
Edito da Youcanprint nel 2020 • Pagine: 196 • Compra su Amazon
Samuele deve fare i conti con la sua separazione da Valerio e pensa che l'unico modo per stare meglio sia partire per la Spagna, alla ricerca di un altro sé. Juan, cinquant’anni prima, in una Siviglia nella morsa della dittatura franchista, vive in segreto la sua storia d'amore con Mario, un ingegnere sposato. Edelweiss, una donna di novantaquattro anni rassegnata all'inevitabile scorrere del tempo, si ritrova ad essere l’anello di congiunzione tra due vite lontane solo all’apparenza. Edelweiss, Samuele e Juan hanno infatti molto più di qualcosa in comune e, soprattutto, una domanda a cui rispondere: quando ami davvero qualcuno, quanto sei disposto a lasciarlo andare?

Prefazione
di Enrica Bonaccorti
“Vai quando vuoi” è un romanzo che si legge con gli occhi e con la pelle, negli occhi resta il sogno, sulla pelle carezze e graffi a ogni pagina.
Coinvolge la trama, i personaggi tratteggiati così bene che ti pare di averli già incontrati fra le tue conoscenze, e l’ottima idea, vero architrave della storia, del racconto su due piani temporali, lontani nei tempi e nei luoghi ma così sapientemente intersecati da sembrare uno solo allo specchio, in cui si riflette e si duplica.
Ma è una riflessione che va oltre lo specchio come Alice, s’insinua sotto la pelle, diventa pensiero.
E quanti pensieri viaggiano nella mente del protagonista Samuele!
Una spirale che scende così nel profondo da sbucare nel passato. Se non fosse già stato ideato da ‘qualcun altro’ questo libro si sarebbe potuto intitolare ‘Alla ricerca del tempo perduto’…
Il protagonista lo trova attraversando il diaframma dell’ipnosi regressiva, a cui si avvicina obliquo e scettico, ma in cui la prepotenza delle sensazioni lo obbliga alla verifica.
È il primo passo di un percorso frastagliato, che lo porterà fra le strade di Siviglia alla ricerca di qualcuno che solo l’istinto lo spinge a cercare.
Diceva Einstein: “La mente intuitiva è un dono sacro, la mente razionale è un fedele servo, e noi onoriamo il servo e dimentichiamo il dono”.
Non Samuele, che segue l’istinto, quello che gli è affiorato alla coscienza durante l’ipnosi è la sua mappa mentale che lo porterà al tesoro indispensabile della pace con sé stesso.
L’ampia finestra sul passato, poi, ci fa affacciare sul periodo franchista, ci ricorda come si vive sotto una dittatura, le sue crudeltà, le sue censure.
E anche, e forse soprattutto, il pericolo di abituarsi a una vita mutilata, a una stanca sopravvivenza.
Ma il seme che può far rifiorire terreni depressi, la riflessione adulta che arriva dalla lettura di “Vai quando vuoi” è che non bisogna farsi bloccare da elucubrazioni solipsistiche, che se proprio non riusciamo a evitarle (e sarebbe meglio…) si devono scardinare disvelandone la radice, ma soprattutto la lezione che ci regala è che seguire il nostro ‘dono’, quell’intuito intelligente che ci ricorda Einstein, può portarci a risultati che nessuna analisi razionale può raggiungere.
È con questo tesoro che Samuele volta pagina, e noi leggiamo l’ultima, anche noi arricchiti.
Enrica Bonaccorti
Estratto dal capitolo “Assenze vive”
Avevamo passeggiato fino al Corral, a una decina di minuti da dove ci trovavamo fino a quel momento.
Era un edificio bianco, con un lungo recinto murato intorno.
Se entravi dentro ti imbattevi in uno spazio molto aperto, un vero e proprio patio andaluso che nel corso del tempo era diventato la sede, durante le varie ferie, di spettacoli di flamenco.
Io e Carlos eravamo lì, al centro di quel patio, sopra di noi una serie di balconate bianche e blu che ci circondavano con soluzione di continuità.
Istintivamente mi guardavo intorno alla ricerca di un citofono, credendo fosse la cosa più scontata per mettersi in contatto con qualcuno in un palazzo dove non si conosce nessuno.
