
Edito da Saad Feddar nel 2021 • Pagine: 100 • Compra su Amazon
Una telefonata, uno scatolone trovato davanti casa, un biglietto firmato da una persona scomparsa, dei vecchi oggetti, un disco che contiene canzoni ormai passate di moda. Saranno gli ingredienti di un viaggio nel tempo, attraverso la musica e la memoria, che porterà il protagonista a ritrovarsi vis a vis con un passato che aveva cercato di dimenticare, appartenete a una vita da cui si era allontanato. La compilation, che il protagonista ascolterà in macchina, è la linea che collega lo con il se stesso di altri tempi. A ogni brano corrisponde un capitolo, un ricordo, un periodo, un evento in particolare.

Io odio farlo. È una cosa che cerco di evitare. Scavare nella memoria, tirar fuori i suoi ricordi, immaginare che poteva essere diverso o anche solo parlarne, significa lasciare che il passato abbia nel presente un ruolo più grande di quanto serva. Una volta una persona mi disse che non bisogna mai pensarci, soprattutto se si è giovani.
Alla tua età pensare al passato non serve a niente. Potrebbe solo rallentarti.
Quelle parole divennero parte di me, e lo rimasero a lungo. Adesso, però, non sono più tanto giovane. Inoltre, anche se smetti di pensare al passato, potrebbe essere lui a pensare a te. Se poi te lo ritrovi davanti casa, non avrai altra scelta che accettare la sua visita e permettergli di entrare, come se fosse un vecchio amico con cui hai litigato senza più aver chiarito.
Mi lasciavo andare a questi pensieri mentre i miei occhi restavano fissi sull’autostrada. Rimanevo sulla corsia di destra, com’era mia abitudine, e guardavo le altre automobili passarmi accanto, superarmi, per poi sfilare davanti a me come in una processione. Per essere mattina presto ci sono davvero tante automobili, pensai.
Era passata almeno un’ora dalla partenza. Ero uscito di casa che era ancora buio, e all’imbocco dell’autostrada si vedevano già i primi raggi di sole: sembravano dei fili bianchi ondulati sopra un tessuto di velluto nero. O forse mi stavo immaginando così il cielo perché avevo dormito poco. Ma si sa che quando uno deve andare lontano, è meglio che parta presto.
Erano anni che non facevo lunghi viaggi in macchina, probabilmente perché non ne avevo bisogno. Ero abituato a salire in macchina solo per andare a lavorare e fare le solite commissioni, difficilmente facevo più di qualche chilometro. Vivevo tranquillo nella mia cittadina, dove avevo tutto ciò che mi serviva, e che mi facevo bastare. Poi arrivò la telefonata di un amico che nemmeno sapevo di avere.
L’ultima volta che feci un lungo viaggio in macchina, e parlo di un viaggio vero, fu diversi anni fa. Mia moglie desiderava tanto fare una vacanza. In quel periodo eravamo sommersi da una serie di problemi, e il nostro rapporto si era indebolito. Una vacanza insieme non poteva che farci del bene. Luglio non era mai stato torrido come quell’anno. Il sole brillava talmente tanto da fondere la pelle; disperdeva i suoi raggi come tante frecce lanciate da un unico arco in varie direzioni, e mi distraevano mentre guidavo. Dovetti comprare degli occhiali da sole, anche se odiavo metterli. Quello fu l’ultimo anno in cui eravamo insieme, io e la mia famiglia, o forse dovrei definirla ex famiglia ormai. Atterrammo nel sud della Francia, a Marsiglia, dove affittammo una Renault Clio. Speravamo di visitare qualche città prima di arrivare a Parigi, di vedere i paesaggi francesi, di assaggiare qualche piatto tipico. Volevamo anche trascorrere una giornata al mare, più che altro per nostro figlio, ma in una settimana non si poteva fare molto. Fu mia moglie a insistere perché affittassi un’automobile non troppo vistosa, e in particolare voleva proprio un vecchio modello di Renault Clio. Diceva che le ricordava i lunghi viaggi in compagnia dei suoi amici, quando mettevano insieme i soldi per affittare una casa in montagna e pagare la benzina all’unico del gruppo che aveva la patente. Inoltre le piaceva tanto guardare fuori dal finestrino, commentare ciò che vedeva con nostro figlio, scattare fotografie, fare battute sul mio modo di guidare, cantare le canzoni che passavano in radio. Ma quelli erano altri giorni. Giorni molto lontani.
Aprii il vano portaoggetti cercando di non perdere di vista la strada. Oltre ai documenti dell’automobile, ci tenevo dei pacchetti di sigarette di riserva, essendo un gran fumatore, e i cd che amavo ascoltare alla guida. Volevo prendere un disco in particolare, di cui rimandavo l’ascolto da giorni, da quando mi era stato recapitato. Lo avevo tenuto nella sua custodia, in cima a tutti gli altri.
Una settimana prima, mentre tornavo dal lavoro, rimasi sorpreso nel trovare uno scatolone davanti alla porta di casa. Lessi il biglietto e rimasi di sasso; quando aprii il pacco e guardai cosa c’era dentro, quasi mi scappò una lacrima.
Era un normale scatolone marrone. Il cartone che lo componeva era umido, e pensai che doveva essere rimasto a lungo in qualche ripostiglio o cantina. Il nastro adesivo che lo chiudeva sembrava altrettanto datato. Il biglietto che lo accompagnava era invece nuovo. Il testo era scritto al computer, mentre la firma, leggermente sbavata, con una stilografica.
Ecco ciò che rimane di quegli anni. Ho ritenuto giusto lasciare a te quei pochi rimasugli. Questi oggetti li ho tenuti per anni, ma ormai per me non contano più molto. Non ho neanche la certezza che te ne ricordi, ma te li consegno lo stesso. Spero che tu riesca a trovare pace nonostante ciò che hai perso.
