
Edito da Nino Baldan nel 2020 • Pagine: 166 • Compra su Amazon
Dai LEGO a Kiss me Licia, dai Gig Tiger ai Power Rangers: un viaggio in prima persona alla riscoperta di quell'era pre-internet in cui non si sapeva ma si immaginava.
24 capitoli dedicati a 24 fenomeni pop degli anni '80 e '90 che accompagnano l'autore dall'asilo alle superiori tra ricordi, aneddoti e convinzioni infantili sulle quali nessuno avrebbe mai fatto luce.
A far da cornice, una Venezia allora viva e popolosa con le sue scuole, le sue attività, i suoi negozi di giocattoli ormai dimenticati. Prefazione di Alessandro "DocManhattan" Apreda.

Notando una mia discreta padronanza nella lettura, mia madre decise che a cinque anni fosse giunto per me il momento di cimentarmi con i fumetti.
Una mattina di luglio rincasò dalle spese mattutine con quello che sarebbe stato il mio primo numero di Topolino: per un curioso scherzo del destino si trattava della prima uscita targata Walt Disney Company – da poco riappropriatasi dei diritti di topi e paperi. Al centro della copertina colorata spiccava il ratto disneyano con la scritta “sono io, più Topolino che mai!”, in regalo c’era l’albo di adesive, la cui prima tranche era inclusa nella pagina centrale. “Albo”, “adesive”… due termini desueti già nel 1988 e che al giorno d’oggi sembrano richiamare una massima da ventennio fascista.
Non ebbi difficoltà a calarmi nelle storie, e il mondo Disney divenne presto il mio appuntamento settimanale preferito. L’uscita successiva conteneva la storia Zio Paperone e i batteri mangiapetrolio, che nella mia ignoranza infantile continuavo a chiamare bàtteri.
In Salizada San Canciano, a una sola porta di distanza da dove abitavo, viveva un’anziana signora dai capelli corvini accompagnata da un’infelice stato di salute. Un bel giorno iniziò a chiamarmi dalla finestra, facendomi “ciao ciao” con la mano: mi vedeva come il nipotino che avrebbe sempre voluto avere, o che probabilmente aveva, ma che non le portavano mai trovare. Nelle sue uscite in tabaccheria per giocare la sisa (come le nonne chiamavano l’azienda del Lotto) iniziò a lasciarmi una copia di Topolino pagata.
“Guarda che hai il giornaletto! Vallo a prendere!”. Io ringraziavo e mi fiondavo giù in Campo dove la Natalina, minuta e simpatica tabaccaia di quartiere, sorrideva e me lo consegnava.
Ogni uscita non faceva che tenermi buono per poche ore: come per un drogato in preda all’assuefazione, un Topolino alla settimana non era più sufficiente a placare la mia sete di fumetti; iniziai ben presto a integrare le mie letture con le raccolte come I Classici, I Grandi Classici o Paperino Mese (composto in gran parte da storie brasiliane con Paperoga e José Carioca).
Senza dimenticare il Tascabilone, che proponeva strip vecchie di decenni con personaggi semisconosciuti come Compare Orso e Fratel Coniglietto.
Vista la presenza nella zona di ben due scuole, lo spazio che la Natalina riservava alle pubblicazioni Disney era tutt’altro che risicato: i giornaletti, in molteplice copia, erano posizionati in bella vista direttamente sul bancone. Scoprii inoltre un’edicola davanti alle elementari Gallina con un espositore straripante di vecchie uscite: approfittando del prezzo ridotto, ad ogni mio passaggio me ne facevo regalare almeno cinque. Fu probabilmente in quell’occasione che scattò in me una precoce passione per il vintage: rimasi affascinato da quel logo Mondadori presente sul dorso, dalle pagine più ruvide, dai colori più saturi, dal prezzo di copertina più basso man mano che si andava a ritroso con le date, dalle pubblicità di giocattoli non più in commercio. Di fronte a set LEGO e ad action figure ormai fuori produzione, rimanevo a bocca aperta a fantasticare, chiedendomi se i miei genitori da piccoli ci avessero giocato, nonostante le pubblicazioni risalissero a tre, quattro anni prima.

Come è nata l’idea di questo libro?
Man mano che gli anni passavano, ho notato come la mia memoria si stesse indebolendo. Consapevole di quanto l’infanzia negli anni ’80/’90 fosse “diversa” da quella attuale ho optato per “Topolini, Kombattini, Bim Bum Bam”: un vero “libro di ricordi” di quell’era pre-digitale in cui non “si sapeva” ma “si immaginava”.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
“Topolini, Kombattini, Bim Bum Bam” è un’autoproduzione che mi ha coinvolto per un anno su tutti i fronti: dalla stesura alla copertina, dall’editing alla promozione. Per portarlo a termine ho lasciato il mio impiego e investito ogni risparmio: una scelta radicale per ottenere il miglior risultato possibile e che mi auguro possa incontrare il favore dei lettori.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Ho sempre amato i libri di racconti: da “Marcovaldo” di Italo Calvino a “Bar Sport” di Stefano Benni, ma non posso dimenticare i blogger Alessandro “DocManhattan” Apreda e Miki “MikiMoz” Capuano, dei quali adoro l’aspetto “nostalgico/personale” e che mi hanno inevitabilmente ispirato.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nato nel Centro Storico di Venezia – dove tuttora risiedo – e la sua metamorfosi è uno dei temi conduttori del libro: da luogo idilliaco fatto di scuole, famiglie e negozi a “non-luogo” ad uso esclusivo del turismo di massa. La narrazione assume così una triplice vena malinconica: la fine della mia infanzia, la fine della mia epoca e la fine della mia città.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Al momento sono impegnato full-time nella promozione di “Topolini, Kombattini, Bim Bum Bam”, ma ho almeno altri due lavori in cantiere, entrambi legati a Venezia, ai miei ricordi e alla sfera personale. Più che “libri” sono ancora “idee” che non ho ancora deciso come strutturare: ed è proprio per questo che attendo, fiducioso, il feedback dei miei lettori.
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