
Edito da Les Flâneurs Edizioni nel 2021 • Pagine: 178 • Compra su Amazon
Il tempo dilatato che la pandemia ha sottratto alla normalità, alterandola, per Chiara si è trasformato in un dono che le consente di rallentare, guardarsi indietro e ricordare. Così, alla vigilia del diploma, decide di scavare nel suo passato – a tratti doloroso come quello di molti tarantini – e di mettere nero su bianco la sua storia e non solo. Come in un film si susseguono tante immagini, alcune più nitide, altre volutamente sfocate perché ancora feriscono. Sullo sfondo, a tenere uniti i suoi ricordi, c’è sempre il mostro che divora senza pietà: l’Ilva.
Chiara ripercorre la sua infanzia felice, scivolatale troppo in fretta dalle mani, e l’adolescenza, segnata da una perdita ma anche da rivincite, conferme e consapevolezze. Un viaggio non sempre facile ma in cui non è mai sola: ogni tappa è condivisa, con Maria, l’amica di sempre; Luca, il primo amore; e l’adorata prof. di Lettere, sua prima sostenitrice che la esorta a coltivare la passione per la scrittura.
Pagina dopo pagina la bambina sognatrice che amava abbandonarsi alla fantasia lascia spazio a una ragazza matura, che con coraggio lotta per far trionfare la giustizia e che non ha paura di inseguire i propri sogni.

Di solito non era mattiniera e non si presentava mai a mani vuote. Mi portava sempre dei cioccolatini, poi mi coccolava e sbaciucchiava e io mi sentivo felice.
Non quella volta. Si avvicinò a mamma e cominciarono a parlare fitto fitto. Provai ad ascoltare mentre ero intenta a spogliare e rivestire la Barbie di turno. La mia collezione ne contava una cinquantina.
«L’orco, quel maledetto! Mangia ancora! L’ha fatto di nuovo!».
Fu da allora che un orco cominciò a popolare le mie fantasie.
Prima non gli avevo mai dato un ruolo nelle favole, secondo me le disturbava mutando gli scenari. Ma sentirlo nominare dai grandi, che spesso lo infilavano tra un discorso e l’altro, cambiò le cose. Di tanto in tanto regnava sovrano e quella volta doveva averla combinata proprio grossa perché vidi mia madre piangere disperata e la nonna scuotere la testa dondolandosi, contraendo il viso in una smorfia di dolore indescrivibile.
Lasciai Barbie e mi precipitai a guardare fuori. Chissà che fosse nascosto lì un indizio ragionevole che avvalorasse i miei timori? Nulla! Il cielo continuava a scherzare col rosa e col rosso. Le sue venature sempre uguali a se stesse cominciavano a infastidirmi. Un cielo azzurro azzurro non c’era più.
O perlomeno non fuori da casa mia. Ci si aggiungevano il grigio, l’arancio, il viola… ma la purezza del blu mai.
Al rione Tamburi parecchie cose stavano cambiando forma, misura, colore. Forse le idee prima di tutto. E anche gli sguardi.
«Non aprire la finestra!», «Non sostare sul balcone!»,
«Non andare ai giardini!».
La lunga serie di divieti si stava trasformando nella negazione dell’esistenza. A noi bambini sembrava di essere in una prigione.
Una volta mia madre mi sorprese a disegnarmi dentro una gabbia insieme ai leoni. «Che significa?» mi domandò.
«Non mi sento libera. Non siamo liberi» risposi quasi con rabbia. Poi continuai: «A scuola la maestra ci ha assegnato un compito: Il sogno di voi bambini. Io ho colorato il foglio di nero perché i miei sogni sono tutti neri. Neri come la polvere che mi togli di dosso le poche volte che scendo in cortile a giocare».
Mia madre non sapeva cosa dire. Non poteva darmi ragione. «E lei che ha fatto quando l’hai consegnato?» si limitò a chiedere.
«Niente! Ho spiegato il motivo e mi ha fatto una carezza.
Poi l’ha fatta anche agli altri bambini».
«E dopo?».
«Dopo è suonata la campanella e siamo tutti corsi fuori».
«Capisco».
Avevo dieci anni compiuti allora e le solite spiegazioni infarcite di bugie iniziavano a non bastarmi più. Allora ci riprovai: «Mamma!».
«Sì…?».
«Ma l’orco esiste davvero?».
«No, no, che dici? È solo un modo di dire!».
A volte ci rimuginavo su e una strana inquietudine mi possedeva. Io e Maria, la mia compagna di banco, ci eravamo convinte che fosse nascosto in qualche grotta e che passeggiasse per le nostre strade di notte, quando nessuno poteva vederlo.
Durante una di quelle ebbi un incubo. L’orco, altissimo, aveva enormi occhi rosso fuoco e braccia lunghissime. Voleva afferrarmi e io correvo, correvo fino al mare. A un tratto l’acqua diventava nera e mi lambiva i piedi trascinandomi. Mi svegliai di soprassalto urlando. Mamma mi raggiunse subito e mi abbracciò.
«C’era l’orco, mamma…».
«Tranquilla! Non può farti nulla!».
Non ebbi il coraggio di dirle che da un po’, ormai, si faceva largo tra i miei sogni. A Maria però il giorno dopo lo raccontai e mi guardò terrorizzata. Mi confessò che anche lei aveva sorpreso i suoi a discutere dell’orco. Il papà era scuro in viso e la mamma molto triste. L’orco stava acchiappando tutti, senza distinzioni, così le era sembrato di sentire.
Forse ci stavamo fissando, forse se l’avessimo lasciato in pace lui avrebbe fatto lo stesso con noi, pensammo. Così ci promettemmo di non parlarne più e giurammo di essere più serene. Alla fine incrociammo anche le dita sul petto. Eravamo più forti della paura noi due, insieme.
Tornata a casa tenni fede al nostro giuramento e mi lasciai consolare dall’immaginazione. Era solo un’illusione ma allora non lo sapevo. E mi bastò.
C’era una volta un cielo da seminare con una lista di desideri infinita. Vagabondo. Disordinato. Giusto o ingiusto. A forma di pioggia o di sole, con le ali o senza. Un cielo raro, ormai.

Come è nata l’idea di questo libro?
Seguo da tempo le vicende dell’Ilva. A un esame di Geografia durante il corso di abilitazione all’insegnamento ho portato un approfondimento su Taranto e l’alta incidenza di mortalità soprattutto infantile dovuta alla diossina e alle altre polveri inquinanti emesse dal “Mostro di acciaio”. Credo sia importante sostenere questa causa e nella mia narrazione ha qualcosa di importante da raccontare. Il diritto alla salute deve essere garantito a tutti.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
La narrazione a livello emotivo mi coinvolge molto: è come se tirassi fuori da una valigia tutti gli elementi necessari perché è giunto il tempo di raccontare. Anche il lavoro di editing è stato svolto in sinergia e con grande professionalità. Una storia per decollare necessita di un prezioso lavoro di squadra. E la mia casa editrice in questo è imbattibile! Siamo una famiglia molto affiatata in cui ci si sente a casa.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
D’Avenia, De Luca, Mazzantini.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo e ho sempre vissuto a Bitonto, in provincia di Bari dove insegno in una scuola secondaria di primo grado.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Voglio continuare a scrivere perché mi appassiona. Ogni parola è un universo del mio “sentire la vita”!