
Edito da De Ferrari nel 2021 • Pagine: 160 • Compra su Amazon
Genova, II Guerra Mondiale. La fraterna amicizia che lega Amedeo e Dario si spezza quando Viola, abbandonata dal primo poiché partito volontario, finisce con il ricambiare il sentimento nel frattempo sbocciato nell’altro. Le vicende belliche seguite all’armistizio risucchiano inoltre i due giovani in schieramenti opposti, rispettivamente nella “X MAS” e nella formazione partigiana “Cichero” guidata da Aldo Gastaldi “Bisagno”.
In una spirale di odio, esasperato da una radicale decisione della ragazza, Dario e Amedeo si daranno la caccia a vicenda per uccidersi, ciascuno dovendo fare nel contempo i conti con un doloroso avvenimento del proprio passato. Il destino ha però in serbo per loro un diverso epilogo, amaro e purificatore insieme.
Una storia di straordinaria amicizia e di ardente amore giovanile, dentro la cornice di una città martoriata dai bombardamenti e dalla ferocia dell’occupante nazista.

Il canottiere non si fece acchiappare dal panico generale scoppiato nella sala: urlando, spintonandosi animalescamente e calpestando quanti finivano per terra, i terrorizzati spettatori si precipitarono in massa verso l’uscita, rischiando di formare un tappo che avrebbe potuto rallentare gravemente il deflusso verso il rifugio più vicino.
Viola invece non si sollevava dal proprio sedile; era come paralizzata, con gli occhi pieni di paura.
Pur nel baccano, Dario riuscì a parlarle con voce calma ma al tempo stesso ferma: le sfilò le scarpe, che si infilò nelle tasche della giacchetta, la prese per mano (anche se non nel modo che aveva fantasticato) e poi, facendole scudo con il proprio robusto corpo da atleta, la guidò zigzagando intelligentemente in quel caos.
«Ora corri!» le gridò quando furono finalmente fuori.
Volarono – lei scalza, un gemito a ogni pietrina che calpestava – in mezzo a un torrente umano fino all’autorimessa “Foce”, già zeppa di gente: chi accovacciato per terra e chi all’impiedi, tutti stavano con il fiato sospeso in attesa dei primi scoppi.
Nel semibuio i due riuscirono a ritagliarsi un fazzoletto di spazio su cui si sedettero. Dario si pose di proposito tra Viola e l’uscita: a differenza degli altri, quel ricovero non aveva davanti al proprio accesso un muro di protezione di cemento armato o di sacchi di sabbia; se una bomba fosse caduta nelle immediate prossimità del rifugio, il violentissimo spostamento d’aria avrebbe quindi investito direttamente i presenti, spezzando la spina dorsale di molti di loro. Nella malaugurata eventualità di un’esplosione, egli sperava così di potere in qualche misura proteggere la ragazza.
«Ti dolgono molto?» le domandò, prendendole i piedi feriti tra le mani per massaggiarli.
Lei rimase silenziosa; era in pensiero per i genitori. Intanto lo guardava seria.
Il giovane era invece meno in ansia: quel giorno i suoi erano in Piemonte, in visita a una sorella della madre.
«Se ti trovi qui è per colpa mia» si rammaricò Dario. «Perdonami».
I minuti passavano lentissimamente. Lì mancava anche una condotta di areazione e tutti quei respiri andavano formando un’afa umida e fetida. In un’atmosfera spettrale, gli accalcati parlavano sottovoce e il brusio assunse in breve il tono di una sommessa preghiera collettiva; la quale venne infine esaudita, perché dopo un’ora di inquietudine le sirene fischiarono di nuovo, una sola volta e per due minuti consecutivi, segnalando così che tutto era finito: si era trattato, insomma, dell’ennesimo falso allarme. Rincuorati e tuttavia ancora un po’ esitanti, i presenti iniziarono a sfollare dall’antro.
«Bene, possiamo tornare al cinema» disse Dario a Viola, restituendole le scarpe. «Fanno sempre ripartire la pellicola dalla scena in cui l’hanno fermata».
Quella gli fece segno di no con la testa.
«Te ne è passata la voglia?» domandò lui.
