
Edito da Historica Edizioni - Cesena nel 2022 • Pagine: 183 • Compra su Amazon
Quarta di copertina: Lituania, Lettonia e d Estonia, i tre Paesi che sono stati soprannominati "le tigri baltiche" per la velocità della loro crescita economica e sociale. Di questa trasformazione racconta l'autrice facendone un ritratto insolito e accattivante, dove non mancano aneddoti divertenti ispirati da luoghi tanto diversi dai nostri e tanto unici.

L’hotel dove risiedevamo nel 2019 non era lontano dal centro, ma completamente in mezzo ai boschi. Prima di partire con la descrizione, occorre però fare una
premessa chiarificatrice.
Noi siamo abituati a sorridere quando salutiamo o diamo il benvenuto a qualcuno. Qui e in tutti e tre i Paesi baltici l’abitudine era quella di non sorridere proprio per niente.
Dico “era” perché le abitudini stanno cambiando e ora ci sono parecchie persone che sorridono, ma la normalità è sempre stata il contrario, e il receptionist del nostro hotel manteneva rigorosamente la vecchia tradizione.
Al nostro arrivo, mi avvicinai sorridente chiedendo della camera prenotata e mi accolse con un’espressione del viso che definirei granitica e con la voce di una tonalità più piatta di una sogliola. Lo sguardo era duro e per nulla empatico. Alle mie richieste di ulteriori informazioni rispose gentilmente, ma con tono incolore e sguardo serio.
Quando venni nei Paesi baltici la prima volta, ebbi l’impressione che tutti i receptionist non sopportassero i clienti. Nessuno rispondeva al mio sorriso e credetemi, quando si è abituati a dimostrare cortesia sorridendo mentre il viso dell’interlocutore rimane una maschera di gesso, si rimane decisamente spiazzati. L’espressione del viso dell’interlocutore si poteva definire come quella di chi ti sta dicendo: “Non c’è proprio niente da ridere”.
Automaticamente attribuii a quelle persone una scortesia di fondo. Anche in questo caso non è così, ci troviamo solo in presenza di abitudini diverse dalle nostre. La cortesia esiste ed è molta, solo che la mancanza di espressione nel viso comunica distacco e antipatia.
Anche se ora so che è così, mi faccio sempre prendere in contropiede, e anche in questo hotel ho pensato che il ragazzo della reception fosse molto maleducato.
Lo stesso ragazzo era invece tutto un sorriso mentre conversava amabilmente con una sua graziosa collega. Chissà come mai.
Prendemmo possesso della stanza che era carina e comoda, con un bel balcone con vista sul parco e sul fiume. In camera trovai anche un bollitore corredato di bustine di tè, caffè liofilizzato e tisane, cosa che mi fece molto piacere.
Non sapevo però che avrei dovuto fare i conti con il Bollitore Lituano, tipo dal carattere particolarmente riservato.
Per preparare un caffè occorre riempire il bollitore di acqua, senonché il protagonista non era per niente dell’avviso di farsi aprire. Il tappo pareva chiuso più della porta di un carcere e non riuscivo a capire da che parte si aprisse. Solo dopo lunga e attenta osservazione e anche un po’ di istinto omicida, capii che il pallino grigio che sembrava essere una decorazione del tappo era invece fondamentale per l’apertura, perché senza schiacciarlo non sarei riuscita ad aprirlo mai. Lezioneì imparata nel caso avessi incontrato sulla mia strada un altro Bollitore Lituano, e caffè fatto.
Tutta la Lituania è molto organizzata e digitalizzata per quanto riguarda la gestione della “cosa pubblica”. Il parcheggio si può pagare molto agevolmente con i cellulari perché coloro che controllano i posti pubblici lungo le strade hanno dei “terminalini” con i quali, digitando la targa, possono verificare i pagamenti. Meraviglioso!
Sbattei contro uno dei primi esempi di digitalizzazione nel giorno dedicato alla visita della città.
Ci avvicinammo alla sbarra di un parcheggio custodito e questa si sollevò, ma non rilasciò alcun biglietto.
So che non ha senso, perché avrei potuto pensarci prima, ma dopo aver parcheggiato mi chiesi come avrei fatto a uscire se non avevo nulla che dicesse a che ora fossi entrata. Mi venne il dubbio che si trattasse di un parcheggio riservato, eppure se la sbarra si era alzata significava che non lo era. Nonostante tutto non mi fidai, e per tranquillizzarmi l’unico modo era scoprire come avrei fatto a uscire, così cercai il terminale per il pagamento.
Scesi delle scale che sembravano quelle per andare in cantina e che avevano l’aria di non promettere nulla di buono. Dopo essere scesa di un piano e mezzo, che con l’auto non mi pareva di aver salito, trovai finalmente ciò che cercavo. Iniziai a studiare il soggetto e, dopo aver scelto la lingua inglese, capii che la prima cosa da fare era digitare il numero di targa. Nel momento stesso in cui digitai le prime due lettere, comparve nel display la fotografia della targa della mia auto. Meraviglia! Il terminale mi disse che se fosse comparsa la mia targa, avrei potuto sceglierla sul touch screen e così feci. Poi avrei potuto proseguire pagando, ma il mio intento era solo quello di capire come sarei potuta uscire e, avendolo scoperto, annullai l’operazione.
Dopo la visita della città, al momento di uscire dal parcheggio, ripetei le stesse operazioni arrivando fino al pagamento con il bancomat italiano, sottolineo, e nemmeno lì il terminale mi rilasciò un bigliettino per uscire. Scettica, mi dissi: “Boh, speriamo in bene”. Salii in auto e, quando arrivai alla sbarra, questa si alzò immediatamente. La telecamera posta all’uscita aveva letto la targa, aveva trovato il pagamento e mi aveva fatta uscire. Una cosa da urlo. Ma com’è che noi siamo ancora così indietro?
Quel parcheggio, che sembrava una roba da scappati di casa, con delle scale che facevano pensare di essere nella tana di una mandria di scarafaggi, era presidiato in un modo molto più che moderno.
In casi come questo mi sento profondamente idiota. Con l’altezzosità di quella che arriva da “paesi ricchi” continuo a non rendermi conto che l’apparenza
non solo inganna, ma ti rovescia in faccia tutta la tua presunzione.

Come è nata l’idea di questo libro?
Avevo già scritto un primo racconto di viaggi che mi era stato pubblicato tre anni fa. Subito dopo aver saputo che me lo avrebbero pubblicato, ho subito pensato a quali altri viaggi avrei potuto raccontare e ho scelto di getto i paesi baltici per il fascino che avevano esercitato su di me e per tutto ciò che di interessante e divertente avrei potuto scrivere.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Portarlo a termine non è stato difficile perchè si tratta di esperienze vissute e quindi non occorre fare altro che riportarle. Il difficile è stato, per questo libro, la ricerca del modo migliore di esporre e classificare tutto quello che avevo in testa e che volevo trasmettere. Spero di esserci riuscita.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
I miei autori di riferimento sono gli autori di romanzi di avventura, ma qui non c’entrano nulla. 4)
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo a Torino si può dire da sempre perché sono emigrata qui con i miei genitori all’età di due anni e mezzo proveniente da un paese in provincia di Vercelli.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Mi piacerebbe continuare su questo filone dei viaggi perchè ho ancora molte cose da raccontare, ma il mio sogno sarebbe quello di scrivere un romanzo di avventura o un romanzo giallo.