Edito da Edizioni Helicon nel 2019 • Pagine: 174 • Compra su Amazon
Questo saggio parla della tradizione, antica quanto il genere umano, della narrazione orale, ripercorrendone storia ed evoluzione. In particolare analizza il genere fiaba evidenziandone la valenza sia come strumento formativo che come prodotto letterario estetico. La parte monografica racconta la vita e le opere di Roberto Piumini e presenta una rigorosa analisi del testo 'Le tre pentole di Anghiari'. Ne emerge un Piumini affabulatore sapiente, autore nella cui opera si condensa alla perfezione la potenza formativa ed espressiva della tradizione della narrazione orale: un 'cuoco di parole' capace, con il lirismo del suo narrare, di educare alla bellezza il giovane lettore.
Fatti fitti di fate e fattucchiere.
Immagini di maghi e magie.
Storie d’orride streghe.
Memorie d’ori neri.
Episodi d’odio.
Voci di covi.
Idee di dei.
Favole.
Fiabe.
Fole.
Noi.
Io.
(Roberto Piumini, da C’era un bambino profumato di latte, 1980)
Qual è l’eredità della tradizione orale della narrativa popolare? Quali generi letterari ne derivano? E in quale modo il racconto, e la fiaba in particolare, si rivelano perfetto strumento per educare all’uso consapevole e creativo di una lingua e per accompagnare i giovanissimi verso una crescita serena? Partendo da domande di questo tipo nel corso della mia analisi ripercorrerò l’evoluzione storico-critica delle varie forme di racconto della tradizione orale e del relativo ruolo sociale di strumento educativo. Giungerò quindi ad analizzare la significativa esperienza di Roberto Piumini, uno dei maggiori scrittori per l’infanzia dell’Italia contemporanea, capace più di altri di fondere la tradizione con elementi di novità, la poetica del cantore antico con la scrittura contemporanea, la ricerca filologica e pedagogica con quella artistica e, elevando la parola a strumento estetico, di accompagnare il destinatario delle sue narrazioni nella dimensione ludica del linguaggio. Nello specifico mi concentrerò sull’analisi del racconto Le tre pentole di Anghiari con l’intento di scoprire se e come questo rientri stilisticamente nel genere fiaba e rivesta valenza sia formativa che sensibilizzante verso l’estetica del linguaggio.
Il mio interesse per le fiabe, i racconti e in generale per il potere della parola quale mezzo sia espressivo che educativo nasce soprattutto dalla mia esperienza personale e professionale. Da alcuni anni lavoro come insegnante in una scuola primaria e quotidianamente mi interrogo per capire i modi giusti e più efficaci per interagire con i miei alunni: mi confronto con le mie eterogenee esperienze pregresse, con gli studi magistrali e con quelli per ottenere il ruolo, nonché con quel mio maestro che mi piaceva tanto, in quei miei primi anni di scuola, nei quali, mi ricordo, i racconti erano una componente immancabile, e mi ritrovo ad affidarmi spesso e con convinzione alla narrazione come mezzo educativo. Nella scuola dove insegno stiamo peraltro mettendo in atto una sperimentazione di metodologia didattica chiamata ‘Scuola Senza Zaino’ che molto si basa su concetti quali l’autonomia e la responsabilità del bambino in un contesto di comunità e di apprendimento cooperativo; all’interno di questo progetto, fiabe e racconti, nonché i momenti narrativi per sé stessi, si rivelano uno strumento fondamentale per molti dei nostri intenti educativi. Innanzitutto diamo una grande rilevanza alla parola e all’utilizzo consapevole della voce in ogni contesto: si fa attenzione al volume, dando importanza ai momenti di silenzio che incorniciano le parole conferendo loro una rilevanza maggiore. Utilizziamo facilitatori, quali ad esempio un semaforo della voce che ci ricorda come regolare il dialogare in funzione dell’attività che viene svolta, e oggetti simbolo che passati di mano conferiscono (e sacralizzano) il diritto alla parola. Tutte le mattine ci riuniamo in uno spazio della nostra classe chiamato agorà dove discutiamo su cosa faremo, decidiamo incarichi e responsabilità, ci raccontiamo storie, parliamo di noi e dei nostri sentimenti. Noi insegnanti prestiamo anche attenzione alla modulazione del mezzo vocale, riscoprendo proprio dalla tradizione della narrazione orale l’importanza del tono e del colore della voce.
La nostra scuola-comunità trova nel confronto e nel racconto momenti formativi e di sviluppo di identità come accadeva nei tempi passati, dalla narrazione familiare al focolare domestico di qualche decennio fa alle antiche riunioni tribali intorno all’anziano del villaggio. Il racconto è per noi più che mai una risorsa educativa preziosa che permette al bambino, attraverso l’immedesimazione, di interiorizzare esperienze sulle proprie emozioni e di maturare una personale idea su come affrontare il mondo che lo aspetta. La fiaba in particolare è il prototipo del racconto che sa essere pedagogico, in quanto, lasciando spazio alla rielaborazione e al commento autonomo da parte del ricevente, attiva il processo metacognitivo nel bambino, che sviluppa in sé controllo e consapevolezza dei propri apprendimenti e della propria crescita.
