Tijuana Express
Edito da Gianluca Turconi nel 2018 • Pagine: 322 •
"Buon amore e buona morte, non c'è miglior sorte".
Di questo antico detto popolare di Todos Santos, piccola cittadina ad alta vocazione turistica e basso reddito pro capite nello stato messicano della Baja California Sur, il diciassettenne Alejandro Aguilar Zamudio ha già scoperto la parte iniziale, grazie a una passione travolgente e complicata che l'ha costretto a crescere anticipatamente e a cercare una nuova fonte di reddito sicuro.
Per tale ragione, ha chiesto un lavoro a Nestor Moyes, proprietario terriero conosciuto come Dos Ocho, Due Otto, soprannome attribuitogli durante la burrascosa gioventù. In città, pur parlandone solo di nascosto nelle case, tutti sanno che lui e l'allevatore Rogelio "el Gordito" Orellana, già contrabbandiere di carne di maiale verso San Diego, negli Stati Uniti, fanno soldi facili da parecchio tempo.
Così, Alejandro si troverà una sera ad accompagnare il Gordito durante un trasporto al suo allevamento, incurante dei rischi che dovrà affrontare. Dall'alto dei suoi diciassette anni, crede di essere pronto a tutto, per amore. Tuttavia, il ragazzo ignora che a Todos Santos nessuno è mai chi sembra. Ogni persona si nasconde dietro una maschera, come gli amici d'infanzia Nestor, Rogelio e Agnes, madre di Alejandro, ora divisi da segreti che li hanno separati per sempre.
Tra violenza, sotterfugi, inaspettate scoperte e visionarie tradizioni, Alejandro finirà invischiato nelle conseguenze di una rapina al Tijuana Express, il convoglio di automezzi che trasporta migranti e cocaina da Todos Santos a Tijuana, al confine con gli USA. Per uscirne vivo, sarà obbligato ad affrontare non solo la verità sulla sua nascita, ma anche lo strascico di morte lasciato dietro di sé dai Santi, il Cartello di narcotrafficanti che domina parte della Baja Sur, in precario equilibrio, sempre sotto minaccia dei gruppi rivali di Sinaloa e Tijuana.
Durante il pericoloso viaggio alla scoperta della realtà criminale di Todos Santos, Alejandro si sentirà combattuto nella scelta tra ciò che rischia di perdere e quanto ha occasione di guadagnare. Non avrà altra possibilità che prendere decisioni e fare errori, ogni giorno, su consiglio di Nestor, per non affogare nel torbido che li circonda.
Eppure, quali siano gli occhi che la guardano, Todos Santos pare avere un unico destino, immutabile, caratterizzato da soli tre elementi: narcotici, sesso e uomini ambiziosi.
Ambiziosi proprio come i Santi e Alejandro.
Ci volle un quarto d’ora nel buio spezzato solo dalla luce dei fari, prima di superare il cancello d’entrata del Rancho Cruz Azul. Orellana accelerò per un discreto tratto della strada in terra battuta.
Proveniente dai lati, Alejandro udì l’orchestra dei maiali: grugniti, gridolini, il loro timoroso zampettio innescato dal rumore del pickup. Le luci del Toyota illuminarono un nutrito gruppo di animali dentro un recinto ed essi si dispersero in ogni direzione, alla maniera di vampiri dinanzi al primo sole del mattino. Fu a quel punto che arrivò l’odore.
‒ Dios mio! ‒ esclamò Alejandro, coprendosi naso e bocca con l’incavo del gomito, nell’impossibile tentativo di arrestare quell’olezzo insopportabile.
‒ La merda di maiale non profuma ‒ affermò allora il Gordito ‒ però il suo smaltimento nelle fattorie qui attorno mi procura un buon guadagno. Dovresti vedere quali primizie crescono grazie al guano dei miei porci. ‒ Il Toyota rallentò fino a fermarsi. Subito Orellana si voltò verso Alejandro e gli disse con massima serietà: ‒ Se pensi di non farcela a lavorare nel mattatoio, parla adesso e ti farò riaccompagnare a Todos Santos da uno dei miei rancheros.
Alejandro tolse il braccio dalla faccia. ‒ Ce la posso fare.
‒ Lo vedremo.
Dopo che il Gordito ebbe spento il motore e si fu impossessato della mazza, scesero insieme dal pickup. Arrivati sul retro, Orellana sganciò per la seconda volta la corda a chiusura del cassone posteriore e con un gesto veloce abbassò il portello. La coppia di maiali sdraiati sul retro del Toyota non fece cenno a muoversi.
‒ Sveglia, bestiacce! ‒ Orellana li percosse sulle natiche con un colpetto di mazza per ciascuno.
I maiali grugnirono, insofferenti, ma scesero e corsero verso un recinto lasciato aperto. Si misero quieti in un angolo, muso sulle zampe. Preferivano dormire piuttosto che scappare. Il Gordito afferrò qualcosa più distante sul fondo del cassone, come se i suoi occhi potessero vedere anche nella più profonda oscurità. Diede un forte strattone.
