Edito da centoParole nel 2018 • Pagine: 80 • Compra su Amazon
Il tramezzino è un'odissea urbana e mentale dal tono grottesco nei meandri di una quotidiana incompiutezza. Nel romanzo viene narrato un viaggio nella mente di uno scrittore affascinato dal suicidio, dall'architettura dei giroscale, dall'Ismaele del Moby Dick di Herman Melville, dalla logica formale e dalle incisioni di M.C. Escher.
I protagonisti de Il tramezzino sono uno scrittore e un attore di cui non vengono mai fatti i nomi nel corso dell'opera. I due personaggi hanno due cose in comune: si guardano per un breve istante al termine di uno spettacolo teatrale e in due diverse occasioni mangiano un tramezzino.
Nell'opera viene raccontato cosa pensa lo scrittore, morbosamente attratto dal suicidio, dopo che il direttore della casa editrice per cui lavora lo ha incaricato di andare al supermercato ad acquistare gli ingredienti per preparare dei tramezzini. Parallelamente l'attore termina di recitare in uno spettacolo teatrale tratto da Moby Dick e si reca nel bar interno del teatro per consumare una cena veloce. Le vite dei due personaggi si intrecciano in una spirale di inutilità, nichilismo e assenza di prospettive.
L'aspetto più interessante dell'opera è la struttura circolare, che grazie all'originale intersezione fra la vicenda dello scrittore e quella dell'attore ricorda alcune incisioni di M.C. Escher, in particolare quella intitolata Mani che disegnano, nella quale due mani si disegnano l'un l'altra.
Prima di incamminarsi, lo scrittore si affacciò per un istante sulla tromba delle scale. Guardò dapprima verso l’alto, notando che si trovava a ridosso di un sottotetto di legno scurito con un grande lucernario smerigliato al centro, e poi giù in direzione del piano terra. Ogni volta che si trovava su un giroscale, lo scrittore veniva morbosamente attratto dalla tromba delle scale, nonostante soffrisse di vertigini. Non poteva fare a meno di guardare il tunnel verticale avvolto nell’elica ipnotica delle rampe di scale che si apriva di fronte a lui, pensando a come sarebbe stato buttarsi giù.
Se sarebbe morto sul colpo. È superfluo osservare che era un’ipotesi cruciale.
Se il volo sarebbe stato pulito e lineare oppure se il corpo, in balia della gravità, avrebbe sbattuto qua e là in modo goffo contro le ringhiere delle scalinate. “È un dubbio irrilevante perché non ci sarebbe una giuria a valutare la bellezza estetica del volo?” si era chiesto una volta lo scrittore. Il dubbio era apparentemente irrilevante, tuttavia lo scrittore era giunto alla conclusione che gli sarebbe dispiaciuto porre fine alla sua vita con una traiettoria scalcagnata (sempre che l’aggettivo fosse adatto al contesto; per lui lo era). Voleva assicurarsi che l’esito delle sue azioni fosse sempre il più ottimale possibile (esito riguardante anche le azioni semplici e quotidiane, non solo l’ultimo volo) per una questione di piacere ed etica personale, più che per cercare il plauso di qualcuno o evitarne la riprovazione.
Se sarebbe sopravvissuto alla caduta per qualche interminabile ora di agonia. Pensiero cupo.
Se sarebbe sopravvissuto per una nuova terribile vita su una sedia a rotelle. Pensiero decisamente cupo anche per il metro dello scrittore, uno che non si professava allegrone e che di essere un allegrone non aveva particolare fama.
Se in fondo alla tromba delle scale sarebbe piombato addosso a qualcuno. Uno sgarbo che avrebbe preferito evitare. Anche se… quale migliore augurio di un “Spero di travolgerti il giorno in cui mi butto giù nella tromba delle scale!” poteva rivolgere segretamente alle persone particolarmente antipatiche?
Se a metà strada avrebbe iniziato a fluttuare. Di solito è nei momenti più imprevedibili che si impara a volare.
Appoggiò i gomiti sulla ringhiera del pianerottolo e intrecciò gli avambracci. Tutto il peso del corpo era sostenuto dai due arti mentre era piegato in avanti per guardare il piano terra ombroso e riflettere.
“Ismaele è un suicida che equipara l’atto di imbarcarsi su una baleniera allo spararsi un colpo di pistola alla testa. Colpirsi con una pistolettata o gettarsi in una tromba delle scale porta alla morte in pochi istanti. Imbarcarsi su una baleniera assieme al capitano Achab è invece un gesto a cui seguono settimane, mesi o anni di ulteriore vita prima che il suicidio giunga a compimento, ammesso che vi giunga. È una lucida dedizione che estende a dismisura il tempo necessario per portare a termine l’atto del suicidio. Potrei descrivere in un romanzo la caduta di un uomo che si getta dall’ultimo piano di un palazzo e si schianta nell’ingresso al piano terra – e null’altro – ma si tratterebbe di una dilatazione di un avvenimento di pochi secondi all’interno dei confini del romanzo. Per Ismaele invece è il suicidio che si dilata all’interno dei confini della vita.” pensò lo scrittore.
