verso di lui sfiorandogli le gambe con le sue.
Un brivido attraversò il corpo di Luca poi con un gesto del tutto inaspettato, lei si chinò ancor di più e con un bacio sfiorò quelle sue mani incrociate sopra le gambe, ricomponendosi in pochi secondi, come se nulla fosse successo.
Nel silenzio più profondo i loro occhi s’incrociarono e sentendo alzarsi il battito del cuore e una vampata di calore, Luca armeggiò per allentare meglio il colletto della camicia, essendo più che mai sorpreso e frastornato da quel che era appena successo.
Alcuni istanti dopo si sentì bussare alla porta. Ambedue si voltarono verso la porta.
Lucia, ad alta voce, disse di entrare, sforzandosi di elargire un bel sorriso, chiunque fosse.
Si presentò suora Adalgisa, al che Lucia, rivolgendosi a Luca, con tono scherzoso, gli disse.
“Ecco, lei è suor Adalgisa, l’infermiera del convento e così, come vedi, anche oggi è giunta l’ora di andare in infermeria, per farmi fare l’ennesimo buco”.
Emanando un colpo di tosse e adornandosi di un mezzo sorriso, sussurrò a Luca.
“Ti prego, rimani qui, sii paziente, io ora vado sotto le grinfie di suor Adalgisa ma fra circa quindici minuti, vedrò di tornare sana e salva, come sempre, ma con un buco in più”.
Entrando senza proferir parola, suor Adalgisa salutò Luca con un cenno del capo e con volto serio spinse velocemente la carrozzina verso l’uscita.
Adalgisa era una suora di statura normale che forse sembrava più giovane della sua vera età, almeno Luca, vedendola per alcuni istanti, pensò così. Un viso un po’ magro segnato da alcune piccole rughe, le mani sembravano affusolate, anche se indossavano guanti di lattice, lo sguardo era sul cupo e a quanto pare, doveva avere un carattere dai modi spicci, o tutto era solo dovuto al ritardo, si chiese Luca, nel vederla uscire frettolosamente dalla saletta.
Cap. 4
Sedendosi con le gambe accavallate, dovendo attendere il rientro di suor Lucia, Luca prese a sfogliare distrattamente il suo giornale ma dopo alcune pagine, senza approfondire nessuna notizia ma leggendo solo i titoli, lo depose sul tavolino e con occhi semichiusi prese a ragionare come poter uscirne da tutta quella storia, appena Lucia fosse rientrata dalla sua seduta d’infermeria.
Quando guardò l’orologio, si mise a sbuffare. Erano già trascorsi oltre venticinque minuti e per un attimo, il suo sguardo si soffermò sul posto dove prima stazionava la carrozzina di Lucia, pensando al solito quarto d’ora, che lungi dall’esserlo, si era già ben allungato.
Alzandosi in piedi, camminò in lungo e in largo per la stanza, avvicinandosi prima alla finestra e poi alla porta. Nel corridoio tutto era tranquillo e sentendo il tempo passare lento, improvvisamente, in preda al nervosismo, con un piede iniziò a ticchettare sul pavimento, smettendo quando gli parve di sentire alcuni movimenti lungo il corridoio.
A passo veloce, andò verso la porta per dare un’occhiata, vide due suore e la superiora dirigersi di buon passo, verso la parte opposta alla sua, entrando nell’ultima camera.
Immobile sulla soglia della porta, prese a fissare il fondo del corridoio, quando poco dopo, sentendo dei passi pesanti sulle scale, notò salire un uomo con una cartella scura in mano, cappello in testa, cappotto grigio scuro, con barba e occhiali dalle lenti scure, accompagnato da una suora, entrando pure loro nella camera in fondo al corridoio.
Sinceramente si sentiva teso e smarrito nel vedere quell’andirivieni del tutto improvviso.
Sentendo la porta in fondo chiudersi, Luca prese a camminare lentamente lungo il corridoio.
A calcoli fatti, da quando Lucia fu portata in infermeria, erano trascorso oltre tre quarti d’ora e di lei ancor nulla si sapeva. Stanco dell’attesa, decise di scendere in portineria a chiedere qualcosa ed eventualmente lasciare riferito un saluto a madre Lucia e alla superiora, per così svignarsela in modo più che tranquillo.
