Edito da Ignazio Pacces nel 17 Giugno 2020 Compra su Amazon
Un turista all’Inferno appartiene al genere letterario per eccellenza: il turismo psichico. I romanzi utilizzano le conoscenze sedimentate nella cultura umana per costruire mondi alternativi, più o meno somiglianti a quello in cui crediamo di vivere. Leggere un libro è navigare una mappa che a tratti si confonde con il territorio: una finestra su un’altra dimensione.
Un turista all’Inferno è il racconto dell’incontro tra Zon Folio e lo scrittore William Burroughs, avvenuto ventidue anni dopo la morte di quest’ultimo. Ha luogo in una dimensione più sottile di quella percepita dai sensi, che possiamo chiamare semplicemente psichica. Qui Burroughs ha costruito l’Interzona Bar, collocato all’interno del colle che sovrasta il luogo dove Dante, dopo essersi perduto, viene raggiunto dalla sua guida Virgilio. Questa valle si trova appena prima dei cancelli che conducono all’Inferno.
Da questo incontro scaturisce una collaborazione: Folio viene reclutato come agente turistico. Ma prima di cominciare a portare dei visitatori ci sono alcune questioni da risolvere, perché Burroughs sospetta che nell’Inferno vi possa essere un avamposto ostile. Per questo motivo Folio dovrà organizzare un proprio gruppo per intraprendere un viaggio all’Inferno con lo scopo di risolvere questo spinoso problema. Solo così si potrà inaugurare la stagione dell’Interzona Bar, che si propone come uno dei pochissimi locali dove esseri incarnati e disincarnati possano bere e socializzare, dando finalmente inizio a una società veramente aperta. Eppure qualcuno non è d’accordo e farà di tutto per impedirlo.
Questo romanzo, ultimato alla fine del 2019, sembra porsi come guida per affrontare i nuovi tempi che sembrano prospettarsi. Si esplorano aspetti della vita come la solitudine, l’incomprensione, la disperata ricerca di significato e la follia, per approdare all’amore e all’amicizia, uniche risposte concrete ai nostri bisogni. Il vero protagonista è però il nostro meraviglioso e misteriosissimo cervello, che dall’alto del corpo coordina e dirige la nostra esistenza.
L’odore del Diavolo
Quel giorno Zon Folio era irrequieto.
Si sentiva infastidito da tutto. Accadeva con cadenze annunciate, come le mestruazioni per le donne fertili. Era un’ombra che calava all’improvviso. Gli esseri umani, indistintamente, si trasformavano in robot manovrati da pregiudizi, da cliché, totalmente impermeabili alla ragione. E lui non poteva farci niente. Il mondo era fottuto.
Bevve l’ultimo sorso di caffè con una smorfia di disgusto e appoggiò la tazzina sul tavolino, allontanandola stizzoso con la mano. A volte la vita aveva un sapore amaro. Altre era il caffè a fare schifo. Quel pomeriggio aveva dimenticato per l’ennesima volta la moka a bollire sul gas.
Ci si ricorda di migliaia d’informazioni senza importanza, mentre altre, di valore pratico, immediato, sprofondano negli abissi più scuri non appena ci si gira dall’altra parte, pensò con un certo distacco intellettuale, forse è per questo che funziona la propaganda, concluse con la stessa amarezza del caffè.
Prese il mazzo dei tarocchi dal tavolino. Cominciò a mischiare le carte. Era un gesto che lo rilassava. Mischiava senza pensare. Immaginava le carte, i disegni colorati che continuavano a cambiare posizione. Il matto che scivolava sulla regina di bastoni, che teneva una forchetta in mano, mentre si concedeva proprio dietro al suo trono, perché solo lui la faceva sentire viva. Mentre l’otto di spade sussurrava che qualcuno dall’ombra intrigava. O il due di coppe, che nel piacere dell’amplesso ricordava ad entrambi che ogni amore era una replica di quello tra la madre e i frutti del suo ventre.
