Edito da Luna Simons nel 2020 • Pagine: 285 • Compra su Amazon
A diciassette anni, Mallory è stanca della monotonia di Almirton, il piccolo paesino scozzese in cui vive. Ma una scoperta nel giorno di Halloween le cambierà la vita, rivelandola custode di un potere raro e pericoloso che la costringerà a lasciarsi alle spalle il suo passato e recarsi a Summerhill, una comunità magica in cima ad una collina occultata dalle nebbie.
Lì farà i conti con la sua vera natura, conoscerà il valore dell'amicizia e i tormenti dell'amore. Imparerà a celare il suo reale potere, rendendosi conto che tutti, in quel posto, nascondono qualcosa, anche i professori, gli amici e Sam, il ragazzo tenebroso che ha appena conosciuto. Perchè a Summerhill niente è come sembra...
Il compleanno era un’occasione speciale, e con Astrid e Adrian avevamo ideato un vero e proprio rituale da ripetere ogni anno. Era una di quelle tradizioni soltanto nostre, che ci univano ancora di più.
Sarei scesa di sotto, meravigliandomi del silenzio che regnava in casa, ma, prima di arrivare in cucina, la risatina sommessa di Astrid avrebbe svelato la sorpresa. Sarebbero scattati entrambi in piedi al mio ingresso, e Astrid mi avrebbe stritolato in un dolce abbraccio, facendomi gli auguri. Adrian, invece, avrebbe aspettato pazientemente il suo turno. Il piccolo tavolo quadrato sarebbe stato pieno di brownies al burro d’arachidi della pasticceria McKenzie, i miei dolci preferiti.
Quest’anno non sarebbe stato così. Scesi di sotto, ma non c’era nessuno ad aspettarmi, nessuna sorpresa, tranne un post–it di auguri da parte dei miei genitori, nessun abbraccio di gruppo. Ero di nuovo sola, ed era colpa mia. Mi strinsi il bracciale con il ciondolo a forma di stella, l’ultimo regalo di Adrian. Ripensai a quando l’avevo scartato, un anno prima. Era in una custodia di velluto con un bigliettino nero. L’inchiostro bianco diceva “Perché anche nella notte più buia sai come risplendere”. Due lacrime mi rigarono il viso e decisi che dovevo uscire, se non volevo passare tutta la giornata in casa a piangere. Come avevo fatto, del resto, tutta l’estate.
Rividi Astrid a scuola dopo mesi di silenzio. Mi fece gli auguri in un modo freddo e imbarazzato, erano passati tre mesi e ormai eravamo come due amiche che non si vedono da decenni, ma tentano comunque di fare conversazione.
– Allora, come stanno andando le cose?
– Meglio– mentii. Ma non bastava a nascondere il mio stato d’animo.
– Mallory… so che tu gli eri più legata– si fermò e mi strinse in un abbraccio. Mi resi conto che era proprio ciò di cui avevo bisogno – c’era qualcosa di più tra di voi… So che a te fa più male.
Il dolore che avevo cercato di tenere a bada mi invase e la strinsi più forte, pentendomi di come l’avevo trattata, di aver allontanato lei e tutti.
Qualcosa mi illuminò mentre avevo ancora gli occhi chiusi per trattenere le lacrime e, quando li aprii, le mie braccia erano di nuovo accese da quella luce che avevo visto per la prima volta nella caverna. Feci un passo indietro scioccata e sciolsi l’abbraccio. Delle luci non c’era più traccia.
Astrid mormorò un “ci vediamo in giro” e corse verso l’aula di biologia. Si sedette con i suoi nuovi amici a pranzo, ovviamente non potevo pretendere che passasse la giornata con me, dopo il modo in cui mi ero comportata. Ma l’avrei riconquistata, mi dissi, addentando il panino al pollo che mi ero portata da casa.
Una sagoma familiare tirò la sedia che avevo di fronte e si accomodò con eleganza. Era Roxanne, con il suo branco di oche al seguito. Alzai gli occhi al cielo, non ero proprio dell’umore adatto per vederla. A pensarci bene, non ero mai dell’umore adatto per vederla.
– Ma tanti auguri lupo solitario – la sua voce era stridula e insopportabile.
Ancora con il boccone in bocca mi alzai, e cominciai a raccogliere nervosamente tutte le mie cose dal tavolo. Il braccialetto con la stella si sganciò per un movimento brusco e mi cadde dal braccio. Roxanne lo afferrò al volo – uh, cos’abbiamo qui?– ridacchiò.
