Presentiamo oggi il romanzo di Giuseppe Calzi intitolato Un dolore oscuro, un thriller psicologico ambientato negli Stati Uniti, in vendita su Amazon tanto in formato cartaceo quanto in eBook. Ecco la trama del volume, un estratto e il link alla scheda completa del libro.
La trama di Un dolore oscuro
Ambientato nelle località del nord degli Stati Uniti e collocato temporalmente ai giorni nostri, Un dolore oscuro descrive il viaggio di Dave Metzelder all’interno del proprio universo emotivo, a seguito della prematura scomparsa della moglie, l’adorata Ellen.
La vita piena di sogni ed aspettative della giovane coppia viene devastata dalla scoperta della grave malattia che ha colpito la donna. Inizia così un lungo percorso che porterà la coppia a consultare specialisti e strutture che possano dare loro una speranza di vittoria sulla malattia, anche solo una flebile speranza di vita alla quale aggrapparsi disperatamente.
Durante quelle tappe, qualcosa accade. Qualcosa ai limiti della razionalità, qualcosa che porterà Dave a sondare un altro tipo di viaggio, ben più accidentato e pericoloso. L’uomo si ritroverà coinvolto in una serie di avvenimenti, omicidi ed apparizioni. Alla inevitabile morte della moglie, il giovane si ritroverà calato in una sorta di labirinto emozionale, del tutto solo ed in combattimento con un’ombra oscura, sul filo del rasoio, nel limbo tra realtà e mondo della psiche umana.
Riuscirà Dave a sconfiggere la sorta di ombra penetrata con violenza nella sua esistenza?
Dove finisce ciò che l’uomo definisce realtà, e dove iniziano le sconfinate lande dell’ignoto?
Un estratto dal romanzo di Giuseppe Calzi
La casella della posta elettronica del suo computer di ultimissima generazione indicava che doveva essere arrivato qualche nuovo messaggio.
Erano già quasi le venti, e quindi non aveva molta voglia di aprire una nuova directory. Sarebbe dovuta essere in viaggio già da mezz’ora, ed invece era ancora lì. Stanca, distrutta e con gli occhi arrossati era ancora lì, seduta nel suo ufficio.
E se quel messaggio avesse contenuto delle informazioni importanti? E se qualche suo collaboratore avesse ottenuto la risposta che tutti stavano aspettando da mesi? Quel lavoro, quella ricerca estenuante era troppo importante. Dopo tutto sarebbe stata questione di pochi minuti: un colpo di mouse, un invio da tastiera ed una stampata veloce.
Era veramente questione di pochi minuti.
Le sue dita, ornate da lunghe unghie smaltate di rosso, si impadronirono di mouse e tastiera. Aprì la cartella relativa alla posta elettronica in entrata, e ne lesse il contenuto:
>> BUONASERA DOTTORESSA MONICA CLUJSTERS. SONO UN SUO GRANDE AMMIRATORE, SIA DAL PUNTO DI VISTA SCIENTIFICO, SIA… DICIAMO UMANO. HO AVUTO MODO DI VEDERE ALL’OPERA LA SUA PROFESSIONALITA’, MA MAI HO POTUTO SAGGIARE LA SUA CORDIALITA’.
La dottoressa aveva ricevuto altre volte messaggi di quel tipo, e quindi sapeva che, con molta probabilità, si sarebbe potuto trattare di uno scherzo. Del resto, essere una personalità nota e di spicco comportava anche qualche piccolo contrattempo di tanto in tanto.
Nel momento preciso in cui cestinò il primo messaggio, ne arrivò un secondo. La donna guardò incerta l’orologio, combattuta tra il desiderio di chiudere l’applicazione ed una strana curiosità. La seconda opportunità ebbe la meglio, e così anche il secondo messaggio fu aperto:
>> DOTTORESSA, CI TENGO A SOTTOLINEARE CHE QUESTO NON E’ UNO SCHERZO. ANCHE IO POSSEGGO INDUBBIE CONOSCENZE MEDICHE. NONOSTANTE CIO’, MI PREME DI FARLE NOTARE CHE QUELLO CHE PIU’ MI INTERESSA E’ LEI, NON IL SUO LAVORO.
