
Edito da Marco Lazzarini nel 2019 • Pagine: 160 • Compra su Amazon
Nel 1281, tra le alte montagne, un piccolo gruppo di monaci è costretto ad abbandonare l'isolato eremo. Uno di loro, spinto dal desiderio di recarsi in Terra Santa, intraprende un lungo viaggio attraverso il mondo degli uomini.
Tra villaggi sconosciuti e casuali incontri, il frate seguirà l'invisibile ed imprevedibile via tracciata dal destino, o come direbbe il protagonista “dalla volontà di Dio”.

La calda luce della candela illumina le mie nodose mani ed incuriosito ne osservo i dettagli come se le vedessi per la prima volta, poi mi lascio catturare dalle tremolanti ombre che sembrano danzare assieme ai fiocchi di neve che scivolano silenziosi oltre la finestra.
Dalla cella, alto come un uccello, osservo il meraviglioso creato dell’Iddio: sta albeggiando ma nella fievole nuova luce brillano ancora i fuochi lontani della pianura. Nel silenzio del giovane giorno mi giungono delicate le voci dei confratelli: alcuni pregano, alcuni lo hanno già fatto ed altri lo faranno. Con un soffio la luce gialla della candela muore dopo un breve sussulto e quella fredda del cielo subito mi avvolge. Richiudendo il libro delle preghiere ho particolare cura nel non rovinarne la copertina che, un tempo riccamente decorata, oggi si presenta come un modesto rettangolo di liso cuoio. Compagno della notte, lo lascio riposare nella nicchia assieme al piccolo ritratto di nostro Signore Gesù e alla piccola croce di legno scuro, tutti doni dei miei cari genitori.
Uscito dalla cella, giungo negli spazi comuni ove conosciuti odori mi accompagnano assieme all’eco dei miei passi. Prudentemente mi reggo al corrimano mentre attraverso la vecchia scala: tanti, troppi anni sono passati tra questi scalini. Per un istante mi fermo e penso ai numerosi alberi caduti sotto i colpi della scure per la loro costruzione e me ne dispiaccio.
Durante questo primo camminare non incontro nessuno al mio passaggio: intravedo solo attraverso i deformanti vetri le nere sagome dei corvi, oggi stranamente silenziosi ed immobili.
Un grande tavolo di legno ricamato da infinite arzigogolate venature mi accoglie in cucina. Sedutomi al suo fianco mi accorgo per la prima volta delle numerose incisioni abbandonate dagli intagliatori nelle pietre del pavimento. Ultime testimoni del duro lavoro degli uomini. Resistono solo all’ombra del pesante legno, tutt’intorno sono scomparse, cancellate dall’incessante calpestio dei frati nei secoli. Dopo aver fantasticato su chi fossero queste antiche genti, ringrazio il Signore Misericordioso per il cibo che ho innanzi ed inizio la colazione: latte caldo con ondeggianti pezzi di pane duro come i sassi.
La neve intanto, mai stanca, continua a cadere: è da tre giorni che si accumula pesantemente sui tetti.
——
E’ mezzo dì quando, completate le mansioni giornaliere, iniziamo ad ispezionare i soffitti delle stanze, timorosi per il nuovo peso che grava su di essi. Purtroppo, come in un racconto di paese, l’ultima stanza controllata ci regala l’amara sorpresa: alcune travi sono pericolosamente incurvate e minacciano di cedere. Dobbiamo risolvere il prima possibile questo problema, non possiamo permetterci di compromettere le scorte di cibo custoditevi.
Con grande fatica svuotiamo la stanza e puntelliamo il soffitto con robusti pali in attesa di poter effettuare una riparazione definitiva e duratura nella bella stagione.
Esausti, terminiamo al calar del sole in tempo per il pasto serale.
Seduto assieme ai fratelli al grande tavolo della cucina, assaporo a piccoli sorsi la bollente zuppa di castagne ed orzo, quando il rumore di un tonfo rompe l’assoluto silenzio ed attrae la nostra attenzione. Non riuscendo a capirne la fonte, ogni uno di noi guarda in una direzione diversa e nel mentre immagina il cedimento del tetto in una qualche stanza. Poi però il suono si ripropone con ritmo costante, dipanando il mistero: qualcuno sta bussando al portone. Frate Antelmo si avvia, con noi al seguito, verso il portone. Chi mai può bussare alla nostra porta nel buio di una nevosa notte?
Scostato il pesante legno, tra fiocchi di neve fitti come non mai, scorgiamo un uomo dall’aspetto malconcio e tremolante di freddo che chiede riparo per la notte.
