
Edito da ISEAF Books nel 2020 • Pagine: 228 • Compra su Amazon
Hermes, il dio della comunicazione, è un anziano pellegrino che vaga per la Terra incessantemente, presidiando ogni flusso di notizie. Ma tutto è un Far West e tutto è mosso da vanità. Vorrebbe farla finita, ma a un immortale non è concesso neanche di morire. Non resta che la vendetta, con un piano di comunicazione volto al male per realizzare, attraverso Social Media, Dark Web, Fake News e balorde app informatiche, il suo programma di distruzione totale. Sarà l'arrivo sulla scena di Marie, infaticabile ufficio stampa dell'ONU, di una celebre coppia di youtuber e di uno scienziato pazzo a mandare di traverso i suoi piani, mostrando che ancora per l'uomo, forse, c'è una flebile speranza.

Avanzava solitario, con passo fermo e pesante. La testa piegata verso terra, senza guardarsi intorno, senza contare più le miglia percorse, né il tempo trascorso.
Camminava. Camminava sempre. Ora in una landa infuocata ripresa dall’alto da un elicottero, ora sul luogo di un delitto illuminato da un flash, ora nel corridoio di un Ministero spiato da una fonte in incognito, ora su un barcone clandestino alla deriva, inquadrato da un fotoreporter.
Il suo incedere aveva un ritmo rallentato, viaggiava su una frequenza fissa, con un’andatura moderata e prudente. Attraversava folle di persone in fuga da paesi in guerra, code di automobili su autostrade allagate, scalava gli spalti di uno stadio in delirio e percorreva navate di cattedrali gremite. Sapeva parlare ogni lingua, padroneggiava tutte le culture e conosceva la totalità dello scibile.
Il mondo, nella sua vastità, era il luogo della sua esistenza e, percorrendolo incessantemente, dava forma e sostegno alla sua dottrina. Non si fermava mai, non poteva farlo, il suo compito lo obbligava ad andare ovunque ci fosse bisogno di lui.
Nei secoli, il suo potere si era esteso in maniera titanica, ma contrariamente i segni di questa potenza non risiedevano nella sua fisicità. Poeti, scultori e storici lo avevano sempre ritratto come un giovane atletico senza barba. Oggi, invece, era un vecchio canuto, irsuto e appesantito. Il viso rugoso, il corpo segnato dai colpi del tempo e dalla sua vertiginosa evoluzione. Gli occhi stretti in piccole fessure lasciavano intravedere poco della sua forza e della sua astuzia proverbiale. Uno sguardo spento e triste contrassegnava il suo viso, espressione di rassegnato disinganno.
A ogni passo, si sosteneva al suo caduceo o kerỳkeion, un bastone vecchio e scheggiato come lui.
A tracolla portava sempre un borsellino di pelle, custode di una molteplicità di risorse. Un piccolo guscio di tartaruga era il ciondolo che ondulava intorno al suo collo, un avvoltoio lo scortava dall’alto volando e un gallo, dal piumaggio nero, trotterellava zelante al suo seguito.
I suoi abiti da viaggiatore erano consunti e strappati in più punti. L’himation, il mantello che gli ricadeva sulle spalle, usurato da millenni di peripezie, era liso e frusto e nulla faceva ipotizzare che quell’indumento potesse essere tanto prodigioso da renderlo invisibile a occhio umano. I mortali non potevano vedere né lui, né gli animali a lui sacri che lo accompagnavano sempre. Da secoli ormai, aveva scelto di non apparire, di non intervenire più sul libero arbitrio altrui, ma solo di presenziare agli eventi e catalogare gli atti. Gli bastava battere le mani o schioccare le dita oppure soffiare l’aria con le labbra sulle orecchie degli uomini perché il suo potere si manifestasse, assecondando le loro relazioni, trasmissioni e informazioni. Sapeva da tempo che il suo intervento non avrebbe contribuito a migliorare le cose, l’uomo era divenuto un corridore indipendente, incurante dei segnali divini e poco incline all’ascolto.
Portava come di consueto il petaso e i talari, il cappello e i sandali alati, strumenti indispensabili al suo mestiere, ma anche quei simboli divini erano consumati e logori. Riusciva ancora a volare, certo, ma quanta fatica a ogni salto nello spazio, quanto dolore sentiva sulle gambe e sulla schiena a ogni svolta e atterraggio. Lo sbattere delle ali non era più agile e lesto come un tempo, si era fatto arduo e gravoso. Un’artrosi connaturata lo piegava e non c’era cura per la sua infermità.
Neppure il riposo gli era consentito, era vincolato alla sua natura e alla sua funzione. Era una macchina ammaccata, ingolfata e lorda che procedeva solo per inerzia.
Poteva ritrovarsi di fronte allo scenario spaventoso di intere foreste abbattute da venti tempestosi di scirocco, oppure a quello di ruderi di costruzioni, divelte da terremoti, e di corpi morti sotto le macerie.
L’ubiquità era il suo dono e la sua maledizione.

Come è nata l’idea di questo libro?
Questa storia nasce da una riflessione personale sul concetto stesso di “comunicazione” e su cosa oggi viene considerato tale. Mi sono resa conto che Internet e il mondo dei social hanno preso il sopravvento sui libri, le biblioteche, i teatri in modo aggressivo e pericoloso perché stanno rischiando di accantonarli al punto tale da non considerarli più, da parte di alcuni, “comunicazione”. Con questa storia volevo semplicemente dire che va bene l’evoluzione, vanno bene i social, il mondo deve andare avanti e tutto questo crescerà sempre di più, ma non dimentichiamoci da dove siamo partiti e soprattutto non dimentichiamo che anche quella è COMUNICAZIONE. Per me la più bella e la più efficace, perché è un tipo di comunicazione che ha saputo davvero influire sul mio pensiero e sulla mia persona.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Ho studiato a lungo l’argomento, sotto tanti punti di vista e ho vissuto esperienze professionali che me ne hanno dato una conoscenza diretta. La comunicazione è la dottrina che, più di ogni altra, oggi è posta al centro del mondo, perciò è stato doveroso da parte mia un approfondimento e una riflessione attenta, ma non posso definire tutto questo “difficile”, anzi è stato stimolante.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Sono moltissimi i miei autori di riferimento: Calvino, Moravia, Stoppard, Kushner, Hosseini, Murakami, Ferrante, Veronesi sono solo alcuni. Poi la mia vera passione è il teatro e, poiché la mia famiglia ha origini siracusane, ho sempre assistito alle rappresentazioni del dramma antico. Eschilo, Sofocle ed Euripide sono punti di riferimento, come anche Shakespeare che sapeva trattare tutti i generi, dalla tragedia al fantasy, un modello eterno di drammaturgia. Inoltre per le mie storie, attingo spesso anche a situazioni e modelli tipici della commedia all’italiana, quindi non posso non citare Germi, Scola, Sonego, Zampa, Risi, Sordi.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nata e cresciuta a Roma. Ho sempre vissuto qui, tranne brevi periodi in altre città per motivi di studio, come Milano e Londra.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Al momento i miei progetti letterari riguardano la promozione di questo romanzo che è inserito fra i titoli della rassegna “Vita Nova” del Salone Internazionale del libro di Torino. Per il futuro si vedrà. La scrittura farà sempre parte della mia vita, come anche la lettura. Io ho fame di storie perché sono fermamente convinta che abbiano il potere di scuotere le menti. Non riusciranno forse a cambiare il mondo, ma a cambiare un pensiero si e magari da lì, si può partire per un cambiamento più grande.
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