«Ma no, qua abbiamo anche altri metodi. La vedi quella signora che ci sta guardando facendo finta di pulire il balcone?
Siccome non ci conosce, è lì proprio per rispondere alle nostre domande, vedrai».
Non feci in tempo a opinare sul metodo, a mio parere a tratti inopportuno, che cominciò a sbraitare come un venditore di fave al mercato.
«Mi scusi signora, non so come si chiama!».
«Elvira», rispose piccata. «Che ci fa qui, cosa vuole?»
«Cerchiamo la signora Edelweiss. La conosce?»
La signora entrò dentro casa, bisbigliando con qualcuno di cui facevamo fatica a riconoscere l’ombra.
«Edelweiss non vive qui ora, è ricoverata in una casa di cura, Señora Carmen. Cosa volete da lei?»
«Volevamo chiederl…».
Carlos coprì le mie parole.
«Don Alonso ci ha parlato così bene di lei che volevamo salutarla e portarle i saluti del sacerdote, per questo siamo venuti qui».
Elvira sembrava più tranquilla dopo aver ascoltato il nome del prete.
«Ahi que hombre genial que es el Don Alonso Guerreira! Avete fatto bene allora, portatele anche i miei di saluti».
«Non mancheremo Señora Elvira, muchas gracias por la preciosa información!».
Avevo così tra le mani un altro indizio. Edelweiss era ancora viva ed era ricoverata in questa casa di cura in cui dovevo assolutamente andare.
Tuttavia non capivo per quale motivo, giacché ci stavamo, Carlos non mi aveva fatto chiedere anche di Juan.
«Perché a una signora di quell’età l’unica cosa che interessa per sentirsi legittimata a parlare è l’approvazione del prete, null’altro. Infatti guardala come si è subito rintanata nel suo appartamento».
E in effetti sì, lei era entrata dentro e quell’enorme patio era ancora più vuoto, c’eravamo solo io e lui.
«Pensa che d’estate, peraltro a breve, fanno una manifestazione che si chiama Velá de Santa Ana, è una feria, la più antica della città. E qui, in questo patio, cantano delle canzoni bellissime per aprire questo grande evento… e sempre qui, dove ora non vedi nessuno, accorrono ogni volta centinaia e centinaia di persone.
Io vengo a fare diverse foto e visto che sei qui dovresti partecipare, te ne innamoreresti».
L’idea non mi sembrava così malvagia. Giacché si era venduto come professore di musica, lo misi alla prova.
«Ma sai, forse puoi togliermi una grossa curiosità, visto che mi sembri esperto in materia: tutte queste canzoni tipiche, las sevillanas, di cosa parlano che non capisco?»
«Sono canzoni molto intime, di varia ispirazione. Ce ne sono alcune bellissime, interpretate con grande passione.
Parlano d’amore, di amori vissuti intensamente, di amori che ci mancano».
«Perfetto, proprio questo ci voleva. E tu ne conosci qualcuna bene?»
«Mi piace una di Rafael Del Estad, si chiama Ausencias Vivas, ‘Assenze Vive’. Adesso chiudi gli occhi e immagina qui davanti un grande palco, con un gran cantaor che infiamma il pubblico con la sua voce e la sola chitarra».
Chiusi gli occhi e d’un tratto la sua voce diventò canto. Per me.
Cuando estás ausente, yo no sé vivir
Yo no sé vivir
Cuando estás ausente
Yo no sé vivir
Y no me acostumbro
A vivir sin ti
A vivir sin ti
A no ver tu risa
Ni sentir tu aliento
Ni rozar tus manos
Quando Estas ausiente
Ni besar tu cuerpo
Mentre cantava aveva cominciato la prima strofa dietro di me, sussurrandomela all’orecchio, per poi finire credo a tre centimetri dalle mie labbra.
Senza protrarsi in avanti.
«Ecco, vedi, Rafael Del Estad nella sua sevillana raccontava quanto sia complicato vivere quando vicino a te non c’è la persona che ami».
«È una dichiarazione d’amore in un certo senso».