Lo invitiamo ad entrare, gli offriamo caldo cibo e dell’acqua ma egli gentilmente declina, dice di essere talmente stanco che desidera solo dormire. Desiderio che viene subito esaudito accompagnandolo in una cella libera.
L’abituale, rigoroso, silenzio del monastero ormai è rotto: eccitati dall’inusuale avvenimento formuliamo infinite ipotesi sul nostro ospite.
Mentre osservo i compagni cercare negli occhi altrui le risposte alle loro domande, la stanchezza accumulata nel giorno mi suggerisce di ritirarmi nella mia cella ove, dopo le consuete preghiere, mi addormento.
——
Sta per albeggiare quando mi sveglio, fuori il mondo ancora dorme. Con le dita gonfie di freddo mi sforzo di scrivere sul diario ma ho difficoltà e decido di indossare un’altra pesante stoffa, che come il mantello di un re decaduto va ad adornare le mie spalle. Ed è con questo nobile aspetto che mi avvicino alla finestra per osservare il mondo ma altro non vedo che la neve cadere.
Giunto in cucina trovo il viandante seduto al mio posto e sono così costretto, dopo molti anni, a cambiare sedia ed abitudini. Scelgo di sistemarmi in disparte, in penombra, in modo da poter osservare l’ospite senza essere visto o almeno questo è ciò che io spero. L’uomo, seppur stanco dal viaggio, ha uno sguardo vispo e curioso. I suoi neri occhi brillano di luce.
Mi vien difficile decifrare la sua età, in alcuni momenti sembra poco più che ragazzo, in altri invece sembra essere suo padre. Spostato lo sguardo sui logori cenci che indossa, noto che questi un tempo dovevano essere degli abiti assai lussuosi e riccamente ricamati. Di certo l’aspetto dell’uomo non è quello di un nobile signore piuttosto quello di un brigante in fuga. Che li abbia rubati? Durante questo mio fantasticare altri fratelli ci raggiungono, alcuni iniziano il pasto mentre altri recitano le preghiere. Io, congiunte le mani e socchiusi gli occhi, mi unisco a questi ultimi.
Come era prevedibile la regola del silenzio è stata presto infranta, spinti dalla curiosità i fratelli non hanno resistito a parlare allo straniero.
Costui risponde con difficoltà, come se la nostra lingua non fosse la sua ma sempre con un bel sorriso. A dispetto della mia ipotesi egli non è un ladro ma il discendente di una nobile casata, situata molto a nord dell’eremo, che nel 1270, spinto da alti ideali cristiani, si unì alla spedizione organizzata dal re Luigi IX e dal Santissimo Padre Clemente IV per la diffusione del verbo dell’Iddio Misericordioso a quei popoli che hanno smarrito o rifiutato la giusta Via. Durante questo suo viaggio, il pellegrino si affascinò al pensiero di un eremita conosciuto nelle alte montagne di una lontana isola chiamata Kypros e da quel momento abbandonò i suoi compagni di ventura e praticò una vita ascetica da eremita.
Questa sua scelta lo condusse alla ricerca della Verità, “quella Verità che è intorno a tutti ma che nessuno riesce o vuole vedere”. Aggiunse poi di aver trovato ciò che cercava e che quindi era giunto per lui il tempo di ritornare agli affetti della casa delle sue origini, qui nel Regno di Francia.
Noi tutti gli chiediamo più volte quali Santi o Angeli siano apparsi nel suo pellegrinare ma riceviamo solo incomprensibili risposte con nomi a noi sconosciuti. Però lo ascolto piacevolmente e come un bambino a cui narrano una bella storia ho il viso adorno di un leggero sorriso, la testa leggermente inclinata e adagiata tra le mani ed i gomiti saldamente poggiati al tavolo. Chi mi osserva leggerà nel mio volto, immagino, la tipica espressione da sognatore.
Sono nel chiostro a spalare la neve quando la luce del sole si spegne ed il gelido vento s’impadronisce della sera. Mi rifugio al tepore del fuoco della cucina.
——
Fuori nella notte forte ulula il vento e la neve non cade ma corre veloce senza mai toccare terra. In giorni come questi apprezzo con infinita gioia il misero tepore del letto e non vorrei mai lasciarlo, come purtroppo mi accingo a fare.
