
Edito da Porto Seguro Editore nel 2020 • Pagine: 194 • Compra su Amazon
“Siamo tutti legati” : questo diceva Mattia, giovane ragazzo autistico, quando parlava della sua famiglia. Per lui la famiglia era una cosa unica e indissolubile: il gemello, il fratellino, il babbo e la mamma erano uniti da un filo invisibile
“Siamo tutti legati” è anche il titolo che ha scelto la madre per questo racconto intimo che racconta l’estenuante e inutile lotta contro il tempo per salvare il figlio da una morte terribile e precoce Una testimonianza coraggiosa che ci insegna quanto sia importante rimanere uniti e legati quando il mare ingrossa e le onde travolgono le nostre fragili vite.

Per molto tempo ho odiato il Natale. Odiavo quei lunghi pranzi con i parenti in cui Mattia risultava sempre inadeguato e spesso finiva col rompere qualcosa interrompendo un clima che doveva essere (come da tradizione) idilliaco. Odiavo le recite natalizie in cui gli altri bambini riuscivano nella loro inconsapevole gioia e bravura a farmi notare la diversità di mio figlio. Odiavo i giorni spesi nel cercare regali per Mattia che poi venivano regolarmente abbandonati in un angolo. Ma non abbandonati nella maniera in cui tutti i bambini lo fanno, dopo averli avidamente scartati, manipolati, usati ininterrottamente per qualche ora, o qualche giorno. No. Abbandonati da subito, non presi assolutamente in considerazione, non scartati, non provati, non desiderati. Mattia fin da bambino aveva questa caratteristica: non desiderava niente, non provava piacere nel manipolare alcun gioco, non era attratto dalle novità, non voleva mai mettersi alla prova. Solo gli animaletti della foresta e della fattoria riuscivano a interessarlo ma in un modo diverso rispetto agli altri bambini. Li teneva in mano per ore, non faceva con essi alcun gioco simbolico, erano una sorta di continuazione della propria mano, del proprio corpo. Mattia adorava i fili: cordoni delle tende, lacci da scarpe, cinture delle automobili… Per anni il suo rituale preferito è stato quello di far dondolare e roteare davanti ai propri occhi in maniera indefessa questi fili che riusciva a trovare ovunque, di ogni colore, di ogni dimensione. Non c’era verso di distoglierlo da questa attività. Ogni interruzione da noi provocata, volto a farlo interessare a qualcosa di diverso, si concludeva immancabilmente con un ritorno alla sua grande passione. Stereotipia, la chiamavano gli esperti, un’ossessione che poteva andare avanti per minuti, per ore, per giorni, per mesi, per anni.
La musica era una delle grandi passioni che Mattia aveva da piccolo e lo ha sempre accompagnato. Si addormentava canticchiando e si risvegliava cantando. Le parole che, a volte, non riusciva a scandire dialogando, le pronunciava benissimo se inserite nelle canzoni. Alla scuola materna saliva nella parte più alta dello scivolo e cantava a squarciagola la canzone del partigiano.
Era capace di ascoltare, con un’intensità inusuale in un bambino, moltissime canzoni e di memorizzarne al primo ascolto note, melodie e parole. Ancora molto piccolo (avrà avuto cinque o sei anni) era in grado di riconoscere dalle prime note tutte le canzoni di decenni dello Zecchino d’oro. Era una capacità rara, innata, inspiegabile. Una di quelle qualità che gli autistici spesso hanno ma che risulta totalmente inutile per vivere in un comune consesso sociale. Poi, crescendo, i suoi cantanti preferiti sono diventati: Mina, Giorgia, Laura Pausini, Tiziano Ferro, Zucchero, Vasco Rossi… e la cosa incredibile che riusciva a fare era la modulazione della voce a seconda del cantante che stava interpretando. Vasco Rossi riusciva a interpretarlo benissimo, e immediatamente dopo passava a cantare una canzone dei Pooh e lo faceva altrettanto bene.
Mi mancano le tue melodie figlio mio…
Mattia amava anche i Topolini. Non ho mai saputo se li leggesse realmente o se guardasse soltanto i fumetti. So solo che, anche in questo caso, la sua maniera di esplorare il giornalino dimostrava tutta la sua originalità. Dopo un’oretta dedicata all’esplorazione, forse alla lettura, del testo, Mattia procedeva immancabilmente alla sua distruzione. Il Topolino era destinato inesorabilmente a essere ridotto in una miriade di coriandoli piccolissimi che andavano a invadere la sua cameretta.
