
Edito da Simona De Cupis nel 2020 • Pagine: 310 • Compra su Amazon
Anna tiene a bada il dolore di un trauma subito da bambina, adottando la tecnica della sua famiglia: l'oblio. Ne dimentica dinamica ed artefice, custodendo dentro di sé solo l'eco dell'umiliazione subita. Per lei sarà l'Uomo Nero, senza un volto né un nome, che le ha rubato la pace. Sospesa tra il reale e l'immaginario, Anna fugge alla ricerca di storie e personaggi speciali che le permetteranno di non soccombere alla sofferenza. La fuga però non le porta leggerezza, non la libera dal peso della ferita, che si riapre ogni volta che un uomo si affaccia nella sua vita. Stanca del sogno di scrivere, rinuncerà al suo lato magico, a cavalcare unicorni e a scorgere fate dietro ai fiori, prendendo decisioni 'concrete e mature' per il suo futuro, mutilandosi però di ogni tipo di incanto. Tuttavia, sarà proprio l'intervento di un personaggio speciale che le consentirà di accogliere il ricordo di ciò che è stato. Avrà ogni tipo di risposta tranne una: cosa definisce ciò che noi chiamiamo reale?

PROLOGO
Ho sempre pensato di essere congenitamente incapace di affrontare il dolore. I miei genitori avevano trasmesso a me e ai miei fratelli la loro paura nei confronti della sofferenza, mostrandoci come unica tecnica di sopravvivenza la fuga. Forse non ho mai davvero pensato di avere una scelta, applicavo semplicemente le regole di quella che credevo essere la nostra tara genetica. Avevo letto Emile Zola e condividevo il suo principio di ereditarietà, la teoria che esistano aspetti del nostro carattere che possiamo trasmetterci come gli occhi azzurri o l’alluce valgo.
Eppure le ferite continuavano a fare male, per quanto mi sforzassi di ignorarle.
Sono stata sempre la più sensibile tra i fratelli, la più romantica, quella che si perde a Notting Hill tra i banchi del mercato o che ancora sogna di volare sul Fortunadrago con Atreyu. Quella con un libro tra le mani e l’anima altrove, in mondi che riscattavano una realtà scomoda alla quale non riuscivo ad adattarmi. Avevo inconsapevolmente rielaborato la tara della mia famiglia, l’avevo perfezionata, dileguandomi laddove nulla avrebbe potuto sfiorarmi.
Ero ancora sulla torre d’avorio ad attendere il mio cavaliere impavido, quando l’Uomo Nero bussò sulla mia spalla. Lui scelse me, incurante dei miei geni.
Saccheggiò la mia anima come un soldato irrispettoso e crudele.
Avvelenò i miei sogni.
Si portò via la mia identità, scavando in ciò che restava una voragine di confusione e paura. Faceva male e, colta da una disperazione sconosciuta, mi rifugiai in uno stato di abbandono, nascondendo la ferita, senza combattere, come mi suggeriva la mia educazione. Infine scappai. Era l’atto conclusivo di una modalità raffinata da generazioni.
Poi, accadde l’inaspettato.
Una componente di me si oppose all’inerzia. Doveva essere contenuta in qualche cromosoma perduto all’albore della nostra stirpe, oppure, più semplicemente, era una scelta.
Avrei potuto arginare gli effetti di quel gene individualista, sopravvissuto a innumerevoli divisioni cellulari.
Capii che la mancanza di coraggio non doveva necessariamente appartenermi come una tara ereditaria. Emile Zola si sbagliava.
Fuggire e dimenticare la parte livida di me, così come minimizzare le sue ferite, avrebbe solo contribuito a confondere chi fossi tra le pieghe di un finto equilibrio.
Avrei impiegato più tempo, ma mi sarei rialzata e ripresa la mia identità. Se lo avessi voluto.
La superficialità, la pigrizia, la propensione alla bugia erano cose di cui mi sarei potuta sbarazzare, le avevo viste per tutta la vita, assorbite, ma non erano scritte da nessuna parte del mio corredo genetico e potevo scegliere di non volerle.
L’amore per i libri, l’ossessione viscerale per le storie, la spensieratezza consapevole, non la negazione cieca della sofferenza, erano qualcosa che potevo scegliere di tenere con me.
Il desiderio di non avere più paura e quello che avrei fatto per esaudirlo erano miei. Non esistevano geni che mi avrebbero detto come reagire e come adattarmi a quell’ambiente ostile. E, anche nel caso fossero esistiti, sarei stata perfettamente in grado di limitarne l’azione.
Fuggendo i miei genitori avevano trovato la pace, a me la fuga aveva sempre calzato come scarpe ereditate da un fratello maggiore.
Quella scelta mi rese libera, anche se, oggi, a distanza di tempo, mi chiedo quanto ci fu di realmente mio in quella decisione e quanto quella dimensione fatta di carta, inchiostro e polvere di fata mi abbia aiutata a diventare la persona che sono.
Quanto quel luogo chiamato Fantasia sia una fuga immatura per distrarci dalla realtà, oppure il mezzo in grado davvero di salvarci la vita, a volte.
Oggi, a distanza di tempo mi domando cosa definisca ciò che noi chiamiamo reale e cosa, invece, solchi il confine con ciò che reale non è.

Come è nata l’idea di questo libro?
Volevo liberare il demone che premeva per uscire, scrivendo la storia di Anna ho compreso che in realtà le parole avevano su di me l’effetto che la lira ebbe su Cerbero e la belva arrabbiata che scalpitava è diventata una donna rotta che si è ricostruita. Ho voluto condividere l’esperienza di come l’immaginazione ha davvero la possibilità di tenerci a galla a volte, il resto spetta a noi.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Quanto guardare in faccia il mio Uomo Nero. Quando lui ha perso i suoi poteri, ho avvertito una serratura scattare, una porta aprirsi e una brezza accarezzarmi, ho iniziato a scrivere componendo pagine di appunti e non mi sono fermata sino alla fine.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Ho amato Jane Austen, Dickens, le sorelle Bronte, Daniel Pennac e Stefano Benni in modo particolare. Ma l’autore in grado di toccarmi l’anima, colui che ha creato quell’unico personaggio che non dimenticherò, che mi ha letto dentro senza saperlo è stato Carlos Ruiz Zafon.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo tra i boschi dei Castelli Romani da circa dieci anni. Prima la mia vita è sempre stata a Roma, mentre la mia casa adottiva, quella in cui mi rifugio ogni volta che posso è il luminoso Salento.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sto continuando a scrivere, è come se ogni argine sia definitivamente saltato e non riesca più a smettere. Ho terminato da poco un’altra storia ed un’altra ancora mi sussurra con ostinazione nella mente. Spero che i personaggi che hanno così tanto nutrito me possano, con il tempo, prender vita ancora e ancora nell’universo di qualcun altro.
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