Lungo il corridoio ad ogni passo il mio corpo attraversa il bianco fumo che nasce dal mio respirare, nuvolette effimere ricche di vorticanti disegni si ripetono in infinite varianti. Giunto innanzi ad una piccola finestra mi soffermo a guardare l’infinito del cielo anche se oggi è soffocato da minacciose nuvole nere, dimora di lucenti saette. La chiara luce dei lampi mi offre la visione di un paesaggio morto, non vi è un animale o una foglia a ricordarmi la vita del mondo. Mi chiedo dove trovino rifugio le infinite creature di Dio in giorni come questi. Cercando una risposta riprendo il passo e presto vengo avvolto dalla luce dorata e tremolante delle candele che ardono nella cappella. Prego.
L’alba ancora timorosa entra nell’eremo schiarendolo appena, in lontananza le sagome di Frate Sidonio e Frate Timoteo spazzano la neve che sospinta dal vento ha varcato la soglia. Oggi tutto il nostro lavoro si svolgerà all’interno di questo antico edificio tenacemente aggrappato alla montagna a sfidare il gelo ed il vento.
Nel 634 anno del Signore al Santo Caprasiobe apparve l’Arcangelo Michele mentre errava solitario tra queste rocce. L’arcangelo, senza proferire parola, gli indicò con la spada luccicante una piccola grotta, e il Santo capì immediatamente che era arrivato per lui il momento di fermarsi ed ubbidì. Vi rimase sino alla sua morte, avvenuta quasi due secoli dopo.
Oggi quella grotta è il luogo più sacro del nostro eremo e si trova nella parte centrale dell’edificio. Il suo ingresso è chiuso da un portone in metallo forgiato dai più abili artigiani della lontana pianura. L’accesso alla cavità è consentito esclusivamente a noi confratelli e per un solo giorno all’anno: il 29 settembre, giorno in cui l’Arcangelo apparve al Santo.
Al suo interno sono visibili le tracce della vita terrena del Santo. Purtroppo le spoglie mortali, un tempo contenute nella piccola nicchia della parete rivolta ad oriente, nei secoli passati sono state trafugate e vendute a varie chiese del nord. Che Dio li perdoni.
Adiacente alla grotta vi è una minuscola sorgente, da cui sgorga acqua pura e fresca che viene raccolta in sette vasche scavate nella roccia. Le vasche sono di grandezza variabile, la più piccola ha la grandezza di un otre, la più capiente contiene acqua per circa 50 otri. La fonte, riparata da mura, viene aperta ai pellegrini ogni primavera dando loro permesso di bere e bagnarsi in questa acqua ritenuta miracolosa. Le umili offerte che i pellegrini portano all’eremo durante questo periodo di abluzioni ci permettono di vivere durante il duro inverno.
Fuori intanto la tempesta non accenna a placarsi.
Camminando, scorgo il nostro ospite immobile innanzi alla grande vetrata, sembra che osservi la tempesta ma avvicinandomi mi accorgo che tiene gli occhi chiusi. Percepita non so come la mia presenza, lentamente li dischiude e senza distogliere lo sguardo dalla finestra dice: “capisco il triste sentimento del tempo”, poi mi sorride e richiude gli occhi lasciandomi l’impressione che abbia smarrito il senno nelle sue terre lontane. Dubbioso riprendo le quotidiane faccende.
E’ sera e la neve non ancor stanca scende copiosa, non così il vento, che finalmente esausto, ha cessato di urlare.
Stanco mi addormento con il rosario tra le dita.
Stamani il tempo sembra migliorare ma prudentemente decidiamo di rimanere ancora rinchiusi tra le protettrici mura.
Nella cella di Frate Mainardo alcune candele mi tengono compagnia mentre dipingo la raffigurazione del battesimo di Gesù Nostro Signore. Sin dalla giovane età ho avuto una dote per il disegno ma prima di ritirarmi alla vita monastica mai avevo esercitato questa mia abilità. L’aiutare i miei poverissimi genitori nel loro duro lavoro di contadini mi privava di tutti gli stimoli e di tutte le forze. Tutto il giorno tra i campi del padrone come schiavi eravamo. Ah! I miei cari genitori quanti sacrifici hanno fatto per il loro, unico, figlio! Sono più che sicuro che l’Iddio li abbia condotti nel regno dei Beati.
Intanto la parete gelida ed umida mi rende difficile decorare, il colore non viene assorbito ma scivola via. Quando stanco di provare inutilmente decido di abbandonare l’impresa mi accorgo che l’ospite, appena fuori la porta, mi osserva. Incrociato lo sguardo, egli non trattiene il desiderio di raccontarmi di essere stato sulle sponde del fiume Giordano e di essersi immerso tra le sue calme e fresche acque. Inizialmente scettico, mi convinco presto della bontà delle sue parole e vengo colto da un sentimento di invidia… Stasera farò penitenza!