‒ Non fare resistenza, è meglio per te ‒ disse a voce alta Orellana. E diede un secondo strattone al cappio che aveva afferrato.
Vi inferse una gran forza, così il primo dei fratelli Monreal, incappucciato, mani legate con un nodo da ranchero e piedi imprigionati nel cappio di corda acquistata all’emporio, scivolò sul fondo del cassone per poi cadere di schiena a terra. Il malcapitato si contorse come un pollo senza testa. Bastarono poche parole del Gordito sussurrate attraverso il cappuccio per quietarlo. Orellana sapeva fare minacce efficaci.
‒ Mentre io porto questo al mattatoio ‒ disse il Gordito ad Alejandro ‒ tu prendi suo fratello.
Recuperato un coltello da un fodero appeso a un recinto, Orellana recise il cappio ai piedi del prigioniero. Per invogliarlo a rialzarsi con celerità, il Gordito si servì della mazza. Quattro colpi ben assestati e il primo Monreal si sollevò e iniziò a camminare. Il cimelio dei Los Angeles Dodgers fu riposto sul pickup. Alla fine il coltello venne passato ad Alejandro che lo maneggiò con pregevole abilità.
‒ Se il fratello si mette a fare storie, sventralo ‒ ordinò Orellana. Si allontanò col suo prigioniero verso un edificio spoglio, con finestre alte e strette: il mattatoio.
Deposto il coltello a terra per non cadere in tentazione di usarlo, Alejandro cercò il secondo uomo sul pickup. Ripetute le azioni di Orellana, il ragazzo rimase a fissare l’uomo incappucciato disteso ai suoi piedi. Individuò le bruciature causate dal pungolo elettrico sul collo di quel poveraccio, nella luce delle lampade alogene presenti sulla facciata del mattatoio.
‒ Alzati! ‒ ingiunse Alejandro, con poca convinzione.
In cambio, il secondo Monreal strisciò per strofinarsi sulla sua gamba.
‒ Lasciami andare, ti scongiuro! ‒ piagnucolò quel tale. ‒ Non ti conosco nemmeno, perché vuoi farmi questo?
Alejandro ebbe l’impulso di rispondere, ma scoprì che quell’altro aveva ragione. Non si conoscevano. Non avrebbe potuto distinguere se fosse José oppure Jesus Monreal o… Un pensiero assurdo gli passò per la mente: avessero avuto una sorella, si sarebbe sicuramente chiamata Maria. La loro madre, una vedova fervente devota, vista spesso alle messe domenicali a Todos Santos, non si sarebbe lasciata sfuggire la possibilità di avere una replica della Sagrada Familia tra i suoi figli.
‒ Alza il culo ‒ impose infine Alejandro, dopo aver ripreso il coltello e tagliato la corda ai piedi.
‒ Ti prego ‒ insistette da sotto il cappuccio quell’uomo, una volta in posizione eretta. ‒ Sei molto giovane, lo sento dalla voce. Non ti faranno niente. Potrai dire che sono fuggito.
‒ Incappucciato?
‒ Ecco…
‒ E con tuo fratello come la metti?
Monreal rifletté. ‒ Mio fratello sapeva che il nostro era un lavoro pericoloso.
A quelle parole, Alejandro imprecò ad alta voce. Riposto il coltello nel fodero, diede una spinta poderosa alla schiena del prigioniero per indirizzarlo verso l’entrata del mattatoio e lo seguì. Monreal pronunciò un’ultima frase che si perse tra i grugniti dei maiali nel recinto principale, tornati baldanzosi dopo l’iniziale momento di paura. Al primo passo dentro il locale, Alejandro fu aggredito da un fetore diverso dalla puzza animale sentita al suo arrivo. Era un miscuglio di sudore, urina e sangue umani.
Strizzò gli occhi abbagliati dalle luci intense e mise a fuoco il mattatoio. Si trovò circondato da una ventina di persone. Alcune le conosceva per averle viste in città, altre gli erano sconosciute. C’era Tomas, detto il Muto, un pacato tecnico telefonico che aveva l’abitudine di dire una decina di parole nelle giornate più loquaci. E anche l’anziano Diego Macias, conosciuto a Todos Santos come el Colchonero, per via del suo lavoro da artigiano nella fabbricazione di materassi.
Un trentenne robusto e di bell’aspetto, col capo coperto da un cappello a falde larghe da ranchero, masticava con lentezza un bastoncino di liquirizia naturale che gli usciva per due terzi dalla bocca. Alejandro lo riconobbe, era Oscar Alcaraz, un dipendente del Gordito.
Se ne stava tranquillo a fianco del cadavere appeso a testa in giù a un gancio del mattatoio. Al tizio morto avevano asportato mezza faccia con tagli brevi, evidentemente per convincerlo a parlare durante un lungo interrogatorio. Nonostante i Monreal non avessero una sorella, vi era comunque un terzo fratello più grande di un anno rispetto ad Alejandro. La faccia martoriata di quel ragazzo, dagli occhi vitrei di chi non si sarebbe più risvegliato, lo impressionò.
‒ Non mi farebbero niente perché sono giovane ‒ bisbigliò Alejandro. ‒ Come no…