Lasciai cadere tutto – Dammelo subito.
– È del tuo fidanzatino morto?
Gli occhi mi si riempirono istintivamente di lacrime, mentre un calore mi avvolgeva il petto, le spalle, le braccia. Serrai i pugni per mantenere il controllo.
– Si è suicidato perché non sopportava più di starti dietro– commentò con una crudeltà disumana negli occhi. Stava facendo di tutto per infastidirmi ed ottenere una mia reazione. Pensai che, forse, era arrivato il momento di darle questa soddisfazione.
E lì successe il finimondo.
Un vento caldo mi spinse i capelli in avanti e fece volare bicchieri e piatti degli altri studenti. Roxanne si lamentò della sua pettinatura rovinata, mentre era costretta a mantenersi la minigonna stretta tra le gambe. Gli alberi persero alcune foglie, indebolite dai primi accenni d’autunno.
Scappai via, cercando un posto per restare da sola, e corsi verso il retro della scuola. Mi sentivo strana, le linee luminose erano ricomparse e riempivano fitte le mie braccia. Nel riflesso di una delle finestre notai che le sfumature ambrate dei miei occhi si erano accese, e il mio sguardo brillava come stelle nella notte. L’energia che sentivo dentro esplose dal mio corpo, una luce abbagliante mi circondò e non vidi più nulla. Desiderai di essere a casa, e lì mi ritrovai pochi secondi dopo, quando la luce si spense.
Inciampai sulla scrivania strapiena di libri, schivai la sedia ormai nascosta sotto i vestiti e ricaddi sul letto ancora disfatto. Ero nella mia stanza, mi girava la testa.
Era stato tutto un sogno?
Mia madre si precipitò nella stanza sbattendo la porta contro il muro.
– Mel, stai bene tesoro? – corse a sedersi sul letto accanto a me e mi strinse forte.
– Ma che è successo… Cosa ci fai qui?– domandò, senza staccarsi da me– eri a scuola… sei andata a scuola, vero?
Il mio “non lo so” fu coperto dal suono del campanello, che qualcuno stava premendo con insistenza. Mia madre impallidì prima di avviarsi verso la porta.
Spiai la situazione dalle scale. All’ingresso c’erano due tizi in una divisa ridicola. Avevano dei pantaloni color sabbia che gli scendevano larghi giù fino ai piedi, sopra una casacca turchese e un gilet con dei ricami che non riconoscevo. Erano entrambi calvi e, se riuscivo a vedere bene dal mio nascondiglio, erano due gocce d’acqua.
– È successo– parlò quello più a destra – il potere si è manifestato.
– Davanti a tutta la scuola– continuò l’altro.
– Sai che dobbiamo intervenire?– sembrò più un’affermazione che una domanda. Mia madre, uscì e si riuchiuse la porta alle spalle, probabilmente per parlare con loro in privato. Cavolo, possibile che stessero parlando di me?
Possibile eccome. Me ne resi conto quando mia madre rientrò, scoraggiata, e mi disse di preparare una valigia, dato che sarei stata via per un po’. Per il mio bene, aveva aggiunto con un filo di voce.
Poi si era chiusa in cucina con Phil, mio padre, che era tornato di corsa dal chiosco.
Dovevo assolutamente saperne di più. Sgattaiolai fuori dalla mia stanza per ascoltare la loro conversazione.
– Sarah, lo sapevi che non era una di noi– commentò mio padre con la voce spezzata – Abbiamo fatto il nostro dovere. L’abbiamo cresciuta, l’abbiamo protetta– fece una pausa, interrotto dai singhiozzi di mia madre. Probabilmente si era accovacciato di fronte a lei e le aveva asciugato le guance con le sue mani delicate. –Sapevi tutto. Sapevi di non doverti affezionare a lei. Sapevi che non ci apparteneva.
– È mia figlia Phil! Nostra figlia!– mia madre urlò, ma la voce era soffocata dal pianto.
– Non possiamo più tenerla qui, Sarah! Ha manifestato i poteri, ha diciassette anni… Dobbiamo lasciarla andare, per il bene suo e nostro.
Mia madre non singhiozzava più.