Monica Clujsters si sentì quasi lusingata da quelle parole; sentiva che esse esercitavano su di lei una potente attrazione. In quegli ultimi mesi si era dedicata anima e corpo a quell’importante progetto, in cui la sua casa farmaceutica si era buttata a capofitto, anche attraverso ingenti finanziamenti. Doveva assolutamente andare a buon fine. Aveva trascurato non poco la sua vita privata, ed ora quella nuova situazione la stava facendo sentire importante, non solo come dottore e ricercatore, ma anche e soprattutto come donna.
Per questo motivo decise di rispondere al misterioso individuo che le stava rivolgendo tante attenzioni.
Cercò di mantenere un tono il più possibile distaccato, sufficientemente disinteressato.
<< INNANZITUTTO NON SO CHI SIA LEI, COMUNQUE QUESTO INDIRIZZO ELETTRONICO NON E’ DESTINATO A COMUNICAZIONI PERSONALI. DEVE INTERROMPERE SUBITO LA TRASMISSIONE. LA RINGRAZIO.
L’indomani mattina avrebbe valutato la possibile replica di quel tizio, ora doveva proprio andare.
Non fu così, perché a distanza di pochi secondi ricevette un terzo messaggio.
>> LE PROMETTO CHE SAPRA’ MOLTO PRESTO CHI SONO. PRIMA PERO’, SE LE VA, FACCIAMO UN… DICIAMO UN GIOCO. INIZIAMO DANDOCI DEL TU, POI COMINCERAI A RACCONTARE QUALCOSA DI TE STESSA. INFINE IO FARO’ ALTRETTANTO. INIZIAMO?
La donna esitò a lungo, prima di dare inizio a quello strano gioco, come l’aveva definito il suo interlocutore. Senza una giustificazione precisa, sembrava eccitata di fronte a quanto stava accadendo.
<< HO 36 ANNI E SONO PRIMARIO ALLA CLINICA SPECIALISTICA DI ATLANTA DA UNA VENTINA DI MESI. SONO DIRETTORE DELLA J&K FARMACEUTICALS E… NON SAPREI COS’ALTRO DIRTI.
La risposta non tardò ad arrivare. Anzi, fu quasi istantanea:
>> TI HO GIA’ DETTO CHE CONOSCO IL TUO LAVORO ED IL TUO ASPETTO. CERCA DI ESSERE PIU’ PERSONALE.
Monica Clujsters si sentì avvampare improvvisamente, accesa dal desiderio di sentirsi in qualche modo trasgressiva. Eppure non mancava una piccola parte di lei, che le intimava di controllare in qualche modo quelle improvvise sensazioni: non doveva lasciarsi andare più di tanto, dopo tutto quello era ancora un perfetto sconosciuto.
Almeno per il momento restava uno sconosciuto.
<< OVVIAMENTE SAPRAI GIA’ CHE NON SONO SPOSATA. TI DICO DI PIU’: NON STO FREQUENTANDO NESSUNO IN QUESTO MOMENTO.
Come era possibile che lei impiegasse qualche minuto per scrivere e lanciare il messaggio, mentre lui le spediva il suo dopo una manciata di secondi?
Interrogativo inutile; per la dottoressa, in quel momento, non aveva molta importanza. Si sentiva stranamente bene ed una sorta di formicolio cominciò a scaldarle il basso ventre.
>> BENE, CONTINUA.
La dottoressa Clujsters, senza un motivo reale, avvertiva una sorta di perversa attrazione, verso quel misterioso personaggio. E così sentì la necessità di continuare a stare al gioco, di proseguire. Perché no, di sedurlo.
<< VUOI SAPERE COME SONO ADESSO?
>> CERTAMENTE.
Perché si stava spingendo tanto in là? Non ne aveva idea, era solo dominata da un’irresistibile sensazione di piacere.
<< INDOSSO SOLO UNA CAMICETTA E UNA GONNA.
>> LO SO.
Monica Clujsters assunse un’aria alquanto sorpresa: l’ultima risposta dell’interlocutore aveva qualcosa di inquietante. Poi però pensò che poteva anche essere un modo di dire, un modo per indurre la donna a proseguire. Probabilmente quello sconosciuto seduttore stava bluffando.
La dottoressa si sentiva particolarmente eccitata:
<< SOTTO LA GONNA NON PORTO NIENTE.
>> NON E’ VERO!
L’inquietudine cominciò a crescere. Lo sconosciuto aveva ragione, in realtà portava gli slip sotto la gonna.
Comprese che si era lasciata prendere la mano da qualcosa di più grande di lei. Si sentì persino stupida per avere partecipato attivamente a quella conversazione, e soprattutto per avere scritto quell’ultima cosa.
L’arrivo e la lettura di un altro messaggio le gettarono addosso un’ansia crescente.
>> SMETTIAMOLA DI GIOCARE. CREDI NEL MALE?
Che cosa significava quella strana domanda? Che fosse caduta vittima di qualche setta? Uno scherzo di cattivo gusto?
Poi, un’altra serie di messaggi le raggelarono il sangue nelle vene, moltiplicando oltre ogni limite l’adrenalina nel suo corpo.
>> IO SONO IL MALE.
>> IO SONO COLUI CHE TU VUOI CHE SIA.
>> DEVI PAGARE.
Ora la dottoressa Clujsters aveva paura. Era pallida in volto e quasi tremava. Teneva gli occhi impietriti davanti a lei, con lo sguardo lontano da quelle tremende parole. Una minaccia? Un’intimidazione? In realtà suonava come una sentenza, una sentenza senza diritto d’appello.
Aveva paura.
In quegli attimi di panico, Monica Clujsters tirò fuori la parte arcigna del proprio carattere. Avrebbe dovuto eliminare dalla memoria del suo computer tutta quella posta in entrata ed in uscita, spazzatura che sarebbe potuta risultare compromettente in futuro.
In pochissimo tempo raggiunse il suo scopo e spense la postazione multimediale del suo studio. L’orologio da tavolo, ricavato su una piastra di vetro coloratissima, indicò le 20.40.
Continuava ad avere paura.
Poi un altro problema attirò la sua attenzione: come avrebbe raggiunto in tutta sicurezza la sua Mercedes, nei parcheggi al piano seminterrato? Durante questa inquietante riflessione, il suo telefono cellulare avvertì, con un suono perfido, acuto e penetrante, l’arrivo di un messaggio.
La donna, dopo averne visionato il contenuto, emise un gridolino infantile di paura, un suono incondizionato dovuto al panico. Quasi il cellulare le scivolò tra le mani e rischiò di finire a terra. Era in preda alla disperazione, e a fatica si reggeva sulle gambe tremanti.
>> DEVI PAGARE.
A causa della paura, si girò più volte su sè stessa, lanciando profonde occhiate in ogni direzione, spaventata dalla possibilità di trovarsi faccia a faccia con quel pazzo. Si sentiva come spiata. Ma nello studio non c’era nessun altro. Ciononostante la tensione salì ulteriormente. Monica Clujsters dosava attentamente il respiro, non senza fatica, nel tentativo disperato di fare meno rumore possibile.
Con una mano raccolse a fatica un grosso plico di documenti, di cui in realtà in quel momento ignorava la natura. Non le importava nulla di che documenti fossero. Con l’altra mano ne raccolse degli altri; poi chiamò
Henry, l’anziana guardia, e gli consegnò entrambi i pacchi.
<<Henry, dovrebbe farmi un grosso favore. Ora io me ne vado, scendo a prendere l’auto, e lei dovrebbe portarmeli nel bagagliaio.>>
La voce le tremava, senza molta possibilità di controllo. Il suo viso era del colore candido della neve. La guardia se ne accorse e le chiese:
<<Tutto bene dottoressa?>>
Non andava bene niente, eppure Monica Clujsters cercò di far sembrare che fosse la serata più tranquilla della sua vita. Il guardiano non replicò, nonostante le sue impressioni fossero completamente opposte.
Henry l’aveva salutata da un paio di minuti. La chiave girò nel quadro d’accensione, ma il motore singhiozzò, sussultò, reprimendo il suo consueto ruggito. L’auto non si avviò.
Quando il cellulare rumoreggiò dalla borsetta, posata sul sedile accanto al posto di guida, indicando l’arrivo di un nuovo messaggio, la dottoressa Clujsters sobbalzò e si irrigidì dallo spavento, artigliando con entrambi le mani il volante, quasi lasciandovi il segno delle unghie.
Una rapida occhiata negli specchietti retrovisori, rivelò alla donna che Henry se ne era già andato, doveva essersene già tornato nella sua tana a sfogliare qualche rivista pornografica, sorseggiando ad intervalli regolari qualcosa di caldo.
La mano penetrò nella borsa, dalla quale estrasse quel maledetto telefono. Intanto un altro tentativo di accendere l’automobile non portò al risultato tanto desiderato. La Mercedes non aveva alcuna intenzione di uscire al freddo, sotto la neve fresca.
Il cellulare mostrò a chiare lettere, sull’inquietante display, una sola parola, una breve parola terrificante, una grave sentenza.
>> MORIRAI.
La donna diede inizio ad un pianto isterico incontrollato. Il trucco che portava attorno agli occhi si sciolse ben presto, producendo sulle sue guance degli innaturali rigagnoli scuri. Il volto della dottoressa si trasformò
in una maschera, una rappresentazione isterica di immensa paura.
Ad ogni minimo rumore percepito, il cuore le si stringeva in una morsa dolorosa.
L’auto non ne voleva sapere di partire.
Quella parola, quel morirai le martellava la testa, la faceva singhiozzare rumorosamente.
Un altro messaggio le recò la stessa minaccia.
L’aria attorno all’autovettura era immobile e scura, tanto silenziosa e minacciosa.
Monica Clujsters colse un lento movimento nello specchietto retrovisore: le porte dell’ascensore, che dai parcheggi portava all’edificio principale, si erano spalancate. La luce che ne uscì allentò per un istante l’agitazione della donna. Poteva essere Henry, oppure una delle altre guardie; qualcuno che usciva dal lavoro a quell’ora tarda; qualche medico o infermiera impegnati nei turni serali, che magari aveva dimenticato qualcosa. Tutte quelle ipotesi, ipotesi plausibili, le infusero un minimo di coraggio.
Uscì dalla macchina, sbattendo in modo violento la portiera, nel tentativo di fare più rumore possibile, per segnalare la propria presenza.
<<Sono la dottoressa Clujsters, c’è qualcuno?>>
A parte il suo eco, un suono spettrale che sembrava prendersi gioco di lei e delle sue paure, non ci fu risposta.
<<C’è qualcuno?>> ripeté con voce implorante.
Silenzio gelido.
Perdendo sempre più le speranze che credeva di avere ritrovato poco prima, decise che sarebbe corsa verso l’ascensore aperto. Poi sarebbe salita nel suo ufficio, e da lì non avrebbe più mosso un passo, anche a costo di passarci la notte. La tranquillità era a portata di mano, le spalancava le sue rassicuranti braccia metalliche, a poco più di una trentina di metri di distanza. L’ascensore era la meta da raggiungere il prima possibile.
I sottili tacchi delle scarpe della donna ruppero il silenzio del parcheggio, rendendo la situazione ancora più inquietante.
Poi una possente mano afferrò il collo della dottoressa nell’oscurità, trascinandola con violenza verso la Mercedes grigia.
La donna sgranò gli occhi terrorizzata, invocando un possibile aiuto verso le ombre scure che assistevano impassibili alla scena. L’ascensore, la sua unica speranza, non smetteva mai di allontanarsi. La stretta improvvisamente si attenuò, ma lei, senza capire come, si ritrovò a terra. Un brutto colpo alla schiena le tolse il respiro per alcuni secondi.
L’orrore non era ancora finito. In realtà si poteva dire che l’incubo fosse appena iniziato.
Monica Clujsters sentì la gonna alzarsi, le pesanti calze invernali abbassarsi, strappandosi in più punti; anche le mutande si lacerarono. Il caldo maglione e la camicetta non ebbero sorte migliore.
La donna aveva già visto quell’uomo, ne era convinta. In mezzo a tanto terrore, la sua testa però non riuscì ad identificarlo con chiarezza. L’aveva già visto. Eppure aveva anche qualcosa di terrificante, dei lineamenti mostruosi, per nulla assimilabile a qualcosa di umano. E negli occhi, in quelle palle di fuoco…
Un attimo dopo, qualcosa di freddo e duro la penetrò con ferocia inaudita, ripetutamente, strappandole un urlo di dolore, di male disumano. La donna sentì come se le viscere le fossero state sfondate; nell’oscurità avvertì, senza poter vedere, il sangue caldo scorrerle lungo le cosce.
La dottoressa Clujsters non fece in tempo a vedere neppure l’altro sangue, quello che poco dopo le sgorgò in grosse quantità dalla gola squarciata.
Forse, dopo quegli attimi di indicibile sofferenza, la morte le riportò un po’ di pace.