Gli piaceva frantumare libri e giornali come se lui stesso, vittima di una qualche frammentazione mentale, avesse bisogno di frammentare tutto ciò che gli capitava a tiro. Il Natale con Mattia è diventato sempre più triste man mano che lui cresceva. Mentre gli altri bambini ogni anno che passava avevano imparato nuove cose e molte altre volevano imparare, lui rimaneva sempre uguale a se stesso. Erano scarsi i progressi che riusciva a fare nonostante le ore e ore di terapie alle quali lo sottoponevamo. Troppe ci dicevano gli esperti della Stella Maris. Troppi stimoli potrebbero non essergli utili. Ma io volevo fare qualcosa per lui, volevo smuoverlo dal suo mondo apatico, lontano. Mi pareva che ogni volta che lo abbandonavo per qualche minuto lui tornasse a rinchiudersi sempre di più nel suo guscio così protettivo e quindi mi sentivo in dovere di riempire le sue giornate con la scuola, le terapie, la psicomotricità, il cavallo, lo piscina, la musica, la logopedia e molto altro ancora. Giornate dense di impegni, sempre a rincorrere e a cercare nuovi specialisti che fossero in grado di offrirci qualcosa di nuovo per il nostro piccolo cucciolo. Eppure al termine di mesi trascorsi nell’inseguire tutto, densi di cose da fare, Mattia mostrava di essere cambiato pochissimo. Era una sorta di marmo impenetrabile, una roccia difficilissima da scalfire.
Ricordo le lunghe attese alla Stelle Maris quando insieme alle altre mamme aspettavamo che ci riconsegnassero i nostri figli e parlavamo dei nostri problemi ma anche dei nostri progetti per il futuro. Ricordo il senso di vicinanza con tutti quei genitori disperati. Ricordo i matrimoni naufragati sotto i colpi di una tempesta così grande. Non c’è dolore più forte per una famiglia felice che tanto ha desiderato un bambino sentirsi dire che il proprio figlio è autistico e che dall’autismo non si guarisce. Ricordo i volti di questi bambini, quasi tutti bellissimi, perché l’autismo è una malattia subdola e ingannatrice, non lascia tracce evidenti sulle facce e sui corpi di questi bimbi. Ricordo le mattinate e i pomeriggi trascorsi nella biblioteca della Stella Maris a leggere tutto quello che c’era da leggere sull’autismo.

Come è nata l’idea di questo libro?
Avevo iniziato a scrivere un libro sui miei gemelli “speciali” molti anni prima per dare un’idea positiva di famiglia con due figli per ragioni diverse “particolari” ma comunque solida, unita, allegra, sempre piena di cose da fare e di viaggi da intraprendere. Poi, con l’aggravarsi delle condizioni di Mattia, quel libro era rimasto in un cassetto e ha ripreso vigore dopo la sua morte.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Dopo lunghi anni nei quali il manoscritto è rimasto fermo in un cassetto, con il peggiorare delle condizioni di Mattia, il lavoro ha ripreso vigore dopo la morte di mio figlio quando ho sentito un bisogno anche fisico di scrivere per non morire. Cercavo le foto d Mattia, guardavo per ore le sue cose, annusavo i suoi indumenti, rivedevo i suoi video come se avessi paura di perdere qualcosa di lui. In pochi mesi ho scritto tutto ciò che volevo scrivere in un blog personale che è poi confluito in questo libro.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Mi sono sempre piaciute le biografie tanto che le autobiografie dei parlamentari dell’Italia unita sono state l’oggetto della mia tesi di laurea. In quanto ai racconti familiari con storie di malattie e disabilità ho amato molto “Paula” di Isabel Allende.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo in Toscana in uno splendido comune di campagna: Calci. Ho viaggiato molto ma mi piace sempre tornare alle mie radici.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Ho sempre scritto molto ma in qualità di ricercatrice di storia e pedagogia. In futuro mi piacerebbe dedicare un po’ del mio tempo alla narrativa.
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