Smise di mischiare le carte e chiese un consiglio per reagire a quella situazione. Ogni carta porta il proprio messaggio. Ne scelse una, senza guardare. La girò: era il Diavolo. La rimise nel mazzo un po’ turbato. Da qualche giorno ogni volta che pescava una carta usciva sempre quella.
Il Diavolo.
Zon Folio amava i tarocchi, una passione che si portava dietro da quando era ragazzo. Gli avevano ispirato gran parte delle storie che aveva scritto. Quel particolare uso dei tarocchi l’aveva portato ad occuparsi di pensiero creativo applicato alla risoluzione dei problemi, come consulente. I tarocchi sono un potente strumento creativo grazie soprattutto alla quantità di storie e significati che nei secoli si sono sedimentate su ciascuna figura.
Tutti i clienti di quella giornata non avevano però capito il suo modo di lavorare, come se si fossero messi d’accordo tra loro. Quel giorno erano tutti interessati solo ai propri egoistici vantaggi, volevano scoprire le intenzioni nascoste dei concorrenti, in ambito lavorativo o sentimentale che fosse. Non era quello il suo modo di lavorare, ma non gli riuscì di mandarli via.
Quel tipo di richieste invece di farlo sentire d’aiuto a risolvere in modo creativo i problemi del prossimo, lo facevano sentire una sporca spia mercenaria. E c’era anche un’altra questione della faccenda che lo turbava: le carte riuscivano realmente a vedere cose nascoste. Lui forniva vantaggi strategici a persone meschine.
E la carta del Diavolo continuava a fare capolino dal mazzo.
Zon pensò che volesse dirgli qualcosa sul perché si sentiva in quel modo, che non gli riusciva nemmeno di definire chiaramente. Si trattava probabilmente di qualche forma di depressione, però non si sentiva demotivato, né privo di energie. C’era poi un altro dettaglio: questa sua condizione contemplava un odore. Un odore inafferrabile, benché penetrante, che lo perseguitava come la carta del Diavolo.
Spalancò la finestra e s’appoggiò con le mani al davanzale.
Una signora chinata sul marciapiede stava raccattando le deiezioni del proprio cane. Aveva il viso gonfio. Si muoveva al rallentatore, sembrava smarrita. Zon si chiese che odore emanasse. Si chiese se quella lentezza fosse dovuta agli psicofarmaci, si chiese se la chimica trapelasse dal sudore.
Ci sono donne che hanno pudore dei propri odori, che non sanno controllare, così li coprono con litri di profumo, proprio come altre nascondono i lividi con i vestiti e il trucco, pensò Zon, che aveva notato un libro sul ripiano del davanzale.
Lo aveva letto qualche mese prima. Era rimasto colpito da un paragrafo sugli odori che i piedi lasciano nelle scarpe. I reni affaticati e l’ipertensione arteriosa fanno sudare molto i piedi, che impregnano le scarpe di un odore forte, aspro e sgradevole. Oppure salato, sempre a causa di un malfunzionamento dei reni. Una persona diabetica, o con problemi di pancreas o milza, produrrà invece un odore dolciastro. Un odore pungente può invece indicare problemi all’intestino crasso.
Quel paragrafo lo colpì perché si chiese come l’autrice, una donna bionda sulla quarantina, fosse arrivata ai risultati riportati. Probabilmente quando invitava qualcuno a cena faceva togliere loro le scarpe, così quando faceva spola con la cucina ne approfittava per annusarle, facendo ovviamente attenzione a non farsi vedere. Una volta tornata in sala avrebbe poi cominciato, con qualche scusa, a fare domande sulla salute dei rispettivi proprietari, in modo dettagliato. Forse un po’ troppo, nell’opinione dei più riservati.
Zon non sapeva se l’odore che lo tormentava fosse pungente, dolce o aspro, si sentiva però indifeso: perché non c’è modo di sfuggire agli odori. All’inizio pensava che la causa potesse essere uno dei suoi clienti. Ma non era sicuro si trattasse di un odore umano. E poi era un odore persistente, pervasivo. Da quanto tempo lo sentiva? Non ricordava, ma era ormai da un po’ che l’appartamento ne era infestato.
