
Edito da Lorenzo Pivanti nel dicembre 2018 • Pagine: 64 • Compra su Amazon
Roby è il primo robot bambino creato dall\'uomo capace di crescere come un essere umano. Messo al mondo in una società dove gli androidi sono diffusi, è un androide speciale. Roby, infatti, non eccelle in una qualche funzione, né si presenta con un aspetto perfetto. Per poter crescere ha bisogno, come tutti gli esseri umani, di un’educazione, di amici e, soprattutto, delle cure e dell’affetto dei genitori. Durante la sua crescita, quindi, la sua umanità dovrà essere accettata da lui e da chi lo circonda. Tutto ciò non sarà facile quando, durante le elementari, la sua natura verrà allo scoperto...
“La storia di Roby” è uno strano racconto fantascientifico, dalla prospettiva ribaltata, in cui è l’avanguardia tecnologica a far riscoprire i valori umani più profondi.

Roby non si trovava. Ci fu chi sosteneva che la Robotek doveva aver fatto un ottimo lavoro con il bambino perché non se ne notasse la natura androide; chi, invece, supponeva che i suoi genitori non lo avessero iscritto alla scuola materna o che, spaventati dall’attenzione mediatica, ne avessero cambiato il nome.
Passarono sei anni prima che Roby venisse trovato. Accadde perché, proprio per evitare che il clamore mediatico nuocesse alla sua crescita, la Robotek aveva dichiarato un anno di età in più rispetto a quello reale.
Durante tutto quel tempo Roby crebbe come chiunque altro, concludendo la scuola materna e iscrivendosi a quella elementare. Non presentò particolari problemi nello sviluppo, se non una lieve difficoltà ogni volta che svolgeva un compito che richiedesse l’uso delle dita in maniera precisa, come scrivere, disegnare, mangiare con le posate… La problematica, tuttavia, non era tale da richiedere un esame approfondito. A scuola i voti erano in generale buoni e lui era benvoluto dai compagni di classe.
Roby sapeva molto bene che al mondo esisteva un piccolo androide con il suo nome. Nella sua scuola elementare, infatti, si trovava un omonimo di un anno più grande che era stato oggetto di forti attenzioni. I suoi genitori si erano subito adoperati per fugare qualsiasi dubbio sulla natura del figlio, condividendone, con ogni mezzo possibile, l’atto di nascita. Tuttavia i suoi compagni di classe e di scuola avevano continuato di tanto in tanto a canzonarlo: «Roby il robot, Roby il robot!». Lo stesso nostro Roby, il vero piccolo androide, lo aveva preso in giro qualche volta.
I suoi genitori mai dimenticarono il giorno in cui, a sei anni, chiese il significato della parola “androide”. Da tempo avevano cercato di prepararsi la risposta, ma non erano riusciti a trovarne una convincente per un bambino. A maggior ragione per un bambino lui stesso androide.
«Un androide è come un essere umano, ma prodotto con materiale diverso e, di solito, con qualche funzione particolare», gli aveva risposto la madre.
Il padre gli aveva quindi fatto alcuni esempi di androidi in cui si era già imbattuto: quelli con cui aveva interagito in alcuni parchi giochi o musei della scienza, che aveva incontrato in qualche casa o visto gareggiare in discipline sportive.
«Ci sono anche robot che non hanno nessuna funzione specifica e sono del tutto simili a noi umani.»
«Però sono tutti bravissimi in qualche cosa, ve-ro?» aveva chiesto il bambino.
I genitori titubarono nel rispondere.
«Sì, Roby, di solito è così. Ma non tutti.»
Come venne scoperto Roby? Fu a causa dell’unica caratteristica nell’alimentazione che lo distingueva dagli esseri umani. Roby, infatti, doveva bere tutti i giorni almeno un bicchiere di una bevanda fondamentale per il funzionamento del suo core. I genitori l’avevano chiamata “superlatte”.
Un giorno, verso la fine del terzo anno di scuola elementare, Roby, come era successo altre volte, invitò a casa il suo miglior amico, Toryan. Dopo aver giocato per più di un’ora, ai due venne sete. La madre di Roby era impegnata in una videoconnessione e Toryan trovò una bottiglia di superlatte sul tavolo della cucina.
«Ma questo è il superlatte!» esclamò subito il bambino.
Roby aveva più volte parlato della bevanda a scuola, dicendo ai suoi compagni, come gli avevano insegnato i genitori, che era un latte particolare, solo per lui, che gli altri bambini non potevano digerire. Lo diceva sempre con un certo orgoglio e i suoi amici, sentendo che era un superlatte, più volte gli avevano chiesto di portarlo a scuola o di poterlo assaggiare quando lo andavano a trovare. I genitori di Roby però avevano sempre ribadito che quel latte era esclusivamente per il figlio. Inoltre, non lo facevano mai trovare in giro per casa, tenendo tutte le bottiglie sotto chiave nel contenitore speciale che la Robotek riforniva mensilmente.
Quella che Roby trovò in cucina, evidentemente, era stata dimenticata fuori.

Come è nata l’idea di questo libro?
“La storia di Roby” s’inserisce in un periodo in cui ho scritto altri lavori caratterizzati da storie di crescita e formazione. In tutti un importante ruolo viene ricoperto dalla società e dagli adulti che attorniano i giovani protagonisti. Questo racconto in particolare tocca tematiche relative alla ricerca della popolarità, al bullismo e al recupero dei valori umani in un mondo sempre più tecnologico.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Il racconto è stato scritto quasi di getto. Lo considero una costola di un lungo romanzo futuristico che ho finito di scrivere due anni fa (non ancora pubblicato), di cui ho in parte ripreso l’ambientazione.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Quando scrivo non mi “riferisco” ad altri autori. Per me scrivere è mettere su pagina un sogno ad occhi aperti che mi ha improvvisamente colto e che provo il desiderio di condividere. Magari quanto scritto trova poi somiglianze con gli autori nei cui “sogni letterari” amo farmi catapultare, ma non ne sono così sicuro. In ogni caso, alcuni dei miei autori preferiti sono: tra gli italiani, Calvino, Fenoglio, Levi e Pavese; tra gli stranieri, Carver, Céline, Pamuk, Richtler, Vargas Llosa, Gary, Orwell, Keyes.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nato e cresciuto a Milano, ho vissuto un anno negli Stati Uniti, e ora vivo in Brianza, a nord di Milano.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Pubblicherò a breve altri due romanzi brevi. Forse, insieme a questo lungo racconto, formeranno una sorta di raccolta che vedrà ulteriori aggiunte.
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