Edito da Progetto Cultura (cartaceo) Darmarhime (ebook) nel 2020 • Pagine: 144 • Compra su Amazon
Le vicende di un uomo rimasto senza lavoro, che affronta il tempo per cercare, senza un progetto definito, un senso autentico alla sua esistenza, si alternano, capitolo dopo capitolo, a vari racconti con diversi personaggi.
La storia si sviluppa secondo una struttura a scatole cinesi, in cui diversi episodi si intrecciano in un’ambientazione metropolitana, dove il protagonista, spogliatosi della sua identità lavorativa, intraprende un nuovo percorso esistenziale venendo a contatto con una variegata umanità. La narrazione, stimolata dalla sperimentazione calviniana del gioco combinatorio, consente ai principali interlocutori di comunicare in prima persona, ciascuno con il suo personale linguaggio, le proprie esperienze e riflessioni. Passato e presente, sacro e profano, sfolgorante fantasia e realistiche rappresentazioni s’incontrano, solcati da una vena d’umorismo, flussi di emozioni e momenti di filosofia. Le vicende si susseguono e si armonizzano fino a condurre il lettore alla scoperta dell’autentico protagonista del libro.
1.
Cerco una fonte d’aria in biblioteca
Stratocumuli di merci esibite in vetrine luminescenti e in ogni sorta di scansia tentacolare. Ero in uno di quei templi del consumismo, perso alla ricerca di qualche sequenza video da consumare durante e dopo la solita razione di cibo, quando ho avvertito la figura di un commesso stranamente seccato. “Si decida, è ora di chiudere!”
Il mio sguardo doveva essere attonito, distratto, basito. E lui mi incalzò: “Beh?! non sente l’annuncio con tanto di jingle della Corporation?!”
Folgorazione. Per un attimo ho colto il senso del mio essere fuori luogo, ma non solo dentro al punto vendita: nella città, nella Penisola, nello spazio. Solo un attimo. Era già tardi ed ero stanco. Dopo la cena e un’ordinaria dose di TV, mi ha digerito un fluttuante sopore.
Dal momento in cui ho riaperto gli occhi da un sonno che non è mai sbocciato (già sono trascorsi cinque mesi), ha avuto inizio la penosa consapevolezza di quell’umore indecifrabile che ancora oggi insidia le mie giornate. Alle nove di quella mattina non mi sono presentato al lavoro, e così le mattine seguenti, accampando giustificazioni sempre meno plausibili. Finché un giorno dall’azienda, a cui ero legato da un contratto di consulenza, non mi hanno comunicato che si ritenevano soddisfatti delle mie prestazioni pregresse ma d’allora in poi, per farla breve, non avevano più bisogno di me. C’era da aspettarselo: tagliare le collaborazioni era già nei loro piani. Forse anche nei miei, benché, sia chiaro, io di piani non ne avevo mai pensati.
Smaltita l’euforia dei primi giorni sprazzi di libertà, dormite saporose fino all’una come non mi capitava da anni, l’ebbrezza di gestire le ore a piacimento, mi ritrovo a fronteggiare un flusso di tempo indefinito con il quale non ho alcuna dimestichezza. Sebbene fosse da sempre al mio fianco (così com’è al fianco di ognuno), ero troppo occupato da incombenze quotidiane e inebriato dal succedersi incalzante di affari da sbrigare, per avvertirne la gravità. Ora è diverso. Ora che abitudini, conoscenze, impegni, passatempi e ogni cosa che conferiva ordine e senso alle mie giornate, tutto è svanito, frantumato in polveri ineffabili come residui dell’esplosione di una cometa silenziosa.
