
Edito da Alessandro Maga nel 2020 • Pagine: 461 • Compra su Amazon
Archimede, genio assoluto dell’umanità, attende con preoccupazione l’epilogo dell’assedio romano alla sua Siracusa che dura da ben due anni. Grazie alle armi del grande scienziato i Latini non sono riusciti a prendere la città con la forza, ma vi stanno riuscendo con la fame, e un esercito assetato di oro, di donne e di sangue preme per entrare in quella che per molti è la più bella delle colonie greche. Tutti i suoi figli sono in grave pericolo, ma lo sono anche gli ultimi studi dello scienziato che rischiano anch’essi di essere travolti dalla furia della guerra. Paride, un giovanissimo servo dall’aspetto androgino, ha un’idea per portarli in salvo e non esita a metterla in pratica con l’aiuto di Archimede stesso. Inizierà così per il ragazzo un’incredibile avventura che lo porterà molto più lontano di quanto lui avesse mai potuto immaginare.
Siamo nel 212 a.C., sei anni prima Annibale ha varcato le Alpi con i suoi elefanti per porre la parola fine all’ascesa di Roma, e Siracusa, dopo la morte del grande tiranno Gerone II, è diventata un ghiotto boccone tