Edito da Porto Seguro Editore nel 2019 • Pagine: 156 • Compra su Amazon
All’indomani del suo 75esimo compleanno, Duccio Vigiani, giornalista sportivo oramai in pensione, si reca, come programmato da mesi, a Forch, in Svizzera, per sottoporsi all’eutanasia, nonostante non sia affetto da alcuna patologia, se non l’incipiente vecchiaia da lui identificata come malattia incurabile. Al Life Institute dovrà sostenere tre giorni di colloqui con la dottoressa Kramer, psicologa legale di stato, il cui parere risulterà vincolante per l’accesso alla procedura di morte assistita.
Nel corso degli incontri, Duccio ripercorrerà i momenti salienti della propria esistenza ed esternerà il proprio pensiero su alcuni dei grandi temi della vita: amore, passioni, sesso, solitudine, vecchiaia e morte. Ma quale sarà il verdetto inappellabile della dottoressa Kramer?
I NON LUOGHI
(Tratto dal romanzo L’Ultimo passo” di Daniele Vriale Ed. Porto Seguro – 2019)
– E mi dica, quale sono state le passioni che hanno così bene colmato la sua vita negli ultimi 25 anni?
-Tante! Ma di getto direi il frequentare i “non luoghi”.
-I non luoghi? Cosa intende specificatamente?
-Autogrill, Hotel, vagoni letto sui treni internazionali, sale d’aspetto negli aeroporti; questi sono i posti che ho etichettato come “non luoghi”, tenendo presente che assumono questa valenza ancorpiù se ci si trova a frequentarli da soli.
Li definisco così, perché transitori e temporanei, dove la maggior parte della gente tende a usare i servizi loro offerti e poi a dimenticarli in fretta, mentre personalmente ho imparato ad assaporarne l’odore di estraneità.
I primi che mi affascinarono furono gli autogrill: durante i viaggi estivi che facevamo con Camilla, per lo più in macchina a giro per l’Europa, quando ci fermavamo a fare rifornimento, non mancavo mai, dopo un breve spuntino od un caffè, di fumarmi un sigaro sotto la pensilina della stazione di servizio. In quei dieci minuti che trascorrevo fermo, appoggiato a un palo o ad un muro, assumevo una visione privilegiata rispetto agli altri automobilisti. Li vedevo muoversi, rapidi e chiassosi, arrivare e ripartire da quel posto che attraversavano senza prestargli la minima attenzione, proprio come se si trattasse di un “non-luogo”. In quei momenti iniziai a percepire, invece, il fascino di un posto così, dove teoricamente potresti passarci un’intera giornata senza che nessuno ti noti o ti domandi perché ti ci trovi . Quando misi a fuoco questa sensazione fui preso quasi da un’euforia: esisteva un posto nel mondo, dove potevi muoverti da solo o in compagnia, per pochi minuti o per delle ore, alla stregua di un fantasma; era meraviglioso!
Con l’andare del tempo, la fermata all’Autogrill divenne uno dei momenti topici del viaggio: li scrutavo da lontano, per sceglierne di grandi, dotati di ristoranti, possibilmente con Motel, piazzola per camion, giardinetto per i picnic; da questo punto di vista la Francia era una manna, con una caratteristica personalizzazione diversificata a seconda della Regione di appartenenza.
Per gli alberghi il discorso è più complicato: vi sono hotel di città e hotel di transito; è indubbio che quest’ultimi tra i due sono i veri non-luoghi. Si intenda bene: lo è anche un albergo dove si soggiorna per più notti in una grande città, in quanto il brulicare di turisti nella hall, l’andirivieni degli ascensori, il via vai del personale delle pulizie, i numerosi avventori del bar o del ristorante, ti renderanno immediatamente invisibile dentro quello spazio. Ma, quello che definisco l’Hotel di confine, è il non luogo per definizione perché si trova in un non-posto.
Mi viene in mente un Albergo al confine tra la Spagna ed il Portogallo: un’ estate, con Sabrina, stavamo attraversando la costiera iberica; eravamo giunti in Galizia dove avevamo fatto tappa a Capo Finisterre, il cui nome evoca automaticamente il prototipo del non-posto, e dopo aver visitato Vigo, puntammo verso la frontiera portoghese. Mente stavamo percorrendo l’assolata autopista, Sabrina esclamò: – Cerchiamo un non luogo in un non posto?
-Magari! Fu il mio commento entusiasta, condito da una piccola dose di dubbio, dovuto alla consapevolezza che una siffatta congiuntura non si manifestava così tanto facilmente.
