
Edito da Elenia T. Rizza nel 2021 • Pagine: 523 • Compra su Amazon
E se un giorno scoprissi che la tua famiglia non è normale? Poco male, nessuna lo è, e magari lo hai sempre sospettato. Eppure, nel caso di Emi la scoperta va oltre ogni sua immaginazione.
La rivelazione per la protagonista avviene il giorno del funerale della nonna, dopo il quale finalmente apprende il motivo alla base dell'indifferenza materna nei suoi confronti. La madre ha tentato invano di tenerla al sicuro, ma il manifestarsi delle peculiari capacità di Emi vanifica i suoi sforzi: quel che è in grado di fare la rende speciale, ma anche preziosa agli occhi di persone senza scrupoli che vorrebbero catturarla e disporre di lei a proprio piacimento.
La rivelazione e quel che ne consegue, precipitano Emi in una rocambolesca serie di eventi facendole vivere le più folli 24 ore della sua intera esistenza.

Non si trovava lì per una visita di cortesia e quel giorno aveva troppi pensieri per la testa per assaporare la vista concessale dall’ascensore; si era diretta verso quest’ultimo solo perché ignorava se ne esistessero altri, benché, date le dimensioni dell’edificio, sospettasse di sì. Aveva sentito crescere l’agitazione non appena varcato l’ingresso, così aveva attraversato l’atrio sulla base dei ricordi, senza smettere di rimuginare sul fatto che non sapeva come avrebbe reagito a quell’incontro. Mentre saliva aveva seriamente cominciato a pensare di aver commesso un errore ad andare fin là e, per quando il numero novanta sulla pulsantiera dell’ascensore si era illuminato e le porte si erano spalancate, se ne era convinta.
Tuttavia, dopo aver aspettato il tempo sufficiente a scaldare una sedia di quell’angusta sala d’attesa, era arrivata alla conclusione che, comunque fosse andata a finire, aveva fatto la cosa giusta a tentare. Decise che in ogni caso non avrebbe pianto, non davanti a quella donna; così le avrebbe dimostrato quanto era matura a differenza sua. Parlare con Melissa non era come chiacchierare con la nonna; quest’ultima aveva una grande pazienza nell’ascoltare e riservava sempre una particolare attenzione quando era lei a raccontarle qualcosa. Melissa invece non era affatto paziente, anzi, da quando Emi aveva memoria, era sempre stata di fretta: ogni volta spuntava qualche appuntamento, qualche riunione di lavoro, qualche improrogabile impegno; non aveva mai avuto tempo per loro. La nonna aveva sempre giustificato il suo comportamento, lei invece non le aveva mai perdonato quell’atteggiamento di superiorità.
Aveva ormai perso la cognizione del tempo, ma le sembrava di trovarsi lì da ore; la sala d’aspetto, povera di attrattiva, cominciava a risultarle odiosa. L’arredo le donava un’aria lussuosa, ma non era affatto accogliente: sedie smaltate di nero brillante, tavolino di vetro con delfini in bronzo al posto delle gambe, niente quadri alle pareti e due tronchetti della felicità agli angoli di una stanzetta che suscitava una tristezza deprimente. Emi aveva solo voglia di alzarsi da quella scomoda sedia e di andarsene; l’ultima cosa di cui aveva bisogno quel giorno era incontrare Melissa. Siccome era una donna in carriera pensava di potersi comportare come voleva, ma in verità era un’egoista; in fondo era quello che la rendeva così insopportabile, il fatto che pensasse sempre e solo a sé stessa.
Incapace di stare seduta ancora un altro minuto, si alzò in piedi e cominciò a camminare per la stanza: la moquette cedeva morbida sotto la suola delle scarpe, ma stare in quel posto le procurava un disagio a cui era impossibile sottrarsi. Camminare avanti e indietro non l’aiutava a scaricare i nervi, perciò tornò a sedersi sbuffando per il nervoso. Serbava il ricordo dell’ultima volta che era stata in quella sala d’aspetto; ricordava tutta l’agitazione, la cura nello scegliere il vestito e nell’intrecciarsi i capelli per apparire al meglio: al tempo aveva solo otto anni ed era molto orgogliosa di sapersi fare le trecce da sola.
Lei e la nonna avevano aspettato meno di un’ora su quelle sedie, ma ad una bambina di otto anni, senza qualcosa con cui passare il tempo, era sembrata un’eternità. Dopo aver protestato con la nonna al riguardo, quella le aveva spiegato che non erano dal pediatra, dove non mancavano libri da colorare e giocattoli con cui intrattenersi durante l’attesa; bisognava essere pazienti. Quando erano arrivate, Melissa stava sbrigando qualche faccenda fuori dall’ufficio, ma al suo rientro le aveva ricevute subito. Dopo un freddo saluto da dietro la scrivania, aveva bruscamente chiesto il motivo della visita ed Emi, anche se non la conosceva bene, aveva avuto l’impressione che la loro presenza la infastidisse; sembrava quasi arrabbiata.
