
Edito da 0111 edizioni nel 2021 • Pagine: 260 • Compra su Amazon
Due esistenze agli antipodi quelle che Swati e Becca conducono ai capi opposti del mondo: in India lo slum di Dharavi e la battaglia per la vita, in Italia i locali di Torino e la leggerezza di chi quella stessa vita la vuole distruggere. La determinazione di Swati nel costruirsi un futuro diverso da quello al quale la nascita l'ha destinata la fa muovere per la megalopoli con libri tra le mani e borse di studio in tasca, anche quella che un giorno potrebbe regalarle l'Europa. Riuscirà a raggiungere quel continente conosciuto solo nei libri, che le aprirebbe le porte del benessere tanto agognato, per sé e per la famiglia? Ed è poi tutto così roseo in quel luogo dove una bionda pittrice viziata, viziosa e annoiata, trascina le sue giornate verso un baratro sempre più profondo? Grazie all'avvicendamento e intreccio delle loro storie, le protagoniste scopriranno che la realtà della natura di ognuno giace sotto quella superficie che, sporca o immacolata, nasconde l'anima di un'intera cultura.

Si avvia tristemente verso la stazione per prendere il treno, la fermata dello slum non dista molto. Il ritorno non ha più le ali ai piedi, ma pesanti macigni che cercano di trattenerla a terra, lontana dalle possibilità che la professoressa, nascosta nel suo tailleur, le ha mostrato.
Dal fondo del cunicolo vede i fratelli sul gradino di casa, impegnati in qualche gioco con le mani. Riya le corre incontro appena la vede.
«Didi, didi!» urla inerpicandosi. Swati abbandona i libri e se la sbaciucchia, cercando di non far caso alla faccia scura di Laxmi, nascosta nella penombra dell’abitazione.
«Siete già tornati?»
«Sì, oggi al Centro ci hanno mandato via prima perché la Madame aveva da fare e tu non c’eri.»
Swati si sente in colpa.
«Dovevi essere qui prima, sai che me ne devo andare, yaar.»
«Scusa, l’esame è durato più del previsto.»
La madre sbuffa e non risponde, poggia il coltello accanto alle verdure che stava pelando e si alza.
«Cosa sono quelli?» indica col mento la pila di libri che Swati ha ordinato in un angolo.
«Libri…» lo sguardo di Laxmi è contornato da occhiaie violacee, Swati si pente della risposta e cerca di rimediare: «me li hanno regalati…»
«Allora li vendiamo.»
«No no, devo riportarli all’università.»
«Ma non hai detto che te li hanno regalati?»
«Prestati, volevo dire prestati.»
Disinteressata, Laxmi prende a spazzolarsi i lunghi capelli, unico oggetto delle sue cure più amorevoli.
«Finisci tu con le verdure, poi le metti a bollire e fai il daal.»
Prendendo a tagliare le patate, Swati guarda la donna che si passa un velo di rossetto sulle labbra. È ancora bella se guardata in quella luce, la carnagione accesa dalle ombre arancioni del sole morente, le occhiaie mascherate dalla luce fievole proveniente dalla porta. Raccatta coltello e verdure e si muove in direzione della porta, non volendo guardarla per non doversi chiedere il genere di lavoro che la fa uscire al tramonto e passare la notte fuori.
«Resta dentro che ti guardano, yaar.»
«Ma sento caldo.»
«E secondo te io non ne ho? Li hai visti quelli, come ci guardano?» prende la borsa sfondata da un angolo «resta dentro.»
Swati obbedisce e il respiro si fa corto. Cerca di fare respiri profondi ma le sembra che Laxmi, con i suoi movimenti pesanti, consumi tutto l’ossigeno. I fratelli fanno irruzione nella stanza, lei li scaccia con un gesto veloce della mano ma loro sono abituati a disubbidire e le si mettono intorno. Chiude gli occhi, poggia la schiena al muro e cerca di respirare. Ripensa alla stazione che l’ha accolta negli ultimi tre anni, lì di ossigeno ce n’era, benevola stazione, sicuramente più del pezzo di marciapiede dove aveva iniziato la sua vita di strada, esposto alle intemperie e all’apertura dei grandi magazzini che non volevano i pezzenti sotto le scarpe dei loro clienti.
La pelle s’imperla di gocce di sudore, i muscoli si contraggono, il cuore accelera sempre di più. Vede le ombre dei fratelli tra le palpebre abbassate, sta anche calando la notte, non uscite habibi, restate in casa che il buio è cattivo. Il respiro le si fa sempre più corto. Amit chissà dove, mesi che prova a chiamarlo senza ricevere risposta, ma sa che ancora l’ama, loro erano e loro sempre saranno. Si alza a fatica, con le membra tremanti, vuole sottrarsi agli sguardi ingenui dei fratelli e a quelli incuranti della madre, va a sedersi sul gradino, non le interessano gli occhi scuri che la scrutano sdegnosi, perplessi, indagatori. Il cervello non riceve più ossigeno e i pensieri non riescono a formarsi. Riya la raggiunge e la scuote dal braccio. Si volta, se la prende tra le braccia, la stringe convulsamente a sé, probabilmente le fa male ma la bambina non fiata, sarà una brava donna indiana, non un lamento. Incatena lo sguardo al suo, un appiglio nel nulla. Il respiro inizia a rallentare e la stretta allo stomaco si dissolve, i pensieri rifluiscono. Quel volto innocente, che ancora non conosce l’ingiustizia della sua nascita, e che se tutto va come deve andare – scuole elementari e pulizie nelle case dei ricchi fino al matrimonio – non lo saprà mai. Si chiede se non avrebbe vissuto meglio così, nell’ignoranza. Forse il Rotary non le ha fatto questo grande favore.
