
Edito da Midgard Editrice nel 2021 • Pagine: 118 • Compra su Amazon
Rifuggire il dolore o, peggio, rinnegarlo, equivale ad abiurare noi stessi. Il dolore, volente o nolente, è costitutivo del nostro essere e delle nostre esistenze. Alla luce di quest’affermazione, nessun deus ex machina è in grado di fare ciò che noi possiamo portare a compimento con la nostra forza di volontà: porci dinanzi a questa squisita sensazione che a volte ci tormenta, a volte ci sazia, con tronfia e superba volontà di accettazione, perdono e desiderio di convivenza. Un elogio del dolore, un’esortazione ad assaporarne lo squisito sapore e tentare di sublimarlo, un’occasione per tentare di connettersi con questa potente sensazione che rappresenta il leitmotiv dell’esistenza di tutti noi, nessuno escluso; e se c’è un modo per rendere squisito il dolore, il livore, il supplizio è quello di condividerlo, esternarlo e affrontarlo insieme. Un volo pindarico dentro un mondo interiore, fatto di sprazzi di gioia e interminabili momenti di dolore. Una prospettiva filantropica fra trascendenza e perdizione, in questo viaggio incredibile che è, precipitevolissimevolmente, la vita.

“Nell’opera Il mondo come volontà e rappresentazione Arthur Schopenhauer descrive a tinte plumbee la condizione umana ricorrendo alla metafora del pendolo e rovesciando letteralmente l’affermazione di Leibniz, secondo la quale noi vivremmo nel migliore dei mondi possibili. Schopenhauer sostiene che la vita sia come un pendolo che oscilla tra dolore, inteso come desiderio sempre insoddisfatto, piacere, mera e fugace cessazione del dolore, e noia, nell’accezione di assenza di tensione vitale. Il filosofo paragona, inoltre, le forme a priori a vetri dalle molteplici sfaccettature, attraverso i quali la visione delle cose si deforma e, in cui la rappresentazione si palesa come ingannevole fantasmagoria. La conclusione è notevole: la vita è un sogno, un incantesimo, un tessuto di apparenze che la rende simile agli stati onirici. Sospeso tra i precedenti pensatori di questa sua intuizione che egli stesso cita, come Platone, Pindaro, Sofocle, William Shakespeare e Calderòn de la Barca e annoverabile, a pieno titolo, tra i “maestri del sospetto” di Paul Ricœur , Schopenhauer presenta la sua filosofia come integrazione necessaria a quella di Kant, prendendosi il merito di aver individuato la via di accesso al noumeno come cosa in sé che, nella Critica alla ragion pura (1781), Kant aveva precluso. Alla ricerca della possibilità di lacerare il velo di Maya e trovare il filo di Arianna per poter lasciare il labirinto, il passaggio obbligato è rappresentato dalla volontà di vivere. Da quanto si è detto, emerge intelligibilmente come per Schopenhauer la vita sia in buona sostanza dolore tanto da attribuire alla lettura delle Upanishad l’unico motivo consolatorio della sua vita. L’autore individua tre vie di liberazione dalla sofferenza, ovvero tre tappe nel percorso salvifico della persona rappresentate da arte, morale e ascesi. Arte, come conoscenza libera e disinteressata delle idee universali, morale, quale sentimento di pietà o compassione per il prossimo ed ascesi, come soppressione del desiderio e della stessa volontà rappresentano dunque gli ingredienti fondamentali che confluiscono e rappresentano le vie per liberarsi dal dolore secondo una delle più radicali forme di pessimismo cosmico e metafisico di tutta la storia del pensiero”.
