Edito da Bookabook nel 2020 • Pagine: 87 • Compra su Amazon
Una famiglia fotografata all'ora della colazione. Un occhio di bue puntato sul pasto più importante della giornata racconta la storia di quattro persone. Ventinove situazioni diverse, ventinove fette di vita familiare. È l'alba: imprevisti di stampanti che non partono e sveglie soffocate nel piumone, controlli dell'app-meteo e firme di votati last minute, caffè troppo freddi sull'aereo e bagno occupati peggio di un duplex anni Settanta. Varianti di colazioni a letto, con l'ospite, sul terrazzo, in hotel superlusso o lungo il marciapiede. In compagnia di mariti, figli, amici... ma non della suocere (una delle tante cose belle della colazione è che è l'unico pasto suocero-free). Nessuna ricetta, ma una mappa di retroscena familiari, divertenti, emozionanti che lasciano intuire cosa darà sapore al resto del giorno. Un atlante dedicato a tutti quelli che saltano la colazione, perché non sanno cosa si perdono.
Con assistente virtuale
Da qualche settimana è entrato a casa nostra un assistenze virtuale, chiamato AV (per non fare torti o spot). E’ un cubotto che ti aspetta la mattina in cucina e ti dice le news del giorno, il meteo, il santo. La voce è un po’ meccanica, come se avesse dormito meno di te, ma ha il vantaggio che ti fa compagnia, senza chiederti il favore di stirare qualcosa di corsa prima delle otto e mezza.
Soprattutto, è un altoparlante che suona la musica che tu gli chiedi. Se mia figlia arriva prima di me a fare colazione, lei gli comanda subito una canzone precisa, peraltro con un piglio da contessina, tipo ordinasse: “Battista, briosce integrale e succo di ananas”.
Il punto è che non aspetta nemmeno metà del pezzo, che gli urla contro: “Stop!” E gliene domanda un altro. Se il suono che le arriva è eccessivo, da tre metri ordina: “Abbassa il volume!”; io la trovo troppo direttiva, ma in realtà fa solo quello che fanno normalmente i ragazzi della sua età: interrompono, non lasciano finire, scapricciano per le novità. Ah, e danno ordini un po’ a caso.
Mentre lei tratta AV come il suo piccolo schiavo, io arrivo, ascolto in silenzio, me la immagino tra cinque anni; talvolta dico una preghiera affinché un giorno trovi marito.
Dopo poco, resto io sola con l’AV; l’AV – a parte l’articolazione vocale da Cup Lombardia – a me sembra un po’ una persona, perché gli si parla e io non sono abituata a conversare con oggetti. Ma io sono cresciuta quando per ascoltare una canzone si doveva prima riavvolgere il nastro con la bic, per cui già il fatto di mettere la musica solo con un cenno della bocca mentre ho le dita appiccicose di peletti e sugo verde di kiwi, ha qualcosa di miracoloso. Se devo alzare il volume, non mi viene in mente di farlo a voce: sciacquo le mani, mi avvicino lenta e premo il pulsante +, ma con dolcezza, perché mi pare quasi di schiacciare l’ombelico di un tizio.
In genere, gli chiedo della musica anni 80, oppure classica, oppure jazz, e poi mi fido di quell0 che mi fa sentire, come se avesse scelto proprio quella playlist solo per me, in base al mio bioritmo, il colesterolo, a quanti giorni mancano al mio compleanno. So che in realtà è tutto meno romantico di così, ma a me sembra di fare colazione con un DJ fighissimo che la scorsa notte si è fermato a dormire sul divano.
Adesso, io mixo la frutta allo yogurt e lui ha appena fatto partire Ruggeri. Penso alle solite cose sulle nuove generazioni: differenze con la mia, perplessità, biasimi come se piovesse; poi intravedo Ruggeri e il dj, lavoro ancora un po’ di fantasia con il cucchiaino in mano e son felice di iniziare un altro giorno così.
Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea. Non è nata di mattina, ma di sera. Avevo otto invitati a cena, dei ravioli fatti da me che si sfacevano a guardarli, due figli su tre che volevano scappare in camera a mangiarsi un toast davanti a Netflix. Lì ho pensato: voglio essere già alla colazione di domani. Datemi una colazione da fare, al posto di questa cena, una colazione qualunque.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Il libro l’ho scritto in sei mesi. Non è stato difficile perché il materiale non mancava. È bastato aggiungere un po’ di schiuma, come nel caffè.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Adoro David Sedaris, ma è poco conosciuto. In Italia, Giuseppe Culicchia, Beppe Severgnini, Francesco Piccolo.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo a Milano, ma sono d’importazione. Sono d’origine emiliana. Come dice mio marito: vere emiliane, vero piacere.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Voglio cimentarmi in qualcosa di più profondo. Senza perdere la vena autoironica e personale. Vorrei però proporre al pubblico qualcosa che tocchi le loro corde, diciamo quelle più vicine al cuore che allo stomaco…
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