
Edito da Altromondo Editore nel 2021 • Pagine: 392 • Compra su Amazon
Se poteste scegliere non dove andare, ma quando, quale sarebbe la vostra destinazione?
1971: il pubblico del Southheaven Festival attende l'entrata in scena dei Seventh Wanderer, la band che sta cambiando la storia del rock.
2008: Bianca vive in un perenne fuori sincrono con il contesto in cui vive.
Al di fuori del tempo: Noon, giovane apprendista della Struttura, apprende preziose informazioni sull'esistenza del passaggio, la leggendaria sovrapposizione di due punti sulla circonferenza temporale.
Mentre la vita nel presente aggredisce Bianca sia sul piano professionale sia su quello personale, seguiamo on the road i Seventh Wanderer, dalla formazione alla conquista del palcoscenico mondiale tra feste, concerti, stanze di alberghi di lusso e conferenze stampa. Recensioni, discografia, articoli e descrizioni di memorabilia fanno da guida fra eccessi e riflessioni intime, mentre Noon cerca le prove della lacerazione temporale per poter raggiungere il punto di sovrapposizione fra passato e presente.
Seguiamo i tre protagonisti in una sovrapposizione di fotogrammi che sposta tutti i parametri, fino a farli coincidere. The Time Song è un libro di riferimenti, un gioco di memorie e di rimandi. La musica, il tempo, la percezione fisica degli eventi vengono scanditi dal metronomo della citazione che si ripete in un crescendo di sorprese stranamente familiari.

E poi il mio corpo comincia a muoversi, e la voce a fare la sua parte, senza che io spinga in alcun modo in una direzione o nell’altra. Eddie dice che è una specie di trance, la mia, uguale a quella che viene indotta nel pubblico. Di fatto, ho la sensazione che nulla mi appartenga, e di non appartenere a nessuno. È sorprendente, meraviglioso. Non sono consapevole di quello che succede. Come ho detto, ignoro il dolore.
Conosciamo i pezzi così bene che possiamo improvvisare in qualsiasi momento, senza tradirci. Posso intuire quello che gli altri stanno per fare un attimo prima che vadano dove li porta la frase iniziata, ognuno di loro. Basta un’occhiata, un movimento di spalle. Certo è qualcosa di sovrannaturale. A volte penso di celebrare i riti di un culto così antico che è impossibile ormai codificarlo a beneficio di altri.
La nausea è più forte adesso, sferra l’ultimo attacco colpendo come un aereo da guerra, schiantandomi lo stomaco. La paura ha un paracadute di piombo. Comunque sia, ignoro il dolore.
David riesce a fermare la berlina in modo da farmi scendere direttamente sul primo scalino della rampa. I freni stridono leggermente. Le lenti a specchio di Victor riflettono la mia faccia piccolissima e schiacciata quando si gira e mi dice di aspettare che esegua il solito giro intorno all’auto spintonando la folla, per aprirmi lo sportello e coprirmi le spalle sulla scaletta. Vedo le mie sopracciglia alzarsi, il mento andare su è giù, una volta, due, in segno di assenso. Quasi non mi riconosco. Ho venticinque anni. Vorrei che mia madre potesse vedermi. Sto per farlo di nuovo.
Se c’è dell’erba sul fondo di Bushland Park, certo io non la vedrò. Ventimila persone la stanno calpestando furiosamente in questo stesso momento, pronte ad ascoltare quello che io voglio che sentano. Ma sono davvero io a decidere? Lucido la pietra che porto al collo con il polsino della camicia, distrattamente. È onice? O turchese? Non ricordo il colore. La nausea è scomparsa. Lo sportello si apre. L’unica via, sia per fuggire che per restare, è oltre questa scala di lamiera che scintilla nel falso sole di marzo.
Il programma di oggi è massacrante. Bailey ha preteso che fossimo in grado di fare uno special televisivo fissato, suppongo, da almeno un paio di settimane. Prima però dobbiamo fare una chiacchierata con un giornalista, tutti e quattro. Nessuno me ne aveva fatto cenno. Eddie lo sapeva, è chiaro. Ultimamente ha queste idee sulla spontaneità delle nostre performance che finiranno per entrare in collisione con la mia visione delle cose. Non ci dice più nulla. Dan, nonostante la sua ossessione del controllo, sembra l’unico a non risentire della fastidiosa persistenza dell’elemento sorpresa nella nostra vita professionale. La spiegazione risiede forse nella fiducia che ha nelle sue personali capacità, notevoli ad essere onesti. È il miglior bassista che io abbia mai sentito, più puntuale di Glenn Thompson dei Flame, più creativo di Stanley Webb dei Pin. J.P., ovviamente, se ne frega. L’unica cosa che sente è la chitarra. C’è qualcosa di diabolico in quello che riesce a far venir fuori due secondi dopo aver sentito un riff accennato da Eddie.
Ma, ragazzi, sono io il cantante. È la mia voce. Senza di me, non si va da nessuna parte.