«Io e la piccola Emi abbiamo fatto un giretto per i negozi del quartiere» aveva detto la nonna, con i suoi soliti modi gentili. «Cominciamo a sentire un certo appetito e abbiamo pensato di mangiare un boccone.» Melissa le aveva guardate stupita, come se stentasse a credere che si trovassero davvero nel suo ufficio.
«Sono sicura che altre zone della città offrano migliori alternative di vostro gradimento», aveva replicato alla fine.
«Pensavamo di mangiare alla tavola calda di Damiana qui dietro l’angolo, ci chiedevamo se non ti andasse di unirti a noi.» Melissa era parsa ancora più stupefatta, come se un invito a pranzo fosse stata l’ultima cosa che si sarebbe aspettata.
«Ah. No, non posso. Lo sai che sono oberata di lavoro…» aveva cominciato a dire.
«Ma dovrai pur mangiare e oggi è festa, guarda Emi come è..» ma il telefono l’aveva interrotta. Melissa aveva risposto dopo il primo squillo tramite l’auricolare Bluetooth già fissato all’orecchio. Dopodiché le aveva salutate con un gesto incurante della mano e questo aveva posto fine all’incontro; la nonna si era fermata sulla soglia per rivolgere un ultimo sguardo a Melissa, ma questa, seduta nella sua elegante poltrona girevole, aveva ormai dato loro le spalle.
Le aveva liquidate dopo due minuti esatti ed Emi non si aspettava che l’imminente visita sarebbe durata di più. Dopo quel giorno non si era più fatta le trecce e ora, al posto dell’agitazione, nutriva un profondo rancore nei confronti di quella donna.
«La signorina Melissa può riceverla, ora.» Emi staccò gli occhi dalla pianta nell’angolo e ringraziò la segretaria con un sorriso che purtroppo assunse più la forma di una smorfia; se ne dispiacque, ma quel giorno non le riusciva proprio di sorridere. Aggirò la scrivania della donna e si diresse alla porta contrassegnata con una targa dorata che, in caratteri eleganti, riportava nome e cognome di Melissa. Non poté fare a meno di notarne l’opulenza e soprattutto la differenza con quella più semplice, di plastica, posta sul tavolo a cui sedeva la segretaria. Dopo aver fatto un lungo respiro, ignorando lo sguardo curioso di Marlene, spinse sulla maniglia ed entrò.
L’ufficio era rimasto il medesimo; sembrava un po’ più piccolo o forse era lei ad essere cresciuta. La grande scrivania di mogano ed una pianta dalle foglie larghe troneggiavano nell’ambiente, il cui arredo si esauriva in una libreria addossata alla parete dietro la scrivania e un raccoglitore vicino a un divanetto per gli ospiti che pareva ancora nuovo. Aveva la stessa aria lussuosa e scomoda delle sedie della sala d’aspetto, in più era rivestito dalla pellicola: probabilmente nessuno si era mai trattenuto tanto da usare quel sofà. Niente foto alle pareti, nessun quadro, nemmeno un calendario: quell’ufficio era decisamente spoglio, il che rendeva l’ambiente piuttosto freddo.
Neanche Melissa era cambiata molto, forse i capelli erano più corti, ma non sembrava affatto invecchiata: indossava una camicetta bianca piuttosto scollata con sopra una giacchetta nera a tre quarti. Aveva un aspetto elegante ed emanava un certo senso di superiorità, esattamente come l’ultima volta. Sembrava uscita da una rivista di moda ed Emi, che solitamente non si preoccupava del proprio look, si sentì improvvisamente a disagio, con addosso la sua felpa preferita, i jeans e le scarpe da tennis. Melissa sembrava super impegnata, così Emi si avvicinò di un passo alla scrivania, ma quella non smise di ticchettare sulla tastiera del computer, non si alzò per accoglierla, né sollevò lo sguardo dallo schermo. Dunque, nemmeno i modi erano cambiati col tempo.
«Eccoti. Senti, come ho già detto a quella tua vicina per telefono, oggi proprio non ce la faccio. È un periodo allucinante con la nuova stagione alle porte ed è impensabile che mi assenti una giornata intera.»