Nel buio della notte disteso nel letto, la mente non riesce a smettere di pensare alle parole del viandante ed al fiume dove il figlio di Dio si è immerso e ha ricevuto il Santo battesimo. Cerco di immaginarmi quelle terre lontane ma la fantasia fatica a raggiungerle.
——
Il nuovo giorno si mostra con un pallido sole e non con l’ormai usuale monotona distesa di nuvole che da giorni rattristava ogni mio risveglio. Il solo vedere il mondo colorarsi alla luce rosata mi rende felice.
Dopo le preghiere del mattino mi reco in cucina, dove infrango il silenzio del pasto, raccontando ai presenti le parole del viandante. Vedo comparire nei loro volti lo stupore che ieri era nel mio.
Poco dopo quando l’ospite ci raggiunge infinite domande lo travolgono.
“Le sue acque placidamente scorrono tra una ricca vegetazione e le sue sponde piene di vita stridono con il desolato paesaggio che le circonda, un mondo dove regnano solo roventi e nudi sassi. Il Giordano dopo aver distribuito la vita durante il suo passaggio termina il suo corso in un piccolo mare dove non nuotano pesci e non una singola pianta vi cresce”, si ferma un attimo come per ricordare meglio e poi continua il suo racconto “da un mese ero arrivato nell’isola di Rhodon quando mi si prospettò l’occasione di imbarcarmi su una nave con destinazione Ascalona. Un luogo che ai più richiama le vecchie glorie degli eserciti cristiani ma io ero interessato alla sua posizione geografica, essa infatti è distante solo alcuni giorni di viaggio dalla città di Gerusalemme, la mia meta”.
La Città Santa! Non curante della luce che brilla nei nostri occhi il viandante prosegue nel suo discorrere: “Giunto a meno di un giorno di cammino dalla città fui avvertito da pastori erranti che vi erano violenti scontri tra cristiani e musulmani. Prudentemente decisi di aspettare la fine di questi eventi prima di raggiungere la città ma dopo tre giorni di inutile attesa alcuni nomadi mi consigliarono di allontanarmi. La cieca violenza umana era scivolata oltre le mura della città e non era saggio attenderla.
Quel triste avvenimento mi condusse senza volerlo sulle coste bianche di sale di quello strano mare senza vita e da lì raggiunsi il fiume Giordano”.
Desidererei ascoltare ancora il viaggiatore ma ho del lavoro che non posso più rimandare. Sarà per un’altra volta.
Percorsi alcuni corridoi e diverse scale raggiungo il magazzino situato alla base dell’eremo, è il luogo dove riponiamo gli attrezzi agricoli durante l’inverno. Qui inizio con lo spazzare il grande pavimento di pietra scura, poi procedo con il riordinare gli utensili ed infine armato di un pesante martello mi impegno ad eliminare il ghiaccio che si è aggrappato alla porta che conduce all’esterno. Prima di ritornare all’eremo rimuovo lo sporco che ha aggredito il saio, la barba ed i capelli.
Un altro giorno è andato via, le tenebre della notte fanno ritorno e velocemente coprono l’eremo ed i monti. Prima di dedicarmi alle ultime preghiere mi fermo nel refettorio per la cena. Vi trovo l’usuale calda zuppa di farine d’orzo e di castagna, insaporita con le erbette selvatiche, di cui ignoro il nome, raccolte questo autunno da Frate Antelmo.

Come è nata l’idea di questo libro?
Ad essere sincero non saprei dire. Sono stato sempre una persona creativa ma questa mia capacità di immaginare cose e situazioni è sempre stata incanalata verso le arti visive (pittura e computer grafica) e mai avrei immaginato un giorno di poter scrivere un libro intero. Ma un pomeriggio dopo aver iniziato a scrivere su di un foglio non sono riuscito più a fermarmi.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non è stato particolarmente difficile immaginare la storia ed il suo epilogo ma piuttosto elaborare lo stile della scrittura.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Per la stesura di questo libro ho preso come riferimento i resoconti di antichi viaggi effettuati da autori per lo più sconosciuti.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nato e cresciuto in Sicilia (Siracusa) poi mi sono trasferito nella provincia di Bergamo dove tuttora risiedo.
Dal punto di vista letterario, quali sono i vostri progetti per il futuro?
Ho iniziato a scrivere un nuovo romanzo ma è troppo presto per parlarne.
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