Edito da Daniela Agazzi nel 2019 • Pagine: 224 • Compra su Amazon
Daniela è una bambina grassottella che viene insultata e messa all’angolo dai suoi vicini di casa: il cibo e lo studio sono gli unici due amici fidati che l’accompagnano dall’infanzia alla giovinezza, sulle note del gospel e della musica salsera. Quando finalmente riesce a dimagrire, trova il tanto agognato amore. Ma si rivelerà vano ed illusorio: sfruttata per la sua sensibilità e il forte desiderio di amare, viene ingannata e tradita, finendo per cadere in depressione. Solo il Cammino di Santiago di Compostela le farà ritrovare la Speranza perduta e la voglia di vivere.
PROLOGO
A parte la mia famiglia, nessuno sa che io ho un secondo nome.
Non mi fu dato al Battesimo. Mia zia Chiara mi chiamava sempre così quando mi vedeva.
Speranza.
Mi ricordo che negli ultimi anni di malattia, andavo con i miei genitori a trovarla nella sua camera da letto dove stava ventiquattro ore senza muoversi.
I miei erano soliti entrare per primi e mia zia senza salutarli chiedeva perplessa:
«Speransa?» con la esse.
Poi entravo io e vedendomi con un sorriso esclamava:
«Ah! Speransa!».
Per tutto il tempo che stavamo lì non diceva altro, se non rispondere alle domande dei miei con il solo cenno del capo.
La mia famiglia non ha mai capito il motivo di questo soprannome né tantomeno perché, su tre fratelli, fosse stato dato proprio a me.
IL COMPLEANNO
Era una calda domenica di maggio del 2004, precisamente il 30, giorno del mio diciannovesimo compleanno.
Un giorno come un altro.
Quando ero piccola i miei genitori, in occasione dei compleanni, amavano radunare parenti, amici e compagni di scuola, decorare la casa con palloncini e bandire la tavola con un’infinità di delizie. Sarà per questo che il mio fisico non è mai stato dei migliori. Ah! Le mamme!
Non sanno mai limitarsi!
Con gli anni i parenti si dileguarono, gli amici pure e i compagni di scuola cambiarono, o meglio crebbero. Negli anni del Liceo non esistevano più le festicciole a casa con i genitori! Si usciva la sera con la compagnia di amici a mangiare una pizza e poi, chiaramente, si andava in discoteca! Almeno questo era quello che sentivo dire dalle mie compagne di classe, perché niente di tutto ciò mi riguardava personalmente.
Da alcuni anni avevo iniziato ad odiare le feste di compleanno. Ogni anno che passava significava regalare al tempo dodici mesi di una vita insignificante. Tutti gli anni erano uguali, mai nessun cambiamento, la mia vita era noiosa. A dir la verità qualcosa era cambiato in me: divenni sempre più ciccia, più triste e più chiusa. Avevo costruito un muro per difendermi dalle critiche dei compagni di scuola e dagli sguardi dei giovani cigni maschi: il mio cuore era freddo come il ghiaccio, non avrei mai e poi mai provato la dolce e calda sensazione di un abbraccio, di un “ti voglio bene”, di un bacio.
Pensandoci ora, non avevo tutti i torti quando sarcasticamente dicevo: «Voglio morire».
E così, anche per il diciannovesimo compleanno i festeggiamenti si ridussero ad un semplice pranzo con la famiglia, acquisiti e futuri acquisiti: mio padre Franco sempre seduto a capotavola per avere tutto sotto controllo e comandare di passargli tutto quello che gli serviva; mia madre Maria seduta alla sua destra, vicina ai fornelli e pronta a scattare in risposta alle richieste del marito. Seduti nello stesso lato di mia madre c’erano mia sorella Greta con il suo promesso Davide e di fronte a loro, mio fratello Marco con la novella sposa Federica. Io, la festeggiata, a capotavola di fronte a mio padre.
Anche quel giorno, come dessert, non poté mancare una delle specialità di mia madre: una squisita torta di mele, a cui seguì lo scartamento dell’unico regalo ricevuto per il mio compleanno:
«Wow! Una macchina fotografica digitale!».
Adoro fotografare il tramonto, perdermi in quel grande acquerello.
Mi meraviglio di come il cielo sappia offrirci spettacoli diversi ogni giorno. Cercavo di non perdermene, soprattutto in estate: una bella mezz’oretta affacciata alla finestra della mia stanza con gli occhi rivolti verso quella moltitudine di colori e il pensiero che si perdeva in un senso di pace.
Erano le 14:30 circa quando finimmo di pulire la cucina. Ritornai nella mia ‘torre d’avorio’ a studiare. La chiamavo così la mia camera da letto dove mi rinchiudevo con i miei ‘adorati’ libri e dove rimanevo fino a cena con il divieto assoluto di essere disturbata. In realtà, purtroppo, la camera non era solo mia: ci dormiva anche mia sorella e, prima ancora che si sposasse, mio fratello. Ma quel giorno me l’ero prenotata io (!), quindi subito dopo pranzo, dopo che mia sorella uscì di casa col suo fidanzato, ero sola.
Mi sedetti sul mio lettuccio con i pantaloni della tuta e una maglia larga a maniche corte. Tutto di colore nero naturalmente.
“Niente di meglio che stare in casa con dei vestiti belli comodi!”.
Mi appoggiai alla parete, accavallai le gambe, posizionai il libro sulle ginocchia incrociate, i riassunti tra le mani…e via! Partii a ripetere una delle materie che tutt’oggi amo di più: la filosofia.
Il giorno di un compleanno di una domenica soleggiata di maggio uno cosa avrebbe dovuto fare? Studiare! Ovvio!
