
Edito da Kimerik nel 2018 • Pagine: 212 • Compra su Amazon
Una coppia come tante. Parecchi anni di differenza, modi di vivere e passioni differenti, alcuni contrasti. Un viaggio in Africa, in una terra così diversa dall’Europa, dall’Italia, che donerà nuove consapevolezze. Attraverso la narrazione tradizionale e la tecnica del racconto nel racconto, Stefania Cunè delinea un’originale vicenda di formazione e avventura, dove ogni evento non è mai casuale. Impossibile non esserne coinvolti.

«Ciao, Loriano, sei un simpaticone, ma sui massaggi… soprassediamo».
Andrea non perde l’occasione per una frecciatina: «È un bravo ragazzo, ma sta in fissa con le donne. Una volta,
con la scusa dei massaggi è riuscito a portarsi a letto una, svedese mi pare, e da allora ci prova con tutte sperando, prima o poi, di acchiapparne un’altra».
«Eh, allora dillo che mi voi canzonare! Non è così, io li so fa’ davvero e li fo anche all’omini… qualche volta, certo alle ragazze è meglio, e se poi una mi ci sta… che l’è colpa mia?»
«Andiamo, Winnie» interviene Andrea per tagliare corto «ti porto a visitare il resto della casa».
E salgono le scale.
Fuori dal casale è l’oscurità che predomina, dentro, lampadine sparse qua e là rischiarano l’ambiente: tavola apparecchiata, pentole sul fornello, coniglio nel vassoio, vino rosso che scorre generoso dai bicchieri alle gole di tutti i presenti.
È la scena che mi appare tornando al piano inferiore. Saluto tutti.
Mentre chiacchiero con Cassio arriva Monica, la compagna di Andrea, è il genere fotomodella, alta, bionda e austriaca, è in compagnia di due tipi mai visti prima.
«Ciao, Winnie, ben arrivata! Voglio farti conoscere due musicisti eccezionali: lui è Tristan, irlandese, suona divinamente il violoncello, e lui è Vladimiro, straordinario sassofonista. Eravamo nella stanza della musica a organizzare una performance per stasera. Sentirai che sound!».
Abbracci e baci sulle due guance, all’italiana, come se ci conoscessimo da sempre. Sono affabili, sorridenti: l’irlandese ha un aspetto buffo, magro e con una barbetta rossiccia da capra, parla inglese e poco italiano, l’altro porta un Borsalino sulla testa, è alto e possiede un suo fascino.
Dopo la cena e il vino si passa a grappa e canne e la conversazione, che prima verteva su broccoli e pomodori, zappe e trattori, scivola sulla validità di certe scelte di vita: abbandonare il casino della città, ma anche l’impegno politico, per tornare alla natura e a un’esistenza più semplice. E mi viene da pensare che forse è troppo rude e spartana per me: mi hanno comunicato che non c’è il bagno, né dentro né fuori, e bisogna poeticamente arrangiarsi tra i cespugli e sotto gli alberi, contemplando però uno splendido paesaggio. La notizia è stata sconfortante, preferisco però adeguarmi e tacere.
Fra i presenti, non tutti sono convinti che trasferirsi in campagna sia la soluzione giusta, anzi la chiamano: “fuga dalla realtà e tradimento dell’ideologia politica”.
«Tutto è politica!» sentenzia Andrea. «Qui facciamo politica attiva, siamo una forza lavoro, torniamo a sudare sulla terra che i giovani contadini stanno abbandonando. Certo, ci sacrifichiamo meno, perché abbiamo rifiutato il consumismo e ci accontentiamo di poco. Preferiamo lasciare tempo per il piacere, per l’ebbrezza, la musica e l’amore».
Stefano, che è probabilmente l’unico vero proletario insieme a
Loriano, balza dalla sedia infervorato: «Ma lo sai quello che sta accadendo? Lo sai che quattro giorni fa è stato ritrovato, dentro una Renault, il cadavere del presidente del partito di governo, assassinato. Che non puoi fare dieci chilometri fuori città senza essere fermato dalla polizia e perquisito tu e la macchina? L’università ribolle, scritte delle Brigate Rosse appaiono anche nelle fabbriche, i gruppi extra parlamentari di destra sono sempre più aggressivi e organizzati, gli scioperi e le occupazioni sono all’ordine del giorno… e tu mi dici che la vostra è una scelta socio-politica? A me pare una scelta di comodo, per gente che ha il culo parato. Natura, vino, grappa, stanza della musica, amore libero e solo un po’ di lavoro».
Andrea replica con foga: «Non è così! La nostra non è una fuga dalla realtà, ma un ritorno alla realtà vera, alla vita semplice, alla cultura contadina. Nel tuo elenco hai scordato i poveracci della scorta del presidente, trucidati durante il rapimento. So cosa succede nella politica, leggo i quotidiani.
