
Edito da Youcanprint nel gennaio 2019 • Pagine: 194 • Compra su Amazon
La storia dei proverbi è più antica di qualsivoglia, primordiale forma di scrittura, anzi: proprio per la sua capacità di restare impresso, ora come monito, ora come insegnamento, il proverbio può considerarsi uno dei primissimi tentativi (ben riuscito, visti i risultati) di tramandare, all'interno di sistemi interpersonali e intergenerazionali, norme e regolamenti di vita; tant'è che se ne rinviene un ampio uso in moltissime culture. Tuttavia, non possono essere presi ad esempio per tramandare verità assolute, data la singolare proprietà di smentirsi l'un l'altro. Si prenda, come esempio, il detto "Chi fa da sé, fa per tre" che contrasta palesemente con quello che recita "L'unione fa la forza", oppure i proverbi contraddittori "Chi troppo vuole nulla stringe" e "Chi non risica non rosica". Insomma: nulla di troppo serio, ma nemmeno di troppo leggero… questo è lo spirito col quale viene proposto questo libro di raccolta di proverbi dialettali italiani, aventi per protagonisti i "matti". Così come i proverbi ci raccontano le "esperienze dei popoli", allo stesso modo l'autore vuole raccontarvi, attraverso questa raccolta, l'esperienza dei popoli rispetto al tema della salute mentale. Fondendo, cioè, la tradizione, l'esperienza, i luoghi comuni, i detti e i non detti, la storia, la filosofia, le leggende dipingerà un inedito quadro, neanche troppo astratto, che parli di follia.

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LOMBARDIA
A BATT ON MATT EL DEVENTA PUSSEE MATT
(Picchiare un matto lo fa diventare ancora più matto)
Metodi severi
Fin dall’alba dei tempi i trattamenti violenti nella cosiddetta “cura” delle malattie mentali l’hanno fatta da padroni; purghe, salassi, bagni caldi e freddi, catene, sevizie e torture varie hanno rappresentato le uniche opportunità per provare a liberare i malcapitati dal “germe” della follia.
I luoghi nei quali i malati venivano rinchiusi (ancora fino alla fine del secolo scorso) non erano molto diversi dalle prigioni nelle quali venivano segregate persone ree di qualche colpa (tanto che la malattia mentale, per molto tempo e, in tante culture ancora oggi, è stata assimilata ad una colpa). In molti manicomi le persone ivi rinchiuse venivano trattate come bestie feroci, bastonate, incatenate oppure sottoposte al supplizio della fame e della sete.
Questo proverbio vuole affermare il princi-pio che la violenza non può educare ma che, anzi, fa precipitare il malato all’interno di un baratro dal quale sarà ancora più difficile risalire. A tale proposito sarà utile ricordare il caso della famiglia Schreber (Vincenzi, 2007).
Il dottor Daniel Gottlieb Moritz Schreber (1808-1861), fu un famoso medico tedesco e uno studioso di pedagogia: le sue teorie educative furono ritenute estremamente valide anche molti anni dopo la sua morte. Egli affermava che la società tedesca di allora fosse “fiacca” e “in decadenza” soprattutto a causa della mancanza di disciplina nell’educazione dei bambini.
Schreber affermò che “Tutte le ignobili o immorali emozioni devono essere stroncate al loro primo apparire”; applicò, quindi, metodi coercitivi per forgiare corpo e mente: il “reggitesta”, per tenere dritto il capo, il “raddrizzatore della schiena” o il “raddrizzaspalle”, per il busto, fasce contenitive per costringere durante il sonno alla posizione supina (dormire a pancia in giù poteva eccitare i genitali), pulizie personali con acqua fredda per impedire il “vizio” (siamo in Germania, non ai Carabi!).
All’interno di questo ambiente sessuofobico, malsano, sadico, morboso, intriso da fanatismo religioso crebbero i figli del dottor Schreber, i quali svilupparono gravissime malattie mentali: Daniel Paul (1842-1911) morì in manicomio di schizofrenia paranoide, Daniel Gustav (1839-1877) morì suicida (soffriva di “melanconia”), Sidonie (1846-1924) soffrì anch’essa di gravi disturbi mentali.

Come è nata l’idea di questo libro?
Il mio intento è quello di comprendere e far comprendere un fenomeno, in questo caso la follia, facendo un viaggio indietro nel tempo, alle origini del problema. Ho deciso, quindi, di attingere alla storia e alla saggezza popolare e recuperare tutti quei modi di dire, antichi quanto l’umanità stessa, che potessero raccontare il lungo cammino, spesso tortuoso, del modo di vedere i matti nelle varie realtà della nostra penisola. L’ho fatto recuperando tutti (spero) i proverbi e i modi di dire sulla follia nei vari dialetti delle nostre regioni.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
La difficoltà maggiore è stata la ricerca dei proverbi. Ho consultato moltissimi testi, esplorato siti, frequentato biblioteche. Il tempo impiegato per scrivere questo libro è stato assorbito soprattutto dalla ricerca.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Pier Paolo Pasolini, Giuseppe Marotta, Luciano De Crescenzo, Hermann Hesse.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nato e ho vissuto la primissima parte della mia infanzia a Napoli. Dopodiché mi sono spostato in provincia di Milano (Monza e poi Brugherio), dove vivo tutt’ora.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sto attualmente lavorando a due progetti: uno riguarda il Triage Psichiatrico Territoriale, uno strumento di valutazione in Psichiatria messo a punto, sperimentato e validato negli ultimi dieci anni, da me e dal mio amico e collega Giovanni Spaccapeli, e l’altro è un manuale per chi si appresta a coordinare dei gruppi di lavoro.
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