Le fiabe inoltre sanno educare all’accettazione di norme sociali, abituano alle differenze insegnando a vivere in un mondo molto più vasto del nido domestico, dove ci sono il maschio e la femmina, il ricco e il povero, il buono e il cattivo. Trasmettono l’importanza di valori quali l’obbedienza e la generosità e stimolano la formazione della competenza più importante nel bambino: il saper fare.
La fiaba è strumento perfetto per lo sviluppo nei bambini del pensiero narrativo che conferisce significato alle esperienze e un senso a ciò che appare inspiegabile. Ancora, per mezzo della narrazione, la fiaba aiuta lo sviluppo psicologico ed intellettivo nelle sfere del linguaggio, della socialità e della moralità, educando al vivere comune attraverso la esemplificazione e la comprensione delle conseguenze che i nostri atti possono avere, e in quelle dell’affettività e dell’emotività, consentendo al bambino di vivere emozioni forti in un contesto protetto, di immedesimarsi col protagonista e viverne i sentimenti non rischiando nulla e sempre con l’adulto al suo fianco.
La filastrocca di Piumini che ho messo in apertura a mio avviso sintetizza alla perfezione il perché, nel mio parlar di fiabe e di potenza della parola, la mia scelta sia caduta proprio su questo scrittore: in questo breve componimento metaletterario l’autore condensa le tematiche e l’essenza prodigiosa del racconto di magia.
Al contempo, tra allitterazioni ed anagrammi, gioca con la parola per ritmo, metrica e forma grafica: parte dai vocaboli propri del racconto di magia degradando nell’asindeto finale fino ai pronomi ‘noi’ ed ‘io’. In ogni comunità, nei secoli, la narrazione ha perpetuato il legame di identità culturale e rivestito un importante ruolo formativo, andando a definire cosa ‘noi’ siamo.
Vedere, nel testo della filastrocca, le parole del racconto di magia confluire nel ‘noi’ appare come una riproduzione testuale di questo meccanismo. Come per effetto dell’‘imbuto’ grafico del testo, l’intero universo incantato della fiaba, col suo patrimonio di tradizione, pare infine condensarsi nel pronome ‘io’ col quale Piumini conclude e si indica, andando a dichiarare l’essenza stessa dell’autore.
La scrittura di Piumini costituisce senza dubbio un patrimonio della letteratura italiana contemporanea. Personalmente mi affascina molto, al pari della sua stessa figura di fine scrittore che spesso veste i panni anche dell’attore e cantore dedito a perpetuare la forza della poesia e la magia del racconto, facendosi in prima persona educatore alla cultura. Fra la moltitudine delle opere che Piumini ha edito ho scelto come oggetto della mia analisi Le tre pentole di Anghiari. In primo luogo perché, reputandola una produzione ricca di spunti, l’ho ritenuta ampiamente meritevole di una (pur modesta) analisi letteraria, di una riflessione sull’autore e su cosa possa essere la fiaba oggi, nonché sul potere formativo e di educazione al bello che l’arte del raccontare può rivestire. In seconda battuta probabilmente mi ha anche attratto il richiamo campanilistico ed affettivo alla Valtiberina Toscana nella quale sono cresciuto. Il fine che mi propongo è scoprire come questa opera sia significativa ed esemplificativa dell’approccio stilisticamente ricercato al genere fiaba di Piumini, quali ne siano le originalità e cosa invece vi si ritrovi della forma tradizionale del genere.
Nell’organizzare il lavoro, ho ritenuto opportuno partire da una storia della narrazione orale, che costituisce la materia del primo capitolo; mi sono soffermato su generi arcaici e comuni a pressoché tutte le civiltà quali mito, favola e leggenda, in quanto questi sono i modelli generativi della fiaba che poi è l’oggetto principale di questa dissertazione. Inoltre, tutte queste forme di narrazione prese in rassegna sono padroneggiate con sapienza dal nostro autore: Piumini è un poligrafo, spazia tra i generi sia per diletto letterario che nell’intento di sfruttare al meglio la potenza specifica delle varie metodologie di scrittura e delle tipologie di racconto.
La forza dell’opera di Piumini poggia sui modelli letterari del passato: in virtù della profonda conoscenza di questi, egli ricorre in maniera consapevole alla forma poetica come
mezzo narrativo comprendendone le potenzialità e finalizza alla educazione estetica un utilizzo sapiente della parola.
Infine, è importante ripercorrere la storia e l’evoluzione del racconto di magia per poter comprendere l’importanza che il genere ha rivestito e, ancor più, riveste oggi nell’approccio pedagogico e formativo con le nuove generazioni.
Nel secondo capitolo passo quindi ad analizzare nello specifico il genere fiaba, approfondendone nell’ordine tipologia e storia, funzione, significato e aspetti formali, delineando i principali caratteri del genere anche con l’inevitabile rimando all’analisi strutturale di Vladimir Propp.