E vista la provocazione, te lo dico: non credo più che noi giovani riusciremo a cambiare il mondo e nemmeno l’Italia, né arriveremo un giorno a scalzare questa classe politica vecchia, conformista, corrotta e abbarbicata ai suoi privilegi, né con la lotta armata né tanto meno pacificamente. E queste Brigate Rosse sono più che ambigue.
Chi c’è dietro di loro? E perché tanto spargimento di sangue? A chi giova questa violenza e il caos sociale? Siamo sicuri che la lotta armata sia a favore del popolo? O piuttosto è contro? Con tutte le delusioni che ho avuto e i dubbi che mi attanagliano, ho scelto di fare la rivoluzione con la nuda terra! E se a qualcuno non sta bene, se ne può andare».
E lascia la stanza, seguito da Tristan che non ha capito niente.
Cala il silenzio.
Mi alzo ed esco. Un vento leggero attraversa le foglie, agita i capelli e porta profumi lontani. I deboli raggi di una mezza luna tagliano, a tratti, il buio di questa splendida notte, così piena di stelle.
Rifletto su quanto accaduto poco fa. Ho taciuto, non avrei saputo che posizione prendere e ho taciuto. Lo ammetto, non ho le idee chiare. Ma c’è qualcuno che ha capito davvero cosa sta accadendo?
Forse ha ragione Andrea: c’è un disegno preciso, manovrato molto in alto, e noi siamo solo delle pedine. O forse no. Magari lo sapremo fra venti anni o trenta. Di una cosa però sono certa: anche se cerca di dissimularlo, Andrea qui è il leader, l’ideologo, comunque quello che prende le decisioni finali. Dunque, anche in una piccola comune sperduta nella campagna, non si può fare a meno di un capo?
Lieve, una melodia si mischia allo stormire delle foglie, la rincorre un ritmo e la incalza, lei accelera, entra un altro suono a fare da contrappunto e poi un altro ancora, in cerca di un incontro…
«Cosa fai lì tutta sola?».
La voce di Domitilla rompe la magia.
«Pensavo, ascoltavo, ammiravo la notte. Ma tu sei felice qui? Ti senti realizzata?»
«Non lo so, penso di sì. Cassio e io ci amiamo, siamo tra amici, in un bel posto e non mi faccio troppe domande. Vivo e imparo cos’è la quotidianità, come nascono un fi ore, una patata, un pulcino, come si cucina una pasta e fagioli. Cose semplici. Lo senti? Hanno iniziato a suonare già da un po’, vieni dentro».
Indugio a entrare nella stanza della musica, è in corso un vero e proprio concerto: pianoforte, batteria, violoncello e sassofono, sembrano dei professionisti e da loro sprigiona un’armonica energia che mi coinvolge all’istante. Il violoncellista è davvero bravo e il sassofonista, che prima mi era apparso semplicemente come un uomo dotato di fascino, si è trasformato in un sublime artista con una grande tecnica e una prorompente personalità. Intorno sono sparsi tamburelli, maracas e altri strumentini, a disposizione di chi desidera suonarli. Avrei voglia di partecipare, ma non oso; non è semplice inserirsi, in modo appropriato, in tale complesso tessuto musicale. Invece i miei piedi, più avvezzi alla danza, mi spingono a vincere la timidezza, a varcare la soglia e a ballare.
Trascorrono così un paio d’ore, tra vette di creatività e virtuosismo e linee piane di normalità, fino a quando la spossatezza prende il posto dell’entusiasmo. Loriano, abituato a svegliarsi presto, russa su una poltrona accanto al piano, qualcuno è già a letto, i musicisti si congratulano tra loro riponendo gli strumenti, e io raggiungo il divano davanti al camino, che mi ospiterà per le prossime ore.
Pian piano gli abitanti della casa si dileguano nelle loro stanze facendo brevi cenni di saluto, tranne Vladimiro, che si avvicina mentre mi accingo a preparare il letto. Prende le mie mani tra le sue, le stringe e sussurra: «Buonanotte». Punta i suoi occhi nei miei, sono intensi, verdi, non li avevo notati prima. Poi sale le scale. Mi ha trasmesso un’emozione, un’altra, la prima attraverso il sax, la seconda con tutto il suo essere. Resto in piedi, immobile, pensando che ci sono delle notti in cui non si dovrebbe, assolutamente, stare da soli, notti come questa. Sarebbe un atto di masochismo e materiale per futuri rimpianti.
Lascio le lenzuola ancora piegate sul divano e, senza indugio, vado su.
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