A conti fatti, si sentiva stanco d’aspettare ancora per avere eventuali notizie di lei.
Dirigendosi verso le scale, dovette scostarsi, altre due suore stavano salendo di fretta. Tornando sui suoi passi, seguendole con lo sguardo, le vide entrare sempre in quella camera.
Sempre più nervoso, alla fine decise di accostarsi alla porta per origliare ma le voci interne, sovrapponendosi ad altri rumori, non gli permettevano di capire il distinguo delle varie frasi.
In un attimo di calma apparente, riuscì a sentire una voce maschile, forse il dottore, che impartiva alcuni ordini, poi tutto si tramutò in un silenzio quasi tombale.
“Madre Lucia, aveva detto che ci sarebbe voluto poco, ma quel poco si era già allungato a dismisura, mica sarà lei a stare male”?
Si domandò Luca, allontanandosi velocemente dalla porta, poiché non sarebbe stato molto bello farsi sorprendere a origliare, nel caso qualcuno uscisse improvvisamente.
Difatti, di lì a poco s’aprì la porta e ne uscì una suora col viso corrucciato e accorgendosi di Luca, scosse il capo, dicendogli con tono incline alla tristezza.
“Lei dev’essere l’amico di Madre Lucia, vero”?
Luca confermò con un cenno del capo e quella l’informò.
“Purtroppo madre Lucia non sta bene, ha avuto una delle sue crisi, ora c’è il dottore da lei”.
E di fretta s’avviò verso le scale, mentre Luca, prese a fissare quella porta chiusa, impietrito.
Alcuni minuti dopo, da quella porta uscì la superiora, pure lei con il volto scuro e vedendolo, senza proferire parola, con un cenno della mano, l’invitò a seguirla.
In silenzio scesero al piano inferiore, dirigendosi verso una piccola saletta. Aprendo la porta, la superiora accese la luce, facendo cenno a Luca d’entrare.
La saletta era piccola e spoglia. Due poltroncine e due sedie. Un tavolino di legno appoggiato a una parete su cui c’era appeso un grande quadro dallo sfondo molto scuro e una finestra con un tendone color porpora tirato e appeso sopra la porta d’entrata, ci stava un piccolo crocefisso.
Su invito della superiora, Luca si sedette su una sedia, mentre lei si avviò verso il telefono a muro e alzando il ricevitore, dopo qualche secondo, ordinò…
“Quando passerà il dottore, mandatemelo in saletta, ho bisogno di parlare con lui”.
Detto questo, si sedette su una sedia, di fronte a Luca. Ci fu un attimo di silenzio in cui Luca notò il solito lieve tremolio alle mani della superiora e sul suo viso si notava tristezza.
Cercando di trattenere la tensione, la superiore decise d’informare Luca sulle condizioni di madre Lucia.
“È madre Lucia a non stare bene e pensare che oggi, appena svegliata, alla suora che l’aiutava a vestirsi, aveva accennato di sentirsi viva e pronta a raggiungere i cent’anni. Aveva un bel sorriso e un viso dal colorito roseo come non lo si vedeva da parecchio e quel che ha meravigliato di più era quella sua voce, molto più sciolta delle volte precedenti. A ben vedere, sembrava una persona in netta ripresa, poi oggi, improvvisamente, ecco di nuovo preda della sua crisi. L’ultima, ben superata, è di circa un mese fa, se ben ricordo e quel giorno, il dottore, vedendola in quello stato miserevole, aveva detto che non ne avrebbe avuto per molto, poi come vede, le vie del Signore sono sempre infinite. Alla luce di oggi, non saprei cosa dire. Tutto è successo così in fretta, alcuni minuti dopo la sua solita puntura, per fortuna che il dottore, aveva deciso di farci una sorpresa e passare di qui”.
Dopo un attimo di silenzio per riprendere un po’ il fiato, continuò.
“Ora sembrerebbe aver ripreso un minimo di conoscenza ma comunque è molto debole, però prima che uscissi dall’infermeria, tra cenni di mano e voce spezzettata, racimolando un po’ delle sue forze, mi ha chiesto di poter parlare ancora un attimo con lei ma il dottore le ha subito bloccato quell’idea, poiché debole com’è, doveva assolutamente starsene sotto ossigenazione e più che mai tranquilla, allora mi fece cenno di avvicinarsi e stringendomi le mani nelle sue, con un filo di voce sofferto mi ha riferito di salutarla da parte sua e …”.