Si grattò: aveva un leggero pizzicore all’avambraccio sinistro, nel punto sul quale aveva fatto pressione quando si era appoggiato alla ringhiera. Poi lo scrittore valutò che per quel giorno erano più importanti il tramezzino e le tette stile Margot della segretaria (più importanti di Ismaele e più importanti del buttarsi giù) e si diresse verso la prima rampa di scale e poi giù lungo altre rampe e poi giù verso la porta di ingresso del palazzo. In fondo buttarsi dal pianerottolo non aveva lo stesso sapore del tramezzino, e tantomeno delle tette. Neanche Ismaele aveva lo stesso sapore del tramezzino, ma questo lo scrittore non poteva saperlo, non avendolo assaggiato (Ismaele, ma a dirla tutta neanche il tramezzino, dato che non era ancora ora di pranzo).
Come è nata l’idea di questo libro?
Il libro è nato poco alla volta durante la fase della prima stesura, nel senso che inizialmente non avevo definito bene l’ordine degli avvenimenti e non avevo nemmeno sviluppato i personaggi. Mi sono semplicemente gettato a capofitto nella scrittura e ho provato a guardare dove sarei stato trascinato dalla storia. Mi sono abbandonato al flusso delle parole. Questo però è successo solo nella fase iniziale. In seguito, mano a mano che procedevo, il libro ha acquisito una struttura forte e peculiare. Ha assunto importanza un’incisione di Escher intitolata Mani che disegnano, che ha contribuito a plasmare la storia e a darle un’architettura forte e significativa. Come nell’opera di Escher ci sono due mani che si disegnano l’un l’altra, così nel romanzo ci sono due protagonisti che si scrivono l’un l’altro, creando una circolarità.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non è stato difficile portare a termine questo romanzo anche perché è piuttosto breve. Ho impiegato non più di due mesi. Nella storia ho inserito molte esperienze personali (di fatto entrambi i protagonisti sono modellati su di me), ma neanche questo mi ha creato problemi o tentennamenti. A quanto pare sono impermeabile alla privacy!
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Per quanto riguarda questo specifico romanzo, come detto Escher ha un ruolo centrale. C’è anche un grosso riferimento a Moby Dick di Herman Melville. Nel periodo in cui ho realizzato Il tramezzino facevo teatro sia presso una scuola di recitazione sia con un altro gruppo privato. Con questi ultimi ho fatto alcuni mesi di prove, che non si sono concretizzati in uno spettacolo, utilizzando un copione ispirato al classico di Melville. Un capitolo del libro è basato proprio su un’improvvisazione che ho fatto una sera nel corso di queste prove. Invece l’idea di dare al romanzo una struttura unitaria attraverso la circolarità viene dai fumetti di Grant Morrison. Al di fuori di questo romanzo, ho vari autori di riferimento che però con Il tramezzino secondo me non c’entrano nulla. I primi che mi vengono in mente sono Georges Simenon e Tiziano Sclavi, ma ce ne sono tanti altri.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Ho sempre vissuto a Trento, e devo ammettere che ho viaggiato poco. Ultimamente però vivo sempre a Trento ma in modo diverso: amo la montagna e da alcuni anni a questa parte ho iniziato a visitare in modo sistematico un po’ tutte le valli e i monti del Trentino. Prima facevo solo un’escursione una volta ogni tanto e molti posti non sapevo nemmeno che esistessero.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Vorrei terminare un saggio che ho iniziato a scrivere tre anni fa. L’argomento del libro è l’esistenza dei personaggi di finzione: se e come esistono. Per ora ho scritto quasi interamente una parte generale, chiamiamola così. Devo studiare e scrivere ancora un po’ per completarla, ma è ben delineata. Il problema è che gli accessi alle biblioteche sono contingentati per via del Covid. Mi riesce difficile applicarmi in modo sistematico se non posso frequentare la sala studio della biblioteca. Quest’anno è in programma l’uscita di un paio di cose che sono già pronte e aspettano solo di essere pubblicate. Per Resh Stories uscirà un saggio su Sherlock Holmes all’interno di un’antologia che avrà come tema l’evoluzione dei personaggi di finzione. Invece Delos pubblicherà nella collana Innsmouth un mio racconto lungo intitolato L’anima senza nome. È una storia dai toni dylandoghiani nella quale viene trattato in maniera inquietante l’argomento del Covid.
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