Tutti gli anni in quel periodo, si accumulavano le ultime verifiche e interrogazioni prima delle vacanze estive. Ma quell’anno le verifiche erano già terminate. Ora si doveva studiare per gli esami di maturità e per la tesina. Quindi era d’obbligo rimettersi sui libri anche quella domenica pomeriggio. Altro che una passeggiata andare al Liceo
Artistico, come pensavano alcuni compagni delle medie che avevano scelte altre strade.
«Chissà che ‘fatica’ passare i pomeriggi a disegnare! Noi invece fino a tarda sera a studiare una pila di libri!» mi diceva sempre una di loro.
“Aspetta che ti do una mano ad asciugarti il sudore” bofonchiavo tra me.
Con testa alta le rispondevo:
«Te lo spiego io cosa vuol dire ‘farsi una passeggiata’ all’Artistico: innanzitutto si dà il caso che frequento un Liceo ad indirizzo sperimentale e non una ‘scuoletta’ tradizionale dove si disegna e basta come dici tu! E ciò significa che, oltre al disegno, abbiamo materie che ci danno una preparazione a 360° come filosofia, letteratura italiana, scienze, fisica, chimica, per non dimenticare storia dell’arte, lingua e letteratura inglese, storia e religione. Per cui, tra i disegni e lo studio noi arriviamo fino a notte a studiare, non fino a sera come voi!».
Questo per lo meno valeva per me che ero abituata a fare le cose alla perfezione.
«E vabbè, ma vuoi mettere il nostro livello di preparazione al vostro?» insisteva con un sorrisino malefico.
“Stai lanciando una sfida?” pensai “no perché, se è così… accetto! E ti faccio vedere io chi è più bravo qui!”. Modestamente.
Ma evitai di proseguire. Non volevo ridicolizzarla abbassandomi al suo livello.
“Poveri artisti incompresi!”.
Se proprio devo essere sincera, dovessi ritornare indietro non sceglierei più quella scuola. Non che non mi sia piaciuta, sia chiaro.
L’arte è sempre stata e sempre sarà una mia passione. Ringrazierò a vita il professore di Educazione Artistica delle scuole medie che mi spronò a seguire questa strada vedendo in me attraverso i miei disegni delle doti eccellenti. Ed io alle medie, all’età di quattordici anni, che ancora ‘pettinavo le bambole’ come non potevo ascoltarlo? Disegnare era – e continua ad essere – un’attività a cui non riuscivo a porre rinuncia. Era l’unica cosa che mi piaceva davvero fare. Ai tempi non c’erano quei corsi di orientamento che prima ti descrivevano i vari istituti scolastici presenti sul territorio e poi ti ci accompagnavano a visitarli; né tantomeno ci avevano spiegato i futuri sbocchi lavorativi a cui ci avrebbero portato. Semplicemente, giunta l’ora di scegliere, i professori ci consigliarono di visitare per conto nostro le scuole per vedere l’ambiente e chiedere informazioni, senza consigliarci però quali.
Come è nata l’idea di questo libro e quanto è stato difficile portarlo a termine?
L’idea di racchiudere la mia vita in un libro è nata tre anni fa» racconta Daniela. «Ma il primo documento di Word sul mio pc con i primi pensieri è stato aperto per la prima volta ai tempi della maturità. Da piccoli le insegnanti ci suggerirono di scrivere il cosiddetto “diario personale”. Io non scrissi mai una riga: non avevo nulla da dire al vento. Tuttavia crescendo sentii il bisogno di avere la mia valvola di sfogo, elettronica ormai, per stare al passo coi tempi. Di anno in anno scrivevo, rileggevo, cancellavo. Senza trovare un senso a quello che facevo. Senza capire il senso di quello leggevo. Senza capire il senso della mia vita. Dopo un’illusione d’amore, tre anni fa Daniela intraprende da sola il Cammino di Santiago di Compostela, che si rivelerà l’inizio del cambiamento. «Quando tornai a casa riaprii dopo anni quel documento di Word pieno di appunti slegati tra loro e decisi di collegarli: avevo trovato la conclusione, o meglio, l’inizio della mia Vita». “Il cammino (di Santiago di Compostela) mi ha insegnato a vivere con Me stessa. Senza un uomo accanto. O con molti uomini accanto. In trent’anni non ho avuto nessuno. In dodici giorni ho fatto colpo su tre persone” sono le parole dell’autrice che leggiamo sulla quarta di copertina. Daniela spiega il motivo per cui ha aspettato tre anni a pubblicare il libro ormai finito. «Terminato il libro ho conosciuto il mio attuale compagno. Coincidenza? Un nuovo capitolo della mia vita era iniziato e non volevo più guardare indietro al mio passato. Perciò non pensai più al libro. Non avevo nemmeno intenzione di pubblicarlo. Ero solo contenta di aver chiuso per sempre quel ‘file’ della mia vita». La decisione di pubblicarlo arrivò solo un paio di mesi fa dopo averlo fatto leggere in anteprima ad una persona cara. «Le parole con cui ha commentato il libro mi hanno colpito tant’è che le ho inserite nella parte introduttiva del libro. Da lì alla pubblicazione è stato un passo. Il messaggio da trasmettere è forte e non poteva essere tenuto segregato in un pc».
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Essendo un romanzo autobiografico non mi sono ispirata ad un autore in particolare. In ogni caso il mio autore preferito è Dan Brown.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Cresciuta a Grassobbio (BG), ora convivo a Capriate San Gervasio (BG).
Dal punto di vista letterario, quali sono i vostri progetti per il futuro?
Al momento non ho intenzione di scrivere ulteriori libri.
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