Il telefono prese a squillare e la superiora, alzandosi dalla sua sedia, andò rispondere.
“Sì, ok, va bene, porti pure qui in saletta, al resto ci penso io, grazie”.
Qualche minuto dopo la porta della saletta si aprì, facendo capolino una suora dalla statura bassa e giovane che porse alla superiora una busta e poi salutando, uscì.
La superiora, presa la busta, guardò l’intestazione, deponendola poi sul tavolo, alla portata visiva di Luca. Volgendo lo sguardo verso quella busta, con sua sorpresa, Luca notò, scritto in caratteri rimarcati e sottolineati, il suo nome e cognome. “Per LUCA ANCORI”.
Distogliendo lo sguardo, con far sorpreso, Luca fissò la superiora.
Si creò un attimo di silenzio, poi indicando la busta con la mano, la superiora gli disse.
“Sì, quella busta è per lei, signor Luca. Prima che uscissi dall’infermeria, madre Lucia mi disse di aver dimenticato, nel comodino della sua camera, una busta per lei. Comunque, se fosse stata qui, prima che vi foste salutati, avrebbe incaricato una suora di salire a prenderla, così da consegnarvela personalmente ma ora, non potendo farlo di persona, ha incaricato me della consegna. Prego, è per lei, la prenda pure”.
Luca, spostando lo sguardo verso la busta, allungando lentamente la mano la prese e adocchiando ancora quel suo nome sottolineato sulla busta, passandosela da una mano all’altra, oltre alla voluminosità, sentì che conteneva qualcosa di solido ma senza dire nulla l’intascò.
L’avrebbe letta a casa, in tutta tranquillità.
Stava per parlare quando si sentì bussare alla porta.
Volgendo lo sguardo verso la porta, col suo solito tono padronale, la superiora disse.
“Avanti, è aperto”!
Sulla porta apparve quell’uomo che Luca aveva visto prima.
Lui entrando, insieme alla superiora, vide un’altra persona. Capì che stavano conversando e salutando ambedue col cenno del capo, si pose alla destra della superiora. A quel punto, superiora e Luca si alzarono e accennando a un sorriso, la superiora presentò Luca al dottore, dicendo.
“Questo è il dottor Risi, Stefano Risi, cardiologo molto conosciuto”.
I due si strinsero la mano, poi Stefano, togliendosi gli occhiali scuri, adocchiando Luca, rimase più che sorpreso e fu lo stesso per Luca.
Per qualche istante, ambedue si fissarono sorpresi, prendendo quasi a ridere, mentre ancor più sorpresa, fu la superiora, quando il dottore diede una calorosa pacca sulla spalla di Luca.
Capendo lo sconcerto della superiora, sorridendo, Stefano l’informò.
“E come si può scordare un tipo come Luca, anche se veramente è da anni che non ci si rivede, sa, noi siamo due amici di lunga data”.
Rivolgendosi poi a Luca, sempre col sorriso pronto, gli disse.
“Professore, non mi sembri poi cambiato il granché dall’ultima volta che ci siamo incontrati e di tempo ne è passato, certo non pensavo minimamente di trovarti qui al convento”.
Luca non disse nulla, si mise solo a proiettare una smorfia indirizzata a Stefano.
Rivolgendosi poi alla superiora, il dottore chiese se poteva parlare con lei, al che lei chiese.
“Se tutto riguarda madre Lucia, non ci sono problemi. Luca è qui per volere di madre Lucia”.
Stefano sorrise a Luca e poi facendosi serio, li informò.
“Madre Lucia è molto grave e non garantisco che arrivi a domattina. Per ora le ho somministrato un’endovena per tonificare un po’ di più il cuore e il respiro. Si potrebbe ricoverarla d’urgenza, ma”…
Tutti e tre si guardarono in faccia e sull’immediato silenzio, Luca sentì un brivido percorrergli il corpo e una forte fitta al petto.