Eravamo in viaggio dalla mattina ed il giorno stava per immergersi nelle ore dell’imbrunire, pertanto la voglia di fermarsi cominciava a prendere campo in entrambi; imboccai una strada provinciale ed attraversai una serie di paesini anonimi, condìti da poche abitazioni e qualche sparuto punto di ristoro; poi, da lontano intravidi una “tienda” con tanto di distributore di gasolina ed a un lato una piccola “pousada”, tipica dei territori lusitani, di cui già si percepiva l’odore. Era il non-luogo perfetto!
Quando ci si trova in un non-luogo, situato in un non-posto, di cui sicuramente mai e poi mai, negli anni futuri, ci ricorderemo il nome, immediatamente i propri sentimenti vengono dilatati.
Se si è in coppia, ci si sentirà pervasi di un amore assoluto, quasi disperato, verso la persona con cui si sta condividendo l’esperienza; se si è da soli, si potranno presentare elementi di estrema solitudine oppure di intima autostima.
Ricordo il racconto di un collega che, tornando con la propria donna da un viaggio in Germania, si fermò in una sperduta baita tra le montagne svizzere; si trattava delle prime ferie che trascorrevano insieme, dopo il suo burrascoso divorzio. Quel non-luogo fece svanire tutti i suoi sensi di colpa verso la ex moglie, e fece riaffiorare, d’incanto, la complicità e la passione verso la nuova compagna, mettendo in moto un meccanismo sensoriale che si può verificare esclusivamente là dove ci si senta isolati da tutto il resto, come se ci si trovasse in una bolla di sapone, sospesa nell’aria.
Quel viaggio, che era stato per entrambi, gravato dalla situazione contingente, mutò repentinamente di tonalità, ed anziché produrre quella che sembrava, oramai, una inevitabile rottura, dette il via ad una lunga ed entusiasmante storia d’amore.
I vagoni letto, per definizione, rimandano ai viaggi di fine ‘800, all’Orient-Express, e perchè no anche a qualche film erotico. Feci la prima esperienza in wagons- lits nel 2008, per recarmi a Vienna ad assistere ai campionati europei di calcio; non ho mai particolarmente amato l’aereo, e quindi mi sono limitato a prenderlo, esclusivamente per lavoro, quando era impossibile raggiungere la meta con altri mezzi. Pertanto quell’estate decisi di prendere il Firenze-Vienna che in una notte mi avrebbe condotto a destinazione.
Come misi piede sulla carrozza destinata ai viaggiatori delle cabine-letto, ebbi subito la sensazione di aver compiuto un salto nel passato, e notai come tutti i passeggeri si studiassero tra loro, soprattutto, ovviamente, quelli e quelle che avevano cabine singole. Ma la percezione di essere approdato in un non- luogo, la ebbi non appena mi chiusi nella mia cabina, mi sdraiai sulla cuccetta e mi predisposi a dormire. Era come essere in un confessionale, dove si sa che al suo esterno vi è la presenza di altri, ma internamente si è misticamente avulsi dal resto del mondo. Fui immediatamente permeato da un senso di pace assoluta, e quella piccola dose di ansia che mi accompagnava sempre durante i viaggi all’estero, svanì all’istante. Fui molto colpito dal momento in cui ciascuno si chiudeva dentro la propria cabina; era un atto che attestava il proprio bisogno di intimità, e che all’unisono faceva nascere, negli altri, la curiosità di sapere cosa stesse accadendo in quello spazio privato. Provai un senso di serenità nel chiudermi all’interno e mi concentrai sul rumore del treno che, con il suo ritmo costante, scorreva sui binari; mi produceva un effetto rilassante, propedeutico al sonno. Dormii tutto il tempo del viaggio, e al risveglio, indotto dal cuccettista che portava la colazione, ero colmo di felicità per aver scoperto un nuovo non-luogo.
Le sale di aspetto degli aeroporti sono come il Limbo, dove si è sospesi tra la terra ed il cielo; un luogo dove mi sono sempre domandato se non avessi fatto meglio a non dovermi ritrovare nella condizione di dover apprestarmi a volare. Sono il posto dove, maggiormente, ho riflettuto sulla morte. Mi sono scoperto ad elaborare pensieri sul come sarebbe stato morire in un incidente aereo, cosa avrebbero provato i miei cari, come si sarebbe svolto il mio funerale.
-Questo è interessante, lei come se lo immagina il suo funerale?
-Posso dire come me lo sono immaginato ai tempi in cui attraversavo il mondo, soggiornando in uno dei tanti aeroporti, nella spasmodica attesa di decollare incolume verso casa.