Non stacca gli occhi dalla sorellina e nel panico un pensiero le balena veloce: sarebbe meglio non fosse mai nata.
CAPITOLO 2
Fuori le strade sono ancora poco trafficate, e la gente porta a spasso i cani nel giardinetto “riservato agli amici a quattro zampe”, sette piani sotto il suo appartamento.
Un’anziana impellicciata prende in braccio, spaventata, il suo barboncino con il cappottino, minacciato da un pastore tedesco al quale era stato sottratto il suo pezzo di sabbia.
La ragazza guarda con noncuranza la scena, bevendo l’ultimo sorso di caffè, e si allontana dalla finestra ragionando su come gli esseri umani si sentano in obbligo di rendere importanti le banalità, pur di non cadere nella vuota noia delle loro esistenze.
Un po’ troppo per le sette del mattino. Si butta stesa sul divano a mezza luna, con le braccia spalancate, la bocca aperta in un grido muto e le mani che convulse si stringono in due magri pugni. Le piace dipingere al buio e affrettarsi alla finestra al primo spiraglio di luce, le dà l’idea che ci sia ancora speranza per tutto; al suo futuro di pittrice così vago e al tedio che costante l’attanaglia. In fondo c’è sempre una luce che sorge e risorge nonostante la notte, perché non dovrebbe essere così anche per la sua vita?
Ma alle sette e mezza, dopo due ore di sigarette e di andirivieni per casa, sporca di tempera, si sente già stanca. Il sorgere della luce l’ha visto, la speranza non l’ha riacquisita e potrebbe anche tornarsene a dormire.
Proprio quando sta per accogliere questo pensiero, suona il campanello. Si tira su di scatto.
«Ma chi cazz…» borbotta, alzando il ricevitore e sbuffando quando vede l’immagine della donna delle pulizie sullo schermo.
«Diana cosa vuoi a quest’ora?»
«Buongiorno signorina, sua madre mi ha detto di venire alle otto e mezza, che tanto lei deve andare all’università» tutto d’un fiato, le nuvolette di freddo che le escono dalla bocca testimoniano che i giorni della Merla ancora non sono finiti, gli otto gradi mattutini di aprile fanno rabbrividire Becca, e le tolgono ogni voglia di andare all’università, se mai l’avesse avuta.

Come è nata l’idea di questo libro?
La tipologia di romanzo erano anni che la covavo. Volevo mettere un punto alla prima parte della mia vita con una storia che fosse in grado di racchiudere esperienze vissute e non, persone incontrate o quasi, una giovinezza reale e immaginaria. Poi l’India mi ha dato ciò di cui avevo bisogno: i profumi, la vita, la cultura così differente dalla mia. Mi ha regalato qualcosa di potente di cui scrivere, da un punto di osservazione privilegiato, di chi può permettersi di guardare con occhi nuovi a una realtà fino ad allora sconosciuta. Ho preso gli appunti che in quegli anni avevo accumulato e dopo il primo mese di acclimatamento ho iniziato a scrivere, ogni giorno fino all’ultimo, il 13/02/2020, in cui ho messo un punto. Ancora mi vedo stappare la bottiglia di spumante indiano con le mie coinquiline alle 10 del mattino.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
È difficile quando ciò che brancola nella mente non viene fuori, nonostante ci provi le parole rimangono sulla punta delle dita, che non vogliono saperne di battere sui quei tasti che ti osservano arroganti.
E poi ci sono i giorni durante i quali dovresti scrivere, hai preso l’impegno di farlo tutti i giorni almeno un’ora, ma sei tornata da lavorare e vuoi solo stare sul divano ad abbuffarti di patatine e di libri scritti da gente meno pigra di te. E ti senti in colpa. Ma alla fine quel romanzo è già scritto, quel romanzo sei te, e in un modo o nell’altro, con i suoi tempi, sboccia sotto gli occhi.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Tutti quelli che leggo. Ho iniziato un’ora fa “storia di Shuggie Bain” di Douglas Stuart, è già diventato un mio autore di riferimento.
E poi gli amici che mi hanno accompagnata durante l’adolescenza e che non mi abbandonano mai: Margaret Mazzantini, la Morante, Moravia, Fitzgerald, Bukowski, Kerouac, Dumas, Simone De Beauvoir, Tolstoj… potrei continuare all’infinito, li amo tutti perchè mi hanno donato la letteratura. Ma i mondi fantastici di Harry Potter mi hanno fatto capire, a undici anni, di voler diventare una scrittrice.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nata Pinerolo, in provincia di Torino, e attualmente vivo a Milano. Nel mezzo ho vissuto a Cipro e in India. Mi vedo vivere in tanti altri paesi esotici ed eccitanti.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Scrivere, scrivere, scrivere. Mentre finivo il primo romanzo mi è venuta l’idea di base del secondo, ho iniziato a covarla durante le revisioni ma senza buttare giù niente. Il lunedì dopo aver inviato a tappeto Superfici mobili alle case editrici, l’ho iniziato. E spero che le idee mi usciranno così anche per il terzo, il quarto, il quinto…
Lascia un commento