Capovolgere a mio favore queste circostanze è la questione che mi ha assillato fino a poco fa. Non sapevo come uscirne. Poi (si fa per dire) un lampo di genio. In una parola ecco la fonte d’aria che mi consentirà di sopravvivere aspettando tempi migliori: bi-blio-te-ca. Cosa ci vado a fare? Beh, avrai capito che seguo un istinto. E, nella vanattesa di trovare una risposta convincente, puoi intendere questa decisione come un modo per uscire dal guscio, un modo che non sia fare spesa o pagar bollette. Troppi giorni rintanato in casa: non ho stimoli. Già, e perché non andare alle Maldive o a Los Angeles o sul Tetto del mondo? intanto non dispongo di capitali, anzi, da quando il lavoro mi ha abbandonato, non stimo per il futuro una lunga autonomia… Scusa un momento: ho lasciato il latte sul fuoco… Accidenti! È traboccato e ha spento il fornello. Per fortuna una parte è rimasta nel pentolino. Chiudo il gas. Il caffè era già pronto, la brioche è sul tavolo.
Ancora una cosa mi preme dirti. Proprio in questi giorni ho maturato una convinzione, una scoperta che a me piace definire copernicana, ma, trovando il modo di porla in atto, sarebbe più simile all’uovo di Colombo. Mi spiego: quel nonsoché di bello e indefinito che ci aspettiamo debba coglierci da un momento all’altro, in grado di ribaltare l’esito fallimentare della nostra esistenza, non arriverà mai. E allora, dato che non è più concepibile baloccarsi nell’attesa che il futuro ci porgerà il soccorso di una mano capace di modellare il corso della vita secondo i nostri sogni, non riuscendo a rassegnarmi, da un po’ di tempo a questa parte ho preso ad escogitare un’alternativa. Ho cominciato a credere alla possibilità di un evento, una serie di eventi, un modo nuovo di stare al mondo o quello che vuoi tu, che abbia la facoltà di intaccare la struttura del nostro passato in modo da renderlo significativo o almeno più accettabile di quanto non appaia ora ai nostri occhi. Un qualcosa, cioè, che sia capace di mutare quell’architettura di esperienze che compongono la nostra vita trasformandola, ad esempio, da un cadente e obbrobrioso casermone di periferia, disertato anche dai ratti, nell’armonia di un palazzo rinascimentale, peraltro in ottimo stato di conservazione.
Come è nata l’idea di questo libro?
L’ispirazione è stata piuttosto teorica. Ho iniziato a scrivere “TrePadri” dopo aver letto “Lezioni americane” di Italo Calvino e “Sei passeggiate nei boschi narrativi” di Umberto Eco. Le riflessioni alla base della struttura del testo narrativo, si sono consolidate tramite queste letture, e in particolare, facendo tesoro degli ultimi capitoli dei saggi in questione: “Molteplicità” (Calvino) e “Protocolli fittizi” (Eco). Tuttavia ci tengo a precisare che se è vero che la struttura è stata progettata a tavolino, lo stile e soprattutto il contenuto sono nati spontaneamente, al punto che in seguito, l’architettura del romanzo si è piegata più volte per seguire e assecondare lo sviluppo delle vicende e dei personaggi che cominciavano a pulsare di vita propria.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non parlerei di difficoltà ma di tempo necessario alla scrittura. Una volta completata la prima stesura, la cui lunghezza era più del doppio del testo attuale, ho dovuto revisionare e riscrivere alcune parti, come del resto fanno molti autori. Difficile perché stressante, è stato cercare di assecondare il mercato editoriale, i suggerimenti e le richieste dei vari editori a cui ho inviato il testo.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Due autori li ho citati poc’anzi, ma dal punto di vista teorico. Calvino è stato per me un maestro anche riguardo al nitore espressivo, alla scorrevolezza dello stile. Qualcuno sostiene che sia un autore sovrastimato dalla critica, potrebbe anche essere, ma certamente è stato uno degli scrittori italiani più significativi del ‘900. Non posso non menzionare Stefano Benni (che leggevo molto nel periodo in cui ho scritto “TrePadri”), per il suo esilarante umorismo e per la vocazione a coniugare fantasia e realtà.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Quanto al mio futuro letterario, immagino che continuerò a scrivere poesie in dialetto e in lingua, come d’altronde ho sempre fatto, e poi spero di riuscire a scrivere un’opera storica di ampio respiro, che dovrebbe svilupparsi su più di un livello temporale. Non so ancora, però, se prenderà la forma di un poema narrativo o di un romanzo in prosa. D’altronde, non si può svelare tutto…
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