Emi si era preparata ad una reazione di quel tipo; per quel poco che la conosceva, sarebbe stato sciocco non aspettarselo. Eppure quell’indifferenza la colpì più dolorosamente del previsto: sebbene non si incontrassero da dieci anni, Melissa non aveva mosso ciglio nel ritrovarsela davanti. In più aveva parlato con lo stesso calore di un ghiacciolo; in effetti quella donna assomigliava un po’ alla regina dei ghiacci del suo libro delle favole. Occupava quella sedia girevole con la stessa rigida postura, solo che nell’illustrazione della copertina del libro c’era un trono intagliato nel ghiaccio. Emi strinse i denti e rispose nel tono più fermo che riusciva a simulare.
«Tu devi venire. Almeno alla funzione.» Forse non era suonato incisivo come avrebbe voluto, anzi le era sembrato che ci fosse una punta di lamento nella voce. Non sapeva se Melissa l’avesse colta o meno, fatto sta che sgranò gli occhi e replicò senza indugio.
«Senti, questo è un periodo cruciale per l’azienda, bisogna approvare il piano per i prossimi mesi e a breve ho una riunione importantissima che…»
«Scusa se la nonna ha scelto un brutto giorno per morire» sbottò Emi interrompendola. Melissa finalmente la guardò e fu come se la vedesse per la prima volta; inclinò leggermente la testa di lato e dopo un breve istante fece per aprir bocca, ma la voce della segretaria gracchiò dall’interfono. Con un po’ di apprensione, annunciava che un certo signor Barone era in ascensore.
«Sì Marlene, non farlo attendere. Appena arriva fallo entrare.» Poi la donna alzò lo sguardo su Emi, ma questa era già rivolta verso l’uscita e salutò mentre attraversava la porta.
«Ti auguro una buona riunione, mamma.»

Come è nata l’idea di questo libro?
La storia mi si è presentata come un gomitolo di lana in crescita libera e in corsa giù per una discesa poco incidentata. Più scrivevo e più sentivo di dover soddisfare questa o quella contestazione alla storia che io stessa stavo delineando. Sembra da psicopatici e forse un po’ lo è, ma man mano che convivo con me stessa mi sto abituando al mio modo di ragionare e devo dire che lo trovo coerente.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Quando ho iniziato a scrivere non sapevo che si sarebbe trattato di un romanzo ed ero anche allegramente inconsapevole che avrei dato vita al primo capitolo di una saga. Nel momento in cui ho superato pagina cento mi sono arresa all’evidenza della prima considerazione e una volta raddoppiato quel risultato ho riconosciuto l’impossibilità di risolverla altrimenti. Impossibile fermarsi una volta lanciata, non fino alla conclusione della trilogia, che sarà presto interamente disponibile su Amazon.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Le parole di Vargas Llosa mi sono state d’ispirazione, secondo lui abbiamo bisogno di vivere anche di illusioni, di sogni, di miti, di diverse irrealtà che la letteratura trasforma in realtà. Spero di riuscire un giorno a padroneggiare il potere di persuasione di ogni buon autore che è in grado di cancellare la frontiera fra finzione e realtà e di far vivere al lettore la menzogna come la più imperitura delle verità. Ammiro molto lo stile di scrittura di Stephen King, di cui ho letto anche il manuale On Writing, trovandovi preziosi consigli, e guardo a J.K. Rowling come a un modello di genialità e perseveranza da seguire.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo da sempre in provincia di Torino, nella vasta e caratteristica zona del Canavese che si divide in alto e basso. Mi sono di recente trasferita dal primo al secondo dimostrando l’evidente impossibilità di lasciare i posti in cui sono cresciuta.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Conto di pubblicare a breve il secondo e il terzo capitolo della Teoria degli antichi su Amazon e di trovare la giusta casa editrice cui proporre gli altri manoscritti che custodisco nel cassetto. Personalmente credo nell’editoria tradizionale, mentirei a dire che non valuterei di buon grado un’offerta nel caso mi arrivasse. Tuttavia per avere una chance, una vera, non basta essere letti e riconosciuti meritevoli di pubblicazione, occorre anche che la casa editrice di turno possa e voglia puntare su un autore. Un investimento di tempo e denaro concede maggiori garanzie se si tratta di autori affermati o semplicemente nomi ben noti al grande pubblico, lo capisco. Come mi rendo conto che l’offerta del mercato editoriale superi di gran lunga la richiesta da parte dei lettori. E allora che fare se si è convinti di aver partorito una bella storia e si muore dalla voglia che venga conosciuta da quante più persone possibile? Ho scelto di autopubblicarmi nel tentativo di dare una chance al mio libro. La riuscita dipende da te che stai leggendo queste righe, da te e da tutti quelli che come noi sono lettori e passano il tempo a leggere, parlare di libri, consigliare romanzi, recensirli, commentarli con gli amici e perché no, anche con gli stessi autori, specie quando sono facilmente reperibili. Vi aspetto sul mio sito Eleniarizza.it.
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