Gli odori non sono immateriali, sono molecole, sono pezzetti di materia che vengono catturate dai recettori presenti nelle narici.
Rivolse l’attenzione fuori di sé, alla strada, dove la donna di prima stava camminando con il braccio destro tenuto in avanti, mentre con la punta dei polpastrelli sosteneva il sacchettino che conteneva le deiezioni del cane. La osservò finché non raggiunse il cestino in cui lo lasciò cadere. Immaginò le molecole di puzza uscire dal sacchetto e farsi strada tra i rifiuti per poi librarsi nell’aria come un minaccioso stormo di merdine alate.
E se un cliente avesse nascosto un sacchetto di puzza da qualche parte in sala? Si chiese Zon all’improvviso guardandosi intorno. Sarebbe un’ottima maniera di veicolare malessere in una casa. Un odore persistente, cui non si può fuggire…
Non pensava che qualcuno gli volesse male, di norma tutti se ne andavano soddisfatti. Eppure quel pensiero gli attraversò il cervello. Perché?
Può il malocchio essere un odore? Si chiese. Zon infatti credeva che una persona potesse influire negativamente su un’altra anche in modo inconsapevole. Siamo legati da trame invisibili, che si svolgono per lo più mentre dormiamo o fantastichiamo. Gelosie e rancori che agiscono dall’ombra. Magari legati ad azioni, o sguardi, o sensazioni, che manco sappiamo di trasmettere. Il tessuto della vita è molto complesso e noi non ne vediamo che una parte irrisoria.
Questo modo di vedere le cose l’aveva imparato leggendo uno dei suoi autori preferiti: William Burroughs. Era stato lui a svelargli quella dimensione della realtà.
Ma se questa puzza, si chiese improvvisamente, avesse un preciso scopo? Se la sentissi per un motivo?
Prima che l’ultima cliente andasse via, lui le aveva accennato, con fare incurante, a quello strano odore: “Non sente niente?” le aveva chiesto.
No, non sentiva nessun odore.
Avrebbe potuto rispondere in quel modo per pudore. Non è carino dire a qualcuno che casa sua puzza. O non riusciva a sentirlo semplicemente perché era raffreddata. Oppure, e questa era la possibilità che più l’inquietava, era un odore che sentiva solo lui. Un odore per lui.
Zon chiuse gli occhi, cercava di scoprire se gli richiamava alla mente qualche immagine precisa. Lo aveva scritto Proust che gli odori evocano ricordi che credevamo perduti. Aspettò diversi minuti che qualche immagine, o sensazione, si facesse strada in lui, concentrato sull’odore.
Gli apparve la carta del Diavolo.
Ancora una volta.
Il Diavolo.
A quel punto non poteva più far finta di niente, la questione andava affrontata. Era un evidente tentativo di comunicazione: l’Universo doveva avere un messaggio per lui.
Come è nata l’idea di questo libro?
Lavoro su questi contenuti da molti anni, la ricerca di una vita. Un giorno un amico editore mi chiese se avevo voglia di scrivere un saggio su William Burroughs. Scrissi i primi capitoli di getto, ma mi resi subito conto che trasformandolo in un romanzo avrei potuto veicolare tutte le informazioni che mi interessa trasmettere. 2) Quanto è stato difficile portarlo a termine? 3) Quali sono i tuoi autori di riferimento? 4) Dove vivi e dove hai vissuto in passato? 5) Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Come tutto, basta dedicarci tempo e attenzione ogni giorno e tutte le difficoltà si superano. I libri spesso però richiedono almeno un anno di lavoro.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
L’elenco potrebbe essere molto lungo. Mi limito ai tre essenziali: Franz Kafka, Philip K. Dick e William Burroughs.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nato a Torino dove ho vissuto fino ai 13 anni. Dopo ho sempre vissuto a Milano, a parte un anno negli USA.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Ho già pronta la prima stesura di un nuovo romanzo, su cui presto mi metterò a lavorare. Inoltre sto cominciando a mettere insieme le idee per un seguito di ‘Un turista all’Inferno’.
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