Il silenzio mi convinse a spostarmi da quella posizione, e mi rifugiai nella mia stanza. Mi nascosi sotto il morbido plaid, mi cinsi le ginocchia con le mani e ci appoggiai sopra la testa. Quello che avevo sentito era così irreale. Mi sfregai gli occhi per essere sicura di non stare sognando. Il polso era vuoto, avevo perso il bracciale di Adrian.
Una bravata tra ragazzini, una giornata storta. E la mia vita era precipitata nel baratro.
Mi alzai e cominciai a preparare la valigia, ci misi dentro i miei maglioni preferiti, qualche pantalone e tutto il necessario per un viaggio.
Ma dove mi stavano portando? E quanto sarei stata via?
Presi la foto con i miei genitori che avevo da sempre sul comodino e la infilai sotto i vestiti piegati.
Mia madre aprì la porta, piano questa volta, e si sedette sul mio letto. Mi fece cenno con la mano di raggiungerla, aveva ancora gli occhi gonfi dal pianto. Lei era la più sensibile della famiglia, mio padre avrebbe cercato sempre di mantenere la calma, di non mostrare emozioni. Preferiva soffrire in solitudine.
La sua tristezza mi contagiò e la vista si offuscò mentre mi sistemavo accanto a lei. Mi spostò i capelli dietro l’orecchio.
– La mia bambina…– sussurrò.
– Mamma… Non sono davvero vostra figlia? È per questo che mi state abbandonando?– non avevo la forza di guardarla negli occhi.
– Abbandonando? No! No amore mio!– mi strinse forte e mi lasciai andare. Sentii sul viso la sua pelle liscia e inspirai il suo profumo fresco. Mi sarebbe mancata da morire.
– Non sei al sicuro qui– provò a spiegare – non possiamo proteggerti– mi accarezzò la guancia asciugandomi una lacrima. Le presi la mano tra le mie – appena la situazione si sarà calmata tornerai qui, giuro che ti vengo a prendere io stessa.
Con la valigia tra le mani lanciai un ultimo sguardo ai miei genitori, prima di cominciare a camminare tra i due uomini che si erano presentati prima alla porta. Non potevo fare a meno di chiedermi se anche Adrian avesse affrontato tutto questo. Forse aveva dovuto allontanarsi come me, forse nessuno aveva fatto in tempo ad aiutarlo e per questo il potere l’aveva ucciso. Intanto i due uomini, con un gesto sincronizzato, si erano staccati un ciondolo a forma di sole dal collo e lo tenevano al centro della mano aperta. Una luce fioca circondò il ciondolo all’inizio, ma si ingrandì gradualmente, ad ogni passo, fino a farci perdere di vista il viale di casa mia.
Come è nata l’idea di questo libro?
Da piccola leggevo tantissimo pur di perdermi in mondi meravigliosi che attorno a me non trovavo. Alle medie ho scoperto il potere della scrittura, tramite cui potevo creare io stessa delle nuove realtà. Ho iniziato a scrivere da allora storie di protagoniste femminili, che un pò mi rappresentano sempre. Il mio stile è cresciuto con me e a diciassette anni ho creato la storia di Mallory, ma andavo molto a rilento. Arrivavo a metà, poi lasciavo perdere, poi ricominciavo da capo. Ho messo da parte Summerhill Secrets per l’università e i troppi impegni, anche se era costantemente nei miei pensieri. Nel 2019 sono partita per un viaggio in Scozia, dove ho incontrato una natura magica che mi ha fatto ripensare all’ambientazione del libro. Tornata a casa ho ripreso tutti i miei appunti, tutte le note che avevo segnato nel corso degli anni e ho riscritto il libro tutto d’un fiato.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Se contiamo solo l’ultimo periodo, è stato semplicissimo. Ormai avevo la storia perfettamente delineata nella mente, le ambientazioni chiare. Tutto quello che dovevo fare era trascrivere i miei pensieri su un foglio word. E quello non è mai facile!
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Sono cresciuta con i libri di Elisabetta Gnone e Licia Troisi, sono loro le autrici a cui mi ispiro maggiormente.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nata e cresciuta a Napoli, ma ho viaggiato tantissimo e questo mi ha dato moltissima ispirazione.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Il primo è sicuramente continuare la trilogia di Summerhill Secrets, ormai ho già alcune bozze pronte, devo portare a termine la storia! Un altro progetto è quello di scrivere un urban fantasy ambientato a Napoli, sto già prendendo appunti su luoghi e tradizioni…
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