Lo special va registrato nel pomeriggio, ragion per cui Bailey ha ordinato a Victor di svegliarci tutti intorno a mezzogiorno. Victor l’ha detto a Harley, Harley ha passato la mano a David. Il risultato è che sono le due e ci stiamo ancora guardando in faccia nella hall dell’albergo. Ieri sera, dopo il concerto, avremmo dovuto, secondo il nostro manager, filare immediatamente in camera. Victor però ha deciso che se non potevamo essere noi ad andare dal divertimento, sarebbe stato il divertimento a venire da noi, e così ha cominciato a chiamare in giro per far arrivare qualche sua vecchia conoscenza. Io ho dormito sul pavimento della stanza 302. Dan è sparito al culmine della festa, intorno alle quattro, per un’urgentissima partita di dama cinese con un agente letterario alloggiato, credo, al quarto piano. Eddie ha scritto musica sdraiato nella sua vasca da bagno, completamente vestito, fino all’alba. Debbie Anderson gli ha scattato delle foto per Greetings from the Tower, che viene stampata autonomamente dai nostri fan a spese loro. O almeno credo. J.P. ha suonato a un volume impossibile l’ultimo album dei Gate Six per circa quindici volte, poi è uscito in corridoio e ha forzato lo stanzino della biancheria. L’ho visto montare su un carrello del servizio in camera drappeggiato in un grande lenzuolo bianco e farsi spingere su e giù da due ragazze che ridevano. È stato allora che sono sceso a dormire nella 302. Ricordo che il letto aveva qualcosa che non mi piaceva. Il pavimento, in qualche modo, sembrava meno ostile. Ora che ci siamo tutti, Victor propone di andare a mangiare qualcosa prima di andare al nostro appuntamento con il redattore di Jams che ci ha raggiunto in questo posto dimenticato da Dio. O forse hanno giornalisti free lance dappertutto e li mandano all’occorrenza come segugi sulle prede. Chi può dire da dove uscirà un altro favoloso gruppo? È chiaro che per lo special faremo tardi. Come al solito.
Non so perché, Victor insiste a volerci spostare, mangiare qui al ristorante dell’albergo sembra fuori discussione. Pare, anzi, che sia consigliabile lasciare questo posto il più in fretta possibile.
Bailey appare improvvisamente, il libretto degli assegni in mano e un’espressione indecifrabile che deve aver mutuato da Eddie sulla faccia. Ad essere sincero non ricordo esattamente tutto quello che è successo stanotte. Comincio a capire, ma non del tutto. Meglio che le cose rimangano così. J.P. alza le spalle. Ho venticinque anni. Mi sento bene. Questo special forse non sarà così male. Se riusciamo ad arrivare agli studi, ovviamente. Eddie porta un cappotto spigato che non gli ho mai visto indosso. Il portiere apre una delle ante vetrate della porta d’entrata. Una ragazza con i capelli molti lunghi, castani, attraversa l’atrio e viene verso di me. Sorride radiosa.
Vorrei che mia madre potesse vedermi. Vorrei che, al mondo, la gente felice crescesse di numero.
Tento di scrivere una lettera a Connie ma mi accorgo che nel giro di due frasi ho smesso di allineare parole in modo coerente e sta venendo fuori una canzone. Potrei dedicargliela. Le farebbe certo piacere. Ho chiesto a Bailey di fare qualche telefonata per trovarle una sistemazione decente, ma lei non vuole ancora abbandonare il nostro vecchio appartamento. Per un istante, la rivedo dipingere gli infissi della stanza dove ricevevamo gli amici, infagottata nel grembiule da lavoro, con i capelli appiccicati alla fronte sporca di vernice rossa, e i suoi bellissimi occhi intenti. L’immagine svanisce. Probabilmente non tornerà più. Ho quest’idea fissa che ci sia un numero prestabilito di ricordi visivi che il nostro cervello può registrare ed essere in grado di riprodurre. Superata la quota consentita, le immagini cominciano ad essere sostituite in ordine sparso. Ecco perché ti può accadere di rivedere perfettamente scene risalenti all’infanzia e non ricordarti assolutamente la faccia di un tizio al quale hai rilasciato delle importanti dichiarazioni meno di un’ora fa. Alcuni, molti dei miei ricordi di Connie stanno diventando via via più trasparenti, vaghi, come se non riuscissi a tenerne insieme i contorni. A volte si fondono, e la vedo scalza su un prato in inverno, la vedo sorridere a un funerale, la vedo allontanarsi su un sentiero che non ho mai percorso. […]”

Come è nata l’idea di questo libro?
Scrivere questa storia è stato come raccontare nel dettaglio le scene di un film, o di un documentario, immedesimandosi nei personaggi o assistendo ai fatti, di volta in volta, come spettatori. La storia scorre come una sceneggiatura, l’idea iniziale è di rivivere un particolare periodo musicale, inserendolo in un contesto più ampio per quanto riguarda la percezione di tempo e spazio.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
La difficoltà principale è stata dover scegliere quali episodi raccontare, sottintendendo tutti i fatti che non vengono narrati pur essendo suggeriti, o impliciti. Un altro nodo complicato è stato cercare di descrivere la Struttura, che è l’elemento estraneo alla percezione a cui siamo abituati.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
In ordine sparso, gli ultimi autori contemporanei letti: Taylor Jenkins Reid, Tristan Garcia, David Mitchell, Kate Atkinson, Susanna Clarke, Michael Poore, Matt Haig.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Roma.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Un secondo manoscritto è alla prima stesura, con l’idea di proseguire il viaggio, con un taglio diverso, nel panorama musicale degli anni ’80 e primi ’90.
Entusiasmante! Sembra di toccare gli strumenti e rivivere un’atmosfera infinita di sogno e speranza. Da leggere e rileggere…