«In un certo senso, l’amore per qualcuno è un concetto relativo così come la sua assenza. “Quando non ci sei, io non so vivere… quando non ci sei io non so abituarmi all’idea di stare senza te”…è un amore totale, il suo».
«Ma quando si ama così totalmente da perdere di vista se stessi non è un amore sano. Nel tempo, perlomeno, questo l’ho capito».
«Ma l’amore infatti è quel compromesso naturale mai detto tra l’aprire il cuore e predisporre la mente. Non esiste prima uno e poi l’altro. Accade tutto in una sola volta, è condivisione sin dal primo momento, anche se non ce ne rendiamo conto. Senza dimenticare sé stessi, perché solo se ci amiamo e siamo in grado di stare da soli possiamo amare davvero qualcuno».
«Già, sembra un’ovvietà, eppure è così vero».
Mi prese per mano, e nel buio che sopraggiungeva ci allontanammo dal patio dell’Antiguo Hotel Triana, rientrando sulla strada principale.
Carlos mi aveva appena cantato le ‘Assenze Vive’ della tradizione andalusa, che in quel momento ha fatto sue, mentre io riflettevo sulle mie.
Tuttavia, c’era stato un preciso momento, proprio lì, nell’Antico Corral, in cui avevo provato un’emozione che avevo perso da tempo.
In quella calda sera di Siviglia, mentre mi sussurravano di Ausencias Vivas, avevo ritrovato per uno strano scherzo del destino – o forse avevo creato proprio io le condizioni? – un insperato, ma quanto mai dolce, calore della presenza.

Come è nata l’idea di questo libro?
“Vai quando vuoi” sono state le ultime parole che ho detto a mia nonna prima che venisse a mancare, avevo con lei un rapporto splendido, intenso, profondo. Tempo dopo ripensai a quell’episodio e quella frase non andava via dalla mente, da lì l’idea di dare vita a un romanzo che parlasse di separazioni in un modo più ampio.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Scrivere “Vai quando vuoi” è stato emozionante ma al tempo stesso abbastanza impegnativo; la storia prende vita a Siviglia ed è ambientata in parte al giorno d’oggi in parte nei primi anni degli anni Sessanta, nel pieno della dittatura franchista. Mi sono documentato molto sui fatti e sui costumi dell’epoca, senza trascurare l’aspetto emozionale: affrontare il tema delle separazione è un argomento “sensibile” anche per me e sotto un certo punto di vista dare vita a questo romanzo è stato quasi “terapeutico”.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Per scrivere questo romanzo, che affronta tra i vari temi anche quello dell’ipnosi regressiva, ho studiato una serie di luminari sul tema, cito Brian Weiss perché ha pubblicato molti libri sull’argomento (uno in particolare bellissimo, “Molte vite un solo amore”). In realtà spazio da Tabucchi a Coelho, ma la mia scrittrice preferita è Banana Yoshimoto. “Kitchen” è per me una pietra miliare, la scrittura per immagini è qualcosa di meraviglioso: leggi ed è come se lo stessi vedendo, una caratteristica della Yoshimoto che per me è irresistibile.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono di Roma e vivo a Roma, ma nella mia vita ho vissuto un po’ ovunque: a Londra, a Milano, in Germania (a Trier per la precisione), vado spesso in Spagna, che amo profondamente. Vivrei volentieri a Siviglia, quello sì. Mai dire mai!
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
“Vai quando vuoi” è per me una scommessa: mi sono allontanato dalle atmosfere pop di “Ogni cosa al suo posto”, il mio primo romanzo, per affrontare un altro tipo di mondo, sempre legato ai sentimenti, ma forse ancor più introspettivo e profondo. Non ho ancora un’idea per il prossimo romanzo, a più riprese mi è stato chiesto un sequel di “Ogni cosa al suo posto” (e ci sto pensando effettivamente), ma non voglio essere uno scrittore di quelli che scrivono un certo tipo di libri solo per rincorrere e compiacere il proprio pubblico: preferisco lettori capaci di apprezzare e “sentire” un percorso di crescita differente.
Libro kolossal meriterebbe che facessero un film.grande dimitri