
Edito da Filippo Bergamo nel 2020 • Pagine: 185 • Compra su Amazon
Un ideale percorso sulle logiche e sull’impostazioni delle attività non farmacologiche applicate nella demenza e un’analisi degli elementi da prendere in considerazione. Il tutto volto a costruire un’equazione logica sulla qualità degli interventi che si propongono senza dimenticare l’importanza di porre interesse più a chi abbiamo davanti piuttosto che delle proprie attività. Muoversi nel non farmacologico è come affrontare una traversata atlantica in un oceano tra sicurezze e incertezze, dove ciò che conta è la pianificazione di una rotta ed il giusto atteggiamento per percorrerla e seguirla al meglio: dobbiamo conoscere i venti, il mare, il tempo e non dobbiamo mai dimenticare di conoscere molto bene i nostri compagni di viaggio, noi stessi e quali sono le nostre risposte emotive nelle varie situazioni. È un percorso che richiede conoscenza, preparazione, prospettiva ma che deve altresì far apprezzare ogni metro della bellezza del viaggio. La soddisfazione sta nel completare il percorso, l’emozione sta nel viverlo al massimo delle proprie possibilità mentre lo si compie. Un’impresa che non si fa da soli, che va condivisa, costruita a più mani ognuna con abilità diverse ma pronti a conoscere anche le competenze altrui al fine di essere capaci di rispondere ad ogni situazione di sostegno o di imprevisto. Allora il viaggio diventa prospettiva, sapere, amore per l’esperienza condivisa e per chi l’ha condivisa con te e la partenza e la sua conclusione i limiti che contengono tutto questo.

La comunità scientifica parla di fenomeni come l’ageismo, di condizioni di solitudine e se questi sono i temi forti con i quali oggi si sta facendo i conti, allora una riflessione la si deve pur fare.
In un mondo dove viene richiesta una certa performance generale, non c’è niente di peggio che avere a che fare con qualcosa di neurodegenerativo, con un andamento eritrogenetico, con un’altissima possibilità al fallimento, con la certezza di un peggioramento e con outcome con scarsa efficacia misurabile in particolar modo sotto l’aspetto qualitativo.
Proprio in questo scenario si lavora proponendo i trattamenti non farmacologici. Per alcuni, una sorta di trattamenti-cuscinetto nell’attesa di qualcosa di più significativo relativamente alla cura delle demenze. Per altri, ed in questo gruppo cerco di stare anch’io, un’occasione per migliorare i sistemi di cura, di creare cultura attorno alla persona intesa come individuo meritevole di essere seguito al meglio qualunque sia la sua condizione. Non vuole essere un modo per fare discriminazione generale, ma credo sia necessario chiedersi come mai allora i fenomeni di cui accennato prima, quali ageismo oppure la condizione di sempre più solitudine siano tra gli attuali problemi da fronteggiare oltre che quelli legati alle cause della malattia. Abbiamo delle responsabilità relativamente a questi fenomeni anche come comunità scientifica e di conseguenza si deve provare a risponderne con impegno.
Non so se questo lavoro, descritto come un ipotetico viaggio, possa avere qualche particolare ascendente verso qualcuno ma sicuramente può far riflettere su cosa dovrebbe stare dietro a un certo modo di trattare la persona con demenza. Fosse mai che un certo pensiero potesse essere anche condiviso, allora dovrebbe crescere un forte sentimento di responsabilità e di mobilitazione ad un cambiamento o ad un più determinato orientamento.
Parlare in maniera critica di noi per migliorarci nel rapporto con l’altro, trovando operatività costruendo vie per migliorare non per filosofeggiare.
L’auspicio è quello di ritrovarsi in questo ipotetico viaggio, di pensare questo percorso quasi come già battuto mille e mille volte. Ma se così non fosse allora l’altra umile speranza è quella che faccia porre delle domande. La scelta è stata quella di non fare riferimenti a studi o a trials clinici o a rewiews autorevoli, ma quella di parlare di logiche. Le logiche permettono la costruzione di ulteriore pensiero e si auspica anche di azioni.
C’è bisogno di una nuova organizzazione dei modelli di care sull’anziano ed in particolare sulla persona con demenza. Una frase che può sembrare retorica, trita e ritrita da bocche di studiosi ben più autorevoli di quella del sottoscritto, ma necessaria.
Abbiamo bisogno di creare una cultura del passato rivolta al prossimo e che sappia coinvolgere più generazioni. Questo significa ampliare la comunità, sensibilizzarla arricchirla sia in ordine quantitativo, inteso come più numerosa, ma anche qualitativo offrendo significati, stimoli e modelli con previsione di crescita e miglioramento.
Abbiamo il dovere di contribuire a reclutare più equipaggio in questo particolare viaggio, di tutte le età, con più esperienze e formazioni, con capacità a ricoprire più ruoli. Con una forte etica e amore verso l’altro e con la volontà di restare assieme.
Abbiamo bisogno di nuovi linguaggi più fruibili, di forme di comunicazione accessibili, di spazi, strutture e infrastrutture a passo con i tempi e con i bisogni. Abbiamo bisogno di persone che si adoperino oggi per creare quella cultura che sarà utile a loro stessi domani quando magari ad aver bisogno saranno proprio loro stessi.
È con questo animo che ho provato a raccontare questa visione del non farmacologico.
Fiducia, curiosità, coraggio, voglia di non stare solo, voglia di sporcarmi le mani e di fare fatica, ecco queste sono le prerogative con le quali mi sono approcciato a questo lavoro ed uno straccio con un pezzo di sapone.
Quest’ultimi servono a ripulirsi per poi ripartire nuovamente, rifare un altro viaggio ed un altro ancora. Il sapone e lo straccio sono stati il mio primo regalo fatto quando ho iniziato a lavorare con le persone con demenza da parte della mia responsabile di allora invitandomi a non avere paura di sporcarmi le mani in questo mondo che è quello delle demenze.
Uno straccio pulito e un pezzo di sapone ora io cerco di regalarlo con questo lavoro sperando possa essere, come è stato per me, di analogo stimolo.
Buona lettura, buon viaggio e buon lavoro.

Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea nasce dall’esigenza di portare in evidenza quanto il rapporto relativo alla qualità degli interventi psicosociali nella demenza sia frutto d’un insieme di fattori dove sicuramente uno dei più determinanti è l’atteggiamento di chi opera.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
È un lavoro che ha necessitato di molta pratica clinica, di molte esperienze sul campo e molta formazione e studio. Partecipare a momenti formativi di livello e provare a tradurli in esperienze difronte a persone in grande difficoltà a causa della demenza ha portato all’elaborazione di tale pensiero poi tradotto in questo volume.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Gli autori di riferimento sono T. Kitwood, A. Spector, M. Trabucchi poi altri autori che si occupano di neuroscienze.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo a Mira, Venezia, luogo che mi ha sempre ospitato.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Il testo è stato tradotto in inglese pertanto a breve ci sarà la pubblicazione in lingua inglese e quindi accessibile anche in altre parti del mondo.
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