Mi ricordo, per esempio, di quando mi recai a Buenos Aires per assistere alla finale di andata della Coppa Libertadores tra Boca Juoniors e River Plate, in quella che venne definita la partita del secolo, non tanto per essere un derby cittadino che avrebbe sancito la squadra campione del Sud-America, ma in virtù dell’antichissima e acerrima rivalità tra le due tifoserie, le quali tutto avrebbero voluto meno che, il tortuoso percorso di incontri che nei turni precedenti aveva messo di fronte le più grandi squadre brasiliane, uruguage, messicane e argentine, terminasse con la madre di tutte le partite; perché, come ebbe a dire un famoso “periodista” locale, il dolore della sconfitta sarebbe stato superiore alla gioia della vittoria. Me ne stavo sui divanetti nella sala d’attesa, e guardavo scorrere sugli schermi gli arrivi e le partenze degli aerei, ancora intriso delle forti sensazioni che quell’evento mi aveva trasmesso, ignaro al momento che nella partita di ritorno, gli ultrà del River avrebbero assalito con lanci di pietre il pullman dei giocatori del Boca, portando ad un rinvio del tanto atteso match, di oltre un mese, e per di più in terra straniera, in quella Madrid, dove in una sorta di contrappasso dantesco, la Coppa Libertadores, nata per celebrare la cacciata degli invasori spagnoli, sarebbe stata assegnata proprio nella capitale dei Conquistadiores; all’improvviso, come mi capitava di frequente, inizia a sentirmi pervadere da una certa dose d’ansia da volo: immaginai la turbolenza in cielo, il panico dei passeggeri, me compreso, ed infine lo schianto in mare; successivamente il diffondersi della notizia sui social e sui telegiornali, ed infine la rappresentazione del giorno del mio commiato.
All’interno della chiesa del Romito, in un composto e doloroso silenzio, si succedevano gli amici, i colleghi ed i parenti; Viola era avvinghiata a Camilla, tanto da farne, quasi, una figura unica, ed al termine della funzione si trascinava fino all’altare per esternare ai presenti la sua disperazione di neo-orfana.
Successivamente anche Sabrina, in un elegantissimo abito nero, si indirizzava verso il leggio posto ai piedi dell’abside, per declamare i versi della mia canzone preferita: “ Ogni Volta” di Vasco Rossi, ripetendo due volte, con la voce rotta dall’emozione, la strofa che maggiormente amavo: “Ogni volta che qualcuno si preoccupa per me”.
Al termine tutti applaudivano, in modo composto, senza eccedere, come a voler manifestare una struggente malinconia per i bei momenti condivisi.
Insomma, tra i non-luoghi, la sale d’aspetto degli aeroporti sono quelli che mi attraggono meno, perché ti conducono sul terreno della negatività, ed a confrontarti con l’evento avverso assoluto.
È altresì vero che una volta ritornato con i piedi a terra, quelle emozioni e quelle riflessioni, sedimentate nelle ore della trasvolata, producono un effetto vitale, come a voler festeggiare lo scampato pericolo; insomma come diceva il sommo Poeta “piacer figlio d’affanno”.
Come è nata l’idea di questo libro?
Nel periodo in cui stavo scrivendo il precedente romanzo (Enrico?), una domenica mattina, mentre facevo running intorno al perimetro dello stadio di Firenze, ho notato tutta una schiera di badanti che trascinava inermi vecchietti e vecchiette su carrozzine e deambulatori; mi è venuto da chiedermi se quella era una qualità della vita a cui potessi essere interessato, e come eventualmente evitare quello stato. Da lì è scattata la scintilla per “L’ultimo passo”.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Sinceramente non troppo, quando ho iniziato a scriverlo avevo abbastanza ben chiaro il tipo di romanzo che volevo delineare, ed in otto mesi ho completato la prima stesura.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Premesso che amo molto gli autori latino-americani, cercando di essere sintetico, sicuramente Sepulveda, Marquez, Skarmeta, Galeano a cui aggiungerei il catalano Manuel Vazquez Montalban. Ho una grande passione per Houellebecq, di cui ammiro la sincera crudezza. Poi senza dubbio Pirandello (un vero riferimento) e Calvino. Vorrei citare anche Leopardi, Ungaretti e Montale, la poesia ha una grande capacità evocativa.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Ho sempre vissuto a Firenze, e credo che difficilmente potrei farlo altrove.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Ho appena concluso la mia seconda raccolta di poesie (dopo Fotografie Letterarie) che spero di pubblicare nel 2020 con il titolo di “Squarci Emotivi”, al contempo sto scrivendo un nuovo romanzo, che credo possa venire alla luce nel 2021.
Lascia un commento