La ragazza lo guardò a lungo con gli occhi avviliti di chi alla fine ha abdicato alla propria volontà. Poi avvicinò la propria bocca a quella di Dario e lo baciò.[…] […] Il mattino successivo i germanici si presentarono puntuali alla porta con le loro micidiali Maschinen-pistole 40 spianate, iniziando a sequestrare armi e munizioni che accatastavano nel cortile; nessuno degli italiani che vide si azzardò a dire una parola.
In un’ala lontana del complesso, Aldo e i suoi uomini (lui li aveva convinti a non mancare al loro dovere e a non buttare le uniformi, almeno per il momento) non si erano invece accorti di nulla; sempre in snervante attesa di direttive, ingannavano il tempo, alcuni ancora in mutande, giocando a carte. Con loro si trovavano Dario e i pochissimi della II compagnia che non si erano dileguati durante la notte.
Intorno alle 10,30 la “novità” che portarono due trafelati sergenti fu che giù c’erano gli hitleriani. I due sottotenenti si guardarono bianchi in volto, interrogandosi silenziosamente l’un l’altro su cosa diavolo fare.
Gastaldi poi di colpo sbottò.
«Non cederemo mai le nostre armi ai nazisti! Prendetele e seguitemi!»
I genieri – tutti – obbedirono all’istante, punti nell’orgoglio.
Dario non si sorprese: quel gigante possedeva, innati, un carisma e un’autorevolezza a cui era difficile opporsi; dai suoi occhi chiari, inoltre, traspariva un’onestà d’intenti davvero rara. Non capiva però cosa adesso avesse in mente.
«Ci sono anch’io!» gridò ad ogni modo dietro all’amico, il quale intanto correva ad arraffare dalle rastrelliere e a infilarsi a tracolla anche i moschetti di un altro plotone evaporato nelle ore precedenti.
«Non ne dubitavo!» strillò di rimando l’altro senza voltarsi.
Dario corse nella propria camera, buttò alla rinfusa le sue cose dentro lo zaino e poi con sulle spalle quello e una cassetta di munizioni passatagli da un geniere (“Cazzo, ma quanto pesano i proiettili?”, imprecò) si lanciò insieme agli altri di corsa giù per le scale, cercando di fare meno fracasso possibile.
Sgattaiolando attraverso un cancello secondario non ancora raggiunto dai tizi con la svastica sull’elmetto, la combriccola di dispettosi si ritrovò fuori per le strade del paese. Un sergente prese ad andare in avanscoperta a ogni crocicchio; accertatosi che lì non c’era puzzo di crucchi, segnalava il via libero al gruppone dietro che lo raggiungeva carico di armi. E così fino a che tutti non fecero capolino sul passeggio principale del centro, dove invece i tedeschi stavano cominciando a prendere posizione non consentendo quindi ai fuggitivi di poterlo attraversare senza essere visti.[…]

Come è nata l’idea di questo libro?
Analogamente a qualsiasi mio precedente racconto, l’idea di Amedeo, Dario e Viola mi è balenata in mente all’improvviso, proprio come un fuoco d’artificio: niente di pianificato a tavolino, dunque.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
L’ho scritto di getto. Agli inizi di marzo del 2021 ho cominciato a buttar giù la loro storia così come essa via via scorreva da sé davanti a miei occhi, simile a un film. Sfruttando in ufficio le pause-pranzo (e saltando dunque pasto) e sottraendo colpevolmente qualche ora alla famiglia la sera, a metà giugno il lavoro era già concluso, solo da rifinire un po’.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Dato il mio retroterra (ho studiato Scienze Politiche), prediligo gli autori di narrazioni a sfondo storico: Dominique Lapierre e il suo socio Larry Collins, per citarne due.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo a Genova, ma sono nato in Sardegna e per quattordici anni ho abitato in Sicilia.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Al momento sono in “break”. Riprenderò a scrivere soltanto se e quando verrò di nuovo colto da una improvvisa, nuova fulminazione: potrebbe accadere già domani, o magari mai più, chissà! Nel frattempo smanio dalla voglia di tornare a scalare sulle Dolomiti: è là, tra l’altro, che è nata l’ispirazione di molti dei miei racconti.