“Tra i temi più dibattuti e caratteristici del pensiero novecentesco vi è senza dubbio il problema del linguaggio. Ripreso da M. Heidegger, Ludwig Wittgenstein, Ferdinand de Saussure e Hans-Georg Gadamer trova ampia considerazione nel pensiero di Chomsky e di Gilles Deleuze. In Wittgenstein, in particolare, l’analisi del linguaggio porta ad una visione della filosofia come malattia e come terapia in quanto il linguaggio è in grado di dar voce al dolore, permettendone il superamento. Deleuze afferma che la tendenza a voler attribuire significati serve al sistema culturale per assolvere funzioni conservatrici e dissuadere ogni pensiero sovversivo. Di contro, esorta a produrre un pensiero alternativo in grado di destabilizzare la logica delle certezze correnti. Ne L’anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia (1972), scritto a quattro mani con lo psicoanalista Fèlix Guattari, sostiene che la pazzia sia l’unica forma di ribellione anticapitalistica in grado di liberare la “macchina desiderante” che la repressione sociale ha rimosso. Secondo gli autori, occorre pertanto convergere in una nuova disciplina: la schizo-analisi, in grado di dar voce alla follia schizofrenica come liberazione, in una prospettiva di anarchia assoluta. Alla luce di quanto riportato, il dolore si configura come vasodilatatore in grado di ampliare le possibilità che abbiamo di riflettere sulla sofferenza che genera e trovare soluzioni originali, mettendo in moto atti creativi, per imparare ad accettarlo e intraprendere una pacifica convivenza con esso. Dolore e piacere non sono mai antitetici ma si configurano come due unità speculari. In detta prospettiva è necessario addurre una sostanziale distinzione tra il dolore che genera impotenza e quello in grado di costruire significati. Scrive Salvatore Natoli (1986): “il dolore, qualunque sia la sua origine ed in qualunque modo sia vissuto, rompe il ritmo abituale dell’esistenza, produce quella discontinuità sufficiente per gettare nuova luce sulle cose ed essere insieme patimento e rivelazione. Il mondo si vede in un modo in cui mai prima si era visto”. Grazie al pensiero dei grandi teorici che hanno tentato da un lato di edulcorarne la visione, dall’altro di osservarlo da una prospettiva polisemica, lo squisito dolore diventa così sinestesia e ossimoro al contempo ed offre variegate sfumature e pieghe attraverso le quali creare nuovi significati. Il dolore è l’anello di congiunzione che concorre a costruire il tutto, a volte sembra che la vita coincida in toto con la sofferenza in una serie continua di avversità, fallimenti e disgrazie. Quando tentiamo di dare un senso agli accadimenti negativi e alle catastrofi avvenute nel corso della storia facciamo fatica a scorgere un disegno razionale. Ma allora è il caos che domina tutte le cose? Edward Lorenz ci risponderebbe così: “Does the flap of a butterfly’s wings in Brazil set off a tornado in Texas?” in cui il battito delle ali della farfalla in Brasile è indice di un impercettibile cambiamento nelle condizioni iniziali del sistema che determina conseguenze su scale infinitamente più grandi. Il concetto di effetto farfalla ha trovato il proprio inquadramento concettuale della teoria del caos, i cui inizi risalgono agli studi del 1890 di Henri Poincaré, la scoperta di Lorenz fu semplicemente dovuta alla limitata precisione di inserimento delle cifre nel computer usato dallo scienziato per le sue simulazioni. Ciò non esclude il nesso causa-effetto che lega le cose e la possibilità che nel caos possa trovarsi un ordine razionale, come è innegabile che gli effetti di un determinato comportamento o atteggiamento possano avere conseguenze e risvolti inimmaginabili anche a livelli macroscopici. Quindi cos’è questo caos? Cos’è questa urgenza di trovare un senso, un significato, una ragione, un rifugio dalla sofferenza? Perché ci affanniamo così tanto a ritardare gli effetti che l’attraversare i nostri tarli celano in sé? Non sarebbe, forse, più semplice fermarci e farci travolgere dal tornado per poi rialzarci e leccarci le ferite sentendoci più forti, consapevoli e desiderosi di ricostruirci? Zarathustra suggerirebbe di metterci l’anima in pace, di arrenderci all’evidenza dei fatti, di finirla con questa estenuante ricerca e di prendere consapevolezza che forse un significato e un senso a ciò che è accaduto, accade e accadrà non lo troveremo, probabilmente, mai”.

Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea di questo libro era dentro di me da molto tempo, ma nasce fondamentalmente da un sogno nel cassetto che sono riuscita a realizzare.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non molto. Durante il lockdown dell’anno scorso ho cercato di utilizzare al meglio il tempo a mia disposizione e ho avuto modo di portarlo a termine.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Difficile rispondere a questa domanda. Ho moltissimi autori di riferimento, sono una divoratrice di libri e non mi stanco mai di imparare.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nata e vivo a Perugia. Per un periodo ho studiato a Roma come pendolare ma non mi sono mai trasferita.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sto realizzando un nuovo progetto, sarà una piacevole sorpresa.
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