Il capitolo seguente è dedicato a una indagine storica sulla letteratura formativa per l’infanzia, partendo dalla nascita del filone come genere a sé stante, seguendone poi lo sviluppo nelle varie declinazioni, mantenendo un occhio di riguardo alla realtà italiana. In conclusione una panoramica sulla critica del genere e come questa negli ultimi decenni abbia, andando a braccetto col crescente successo di pubblico, progressivamente esaltato la valenza sia estetica che formativa della fiaba.
Il quarto capitolo è dedicato alla figura di Roberto Piumini: in primo luogo procedo a presentare l’autore ripercorrendone la biografia, evidenziando come si siano annidati in lui i semi delle sensibilità peculiari che poi ne hanno determinato la cifra stilistica. Poi, attraverso anche le sue stesse parole, seguo Piumini esaltare l’insita valenza artistica e le potenzialità formative della affabulazione. Da profondo conoscitore, egli cerca di avvicinare il lettore a quella piena padronanza del linguaggio necessaria a un consapevole utilizzo in forma ludica e creativa. Procedo presentando brevemente alcune delle pietre miliari della sua produzione, contestualizzate nell’opera e nella biografia dell’autore. Passo poi a prendere in esame il racconto Le tre pentole di Anghiari, fornendo una personale analisi letteraria del testo nella quale evidenzio le analogie stilistiche e di intenti con le fiabe tradizionali analizzate nel capitolo precedente; a tale scopo concludo con una tabella riepilogativa delle caratteristiche del genere fiaba riscontrabili nel racconto di Piumini.In appendice il lettore può trovare un piccolo lavoro di ricerca e confronto fra le vesti editoriali e le relative illustrazioni che negli anni le case editrici hanno proposto per Le tre pentole di Anghiari.
Come è nata l’idea di questo libro?
Sono maestro elementare nella Scuola Primaria Senza Zaino di Pistrino, in provincia di Perugia. Il mio percorso formativo è contraddistinto, per lavoro e per passione, da un impegno continuo in ambito professionale e universitario. Alcuni anni fa, durante gli studi per il conseguimento della mia seconda laurea, una magistrale in filologia moderna, ho scelto di approfondire le tematiche relative al racconto orale e al genere fiaba e alla loro forte valenza educativa. Ovviamente questa mia scelta si è basata molto, oltre che sugli studi filologici, sulla mia esperienza quotidiana di insegnamento, su quanto appreso e su ciò che avrei voluto approfondire. In seguito ho riadattato il testo per farne un saggio destinato alla pubblicazione.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
La realizzazione del saggio non direi sia stata difficile, anche se certamente impegnativa. Il lavoro dietro è notevole in termini di studio, ricerca e, in seguito, di stesura: l’obiettivo era quello di cercare di scrivere un testo che, pur nel rigore, fosse, per registro, adatto a essere letto tanto dai professionisti del settore, quanto da un lettore semplicemente interessato ai temi trattati. Più difficile, considerando che ero esordiente nel panorama editoriale, poteva essere giungere all’effettiva pubblicazione: fortunatamente provai a partecipare a due premi letterari per inediti, risultando premiato in entrambi e vincendo un contratto di edizione.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Ho degli autori preferiti, romanzieri come Orwell, Hermann Hesse, Dumas padre, ma non ho l’ardire di chiamarli modelli. Ammiro di autori come il già citato Hesse e lo stesso Piumini oggetto del mio studio, la capacità di narrare esprimendosi con semplicità, pur mantenendo una dimensione aulica e musicale del linguaggio. Certo è che leggendo capolavori di questi grandi della letteratura (ma spesso anche opere di scrittori sconosciuti) qualcosa si cerca sempre di carpire, e, anche laddove non vi è uno studio intenzionale, la lettura porta certamente sempre un arricchimento. Leggere è l’esercizio fondamentale per l’acquisizione di un potere grandissimo, ma spesso sottovalutato: la capacità di usare con pienezza una lingua. La padronanza del mezzo comunicativo espande anche le nostre capacità di pensiero e ci consente di sentirci realizzati nella completa possibilità di espressione.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Ho sempre vissuto, tranne qualche mese di vacanza-lavoro in Australia, tra i paesi di Sansepolcro e San Giustino, nella prima vallata pianeggiante che il Tevere disegna lungo il suo corso. Pur essendo il primo in Toscana e il secondo in Umbria sono confinanti e praticamente un’unica conurbazione. È una terra, per quanto centrale nel territorio italiano, un po’ fuori dalle principali vie di comunicazione, ancora un po’ nascosta, ma comunque viva e ricca di bellezze naturali e artistiche. In questa stessa vallata si trova anche la stupenda cittadina di Anghiari, che fa da sfondo alla storia che analizzo nel saggio.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Ho raccolto un po’ di materiali e di idee per un saggio che racconti aneddoti particolari della storia dell’arte (l’altro campo dei miei studi) e avrei un’idea piuttosto strutturata per un racconto per ragazzi che vorrei un giorno trasferire su carta. Al momento però sono felicemente molto occupato a fare il papà e lascerò questi miei progetti a decantare ancora per un po’.
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