
Edito da Alcheringa Edizioni nel 2019 • Pagine: 50 • Compra su Amazon
Supponiamo che tu sia una ragazza media italiana di poco più di 30 anni.
Hai terminato gli studi, hai un lavoro, dopo qualche storia sbagliata hai trovato l’uomo della tua vita, te lo sei sposato e non vedi l’ora di metter su famiglia con lui.
Direi che c’è tutto.
Iniziate la caccia alla pennuta ma, ahimè, qualcosa si inceppa.
La pennuta non ne vuole sapere di volare sopra la vostra testa e consegnare alla vostra porta uno zuccheroso boundle of joy.
I mesi passano, nulla succede, la tua vita cambia, il dolore si impossessa di te.
Un turbinio di emozioni e di sentimenti fino ad ora sconosciuti ti sconquassano per bene il cuore e ti stropicciano l’anima.
Quel fagottino non vuole arrivare, nonostante i tentativi mirati, nonostante le cure ormonali, nonostante le preghiere silenziose bagnate da lacrime calde.
E tu ti senti tremendamente sola e tremendamente inutile come donna.
Il tuo utero piange, è vuoto.
Con un estremo rispetto verso la vita ma con un tocco di ironia che fortunatamente mi ha salvata in più di un’occasione, ho voluto mettere su carta la mia esperienza di “Donna di coppia diversamente fertile”.
Un’esperienza forte, a volte lancinante, a volte anche divertente, ma che mi ha cambiata per sempre.
L’ho scritta come terapia, ho sentito l’esigenza di parlarne per guarirne, ho dovuto farlo per salvarmi.
E con me tutte le altre donne che di questa cosa non ne parlano, che per questa cosa soffrono e si sentono sole nel loro dolore di donne a metà.
Perché il diventare madre, nonostante tutto, non è assolutamente scontato.

Introduzione
Perché poi alla fine è tutto solo un viaggio.
Perché poi alla fine ci ritroviamo, volenti o nolenti, su questo treno che farà centinaia di fermate, attraverserà gallerie, farà salire e scendere migliaia di passeggeri, ma
proseguirà imperterrito la sua corsa.
Il buon Liga dice che tutti vogliono viaggiare in prima, io non chiedo tanto. Mi basta viaggiare tranquilla, in uno scompartimento per lo meno confortevole, che sia caldo d’inverno e fresco d’estate, che abbia un bel finestrino panoramico dal quale godermi il paesaggio.
E invece mi ritrovo in una carrozza piuttosto malandata, una di quelle littorine un po’ retrò, prive di riscaldamento o di aria condizionata, con i finestrini bloccati e i sedili di similpelle che ti fanno talmente sudare che quando ti alzi controlli con la coda dell’occhio, e non senza una certa ansia, se per caso hai lasciato involontariamente il segno umidiccio delle tue chiappe sulla seduta.
Come ogni viaggio che si rispetti, il mio è fornito di merenda nella borsa e tante belle valigie che porto e custodisco piuttosto gelosamente.
Guai a chi me le tocca.
Una valigia per essere degna del suo nome deve contenere una certa quantità di cose e deve essere discretamente pesante. Devo dire che le mie si comportano bene e sono delle ottime compagne di vita.
Tra queste valigie ce n’è una particolare, diversa dalle altre.
Non è un trolley, è una valigia un po’ vintage, non ha le ruote che la rendono maneggevole durante gli spostamenti.
Per portarla dietro durante il viaggio la devi sollevare, devi avere un sacco di forza per sostenerla. Puoi anche tentare di trascinarla con te, ma prima o poi rischieresti di strapparla e di far uscire il contenuto in maniera sconsiderata. Non ha una serratura di sicurezza a combinazione. È chiusa da cinghie di cuoio che ogni tanto si allentano e hanno bisogno di quando in quando di una certa regolata, per dare di nuovo stabilità al peso che rischia di sbilanciarti durante il cammino.
Per fortuna di questo tipo di valigie ne ho soltanto una e sto cercando disperatamente di liberarmi di lei, o per lo meno di trasformarla in un trolley scintillante, così da renderla almeno più maneggevole e meno ingombrante.
Ah, sì, ho dimenticato di dirvi cosa contiene la mia valigia.
O meglio, cosa non contiene.
Una maternità.
Una maternità negata.

Come è nata l’idea di questo libro?
A dire la verità, qundo ho iniziato a scrivere di Nina, non pensavo sarebbe diventata un libro. Ho iniziato a scrivere i miei pensieri per cercare di buttare letteralmente fuori il dolore che sentivo dentro e che mi stava condizionando la vita. Ho iniziato a scrivere pensieri sparsi e più scrivevo più qualcosa mi faceva stare meglio. Nel tempo li ho ripresi e ho iniziato a raccoglierli in paragrafi più ordinati fino al momento in cui ho pensato che forse la mia esperienza sarebbe potuta essere d’aiuto a donne che stavano vivendo la mia stessa realtà. E finalmente i pensieri hanno preso la forma di un libro.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non direi che è stato difficile ma è stato lungo e emotivamente impegnativo. Riprendevo e lasciavo i pensieri secondo i momenti. Non è stata una stesura costante perchè nei momenti di maggior dolore avevo bisogno di elaborare molto prima di riuscire a scrivere. E’ stata una stesura che io definisco a stile gambero… un passo avanti e due indietro… fino alla fine.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Ho letto e leggo un po’ di tutto, adoro Shakespeare e i suoi sonetti, Zafon con i suoi romanzi, Sandra Petrignani con le sue introspezioni e Loredana Lipperini con il suo stile inconfondibile e la sua schietta e intelligente ironia. In questo momento, se dovessi scegliere, sceglierei proprio quest’ultima.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo nella Venezia Giulia, in una città che si chiama Monfalcone, un posto di mare dove spesso soffia la Bora che porta via i pensieri e pulisce il cielo. Ho sempre vissuto qui e non mi sono mai trasferita altrove anche se ne avrei avuto la possibilità. Ho la fortuna di poter viaggiare sia per diletto che per lavoro e ho visto tanti bei posti fino ad ora ma alla fine casa è sempre la mia terra.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Il mio processo di scrittura è un po’ bizzarro. Di solito, quando so che un mio lavoro viene pubblicato, non riesco a scrivere altro fino a che non ne vedo la pubblicazione, la testa non riesce a pensare ad altro. Con Nina ora sto chiudendo il cerchio e ho iniziato ad avere qualche idea per un altro lavoro ma è un po’ presto per parlarne. Sono ancora in fase di brainstorming e spero che le idee che sto raccogliendo diventeranno qualcosa di più concreto.
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