La firma portava il nome di una persona che mi aveva perseguitato per gran parte della mia vita, che era morta per me, ma che era ritornata a farmi visita quando meno me l’aspettavo. Inizialmente pensai che fosse uno scherzo di qualche vecchia conoscenza che era riuscita a rintracciarmi. Quando aprii il pacco capii che era una cosa seria: quella persona voleva lasciarmi le testimonianze di un passato che avevo cercato di dimenticare.
Era come se la mia vecchia vita mi avesse detto “Ciao. Ricordati che ci sono anch’io”, irrompendo come un ospite indesiderato. Una volta aperto lo scatolone, la prima cosa che notai fu il cd, tenuto in una custodia trasparente in cima a tutti gli altri oggetti. Sotto c’erano altre reliquie: diversi numeri di una rivista musicale, una copia di un contratto di lavoro, dei giornali, alcuni giocattoli. Esitai a toccarli, e fui colto da un leggero tremore. Il mio cuore cominciò a battere forte e mi cadde dalla mano il taglierino.
Presi in mano la custodia del cd, l’aprii, poi estrassi il disco con estrema delicatezza, come se fosse una pietra preziosa. Il logo della marca e la scritta cd-rom erano ancora evidenti: avevano resistito al logorio del tempo. Nella mia mente era ancora ben impressa la scritta che una volta c’era sulla superficie. Una scritta elegante, degna di chi riempiva pagine di bozze. Ma la scritta era sparita, come un sasso che affonda nel lago.
Il disco era un regalo d’anniversario da parte di mia moglie. Fu anche l’ultimo regalo che mi fece, oltre che l’ultimo dono che ricevetti nella mia vita. Era una compilation preparata da lei con i nostri brani preferiti.
All’inizio non mi piaceva affatto la musica che ascoltava mia moglie – quasi tutta in realtà. Lei, lavorando nel settore, conosceva bene tutti i generi e apprezzava ogni tipo di suoni. Era però appassionata di jazz e di musica classica. Passava delle ore a parlare di Miles Davis, Dizzie Gillespie, Stravinskij, Chopin. Lei viveva per l’arte, e in particolare per la musica, che la accompagnava ovunque: in macchina, in cucina, in salotto, dove avevamo un impianto stereo scelto da lei, con tanto di giradischi, lettore cd e mangianastri. Mi rendeva felice vedere la sua espressione quando chiudeva gli occhi e tendeva le orecchie, come se non volesse perdere nemmeno una sfumatura di quei suoni. Le piaceva anche il cinema, infatti mi portava alle anteprime dei film più importanti: grazie al suo lavoro, riusciva sempre a ottenere dei posti.
Con il passare del tempo, a furia di ascoltare le sue canzoni, cominciai a trovarle orecchiabili. Finii per apprezzarle senza nemmeno accorgermene. Quando ascoltai il cd la sera in cui mi fu regalato, mi resi conto che conoscevo bene tutte le canzoni. Cercavo di riprodurre con la voce le note del basso di So What di Miles Davis, così come canticchiavo Purple Rain di Prince o seguivo a tempo l’assolo di Van Halen in Beat It di Michael Jackson.
Non avevo ancora iniziato ad ascoltare il disco, eppure avevo già un nodo al cuore.
Misi il cd nell’autoradio della mia Peugeot 207 del 2003 – l’unico lato positivo di una macchina vecchia è il lettore cd –, presi l’ultima sigaretta dal pacchetto che avevo in tasca, schiacciai il pacchetto, e lo buttai dal finestrino. Premetti play e sentii il rumore del disco che girava. Quando partì la prima canzone, il nodo che avevo al cuore si strinse. Fumai la sigaretta in tre boccate, buttai il mozzicone e chiusi infine il finestrino; il rumore dell’aria avrebbe potuto interferire con l’ascolto, e io non volevo perdermi nulla. Alzai il volume, mentre continuavo a guidare piano nella corsia di destra.

Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea di questo libro è nata da un racconto che ho scritto un anno e mezzo fa. Il racconto parlava dei fallimenti di un giovane ragazzo. Dopo che ho finito il mio primo romanzo dopo due anni e mezzo (non ancora uscito) ho deciso di trasformare il Racconto in un romanzo breve. Mentre scrivo ascolto spesso dei vinili di musica jazz, e questo mi ha portato a sviluppare il concept della musica e della compilstion, e di metterlo nel romanzo.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non è stato molto difficile perché le idee c’erano, i brani da inserire come titoli dei capitoli, almeno la maggior parte, provengono dai miei dischi. Ho dovuto creare dei nuovi aneddoti e sviluppare il rapporto del protagonista con gli altri personaggi. Ci ho lavorato due settimane, varie ore al giorno, per avere la prima stesura. Diciamo che la parte complicata è stata scavare nell’animo del protagonista e creare un rapporto tra il sé del presente e il se stesso del passato.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Io sono uno che legge tanto, ma non so di preciso quali sono i miei autori di riferimento, anche perché sono molti a ispirarmi. I primi nomi che mi vengono in mente sono: Kazuo Ishiguro, Raymond Carver, Matt Heig, fitzgerald, hemingway, Calvino e tanti altri.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nato a Khouribga, in Marocco, dove ho vissuto fino al 2004.a nove anni mi trasferii a Saluggia, nella zona di Torino, dove vivo tutt’ora.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Stavo lavorando al mio terzo romanzo, ma ho preferito interrompere e dedicarmi ad altro per un po’. Non mi manca molto per finire la prima stesura, ma preferisco aspettare il momento giusto per finirlo. Nel frattempo cerco di partecipare a qualche concorso, e cercare di promuovere al meglio il mio libro.