Stefano stava per riferire altro a loro, quando il caso volle che dopo quelle sue parole, il telefono prese a squillare più volte, prima che la superiora andasse a rispondere.
Depositando lentamente il ricevitore, la superiora guardò Stefano e ci furono lunghi attimi di silenzio prima d’informarli.
“Mi hanno avvisato che madre Lucia è spirata poco fa”.
Luca, sentendo ciò, cercò di asciugare con la mano una lacrima, chinando il capo. Vedendolo molto rattristato, Stefano, poggiandogli una mano sulla sua spalla, gli disse.
“Si è sempre tristi quando la morte porta via qualcuno che si è conosciuto ma c’è di buono, anche se è brutto dirlo, che le sofferenze del paziente, così sono finite”.
Il dottore guardò prima la superiora, poi avvicinandosi a Luca, gli disse.
“Dopo così tanto tempo sono stato molto contento di averti rivisto, anche se le circostanze non sono state delle migliori, ora vai pure a casa, io avrò ancora da fare qui”.
Aprendo la sua cartella, che all’inizio, appena entrato, aveva depositato sul tavolo, estrasse un suo biglietto da visita, porgendolo a Luca che dopo un fugace sguardo, lo intascò.
“Luca, questi sono i miei recapiti, domani prova a chiamarmi così ci si fisserà un appuntamento per fare quattro chiacchiere e mi raccomando, per questa tua raucedine, ti consiglio di farti un bel latte caldo con del miele più una bella dormita e domani, di certo starai meglio”.
Detto ciò, stringendosi la mano, si salutarono e uscendo dallo studio, dottore e superiora si avviarono verso l’infermeria, mentre Luca, arrivato al centralino, salutò a mezza voce, seguito da un gesto di mano, suor Agata, intenta a parlare al telefono, la quale contraccambiò.
Varcate le porte, una volta fuori dal convento, pur nella tristezza, sentendosi avvolgere dall’aria fresca, prese a respirare profondamente, dicendosi che ne aveva proprio bisogno.
Dopo aver fatto alcuni passi verso il parcheggio, si voltò a osservare il convento.
Riprendendo il cammino, arrivato a pochi passi dalla macchina, si guardò un attimo attorno.
Prendendo le chiavi dalla tasca, per un attimo si soffermò ancora a tastare la busta avuta dalla superiora. Disinserendo dalla chiave l’allarme della sua Passat, vi salì soffermandosi un attimo a guardare nel vuoto, poi tirato un sospiro, mettendola in moto, prese la direzione di casa.

Come è nata l’idea di questo libro?
13 anni fa, (2006) pochi mesi dopo la scomparsa di mia moglie, ho iniziato a scrivere poesie, la maggior parte a ricordo di lei, alcune hanno visto luce su pagine di antologie comunitarie ed altre in vari forum. Nel proseguo del tempo, ho scritto 8 tra racconti e romanzi. Dallo scrivere, ero fermo da un po’ di tempo e così, volendo di nuovo scrivere, mi son messo a raccontare questa storia (del tutto inventata) che in certo qual modo, parola dopo parola, si amalgamava da se.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Ad essere sinceri, sono stato pure fortunato. Riuscendo da subito ad amalgamare abbastanza bene la trama, ho impiegato ca. 6 mesi a scrivere il romanzo, terminandolo nell’ottobre del 2017.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Più che altro, non mi aggancio a nessun autore in specifico. Se la trama mi attira, lo leggo. I libri che leggo li prendo in prestito dalla biblioteca della mia città.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nato nel maggio 1951 a Rho (Mi) e ho vissuto sempre qui.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Avendo pubblicato con pre-order, (200 copie) prima di ritornare a pubblicare qualcosa di ciò che ho in archivio sul mio MAC, avrei desiderio di di poter “smaltire” buona parte delle copie (90 ca.) che ancor detengo. Al resto , penserò poi. Nei primi mesi del 2020 uscirà un’antologia comunitaria a scopo benefico, a cui da tre anni do la mia adesione e dulcis in fundo, dal maggio 2013 collaboro con “Scatti ed Emozioni” magazine bimestrale on line di fotografia, dove l’amministratrice, fin dal suo inizio, mi ha proposto una collaborazione, dandomi una pagina per una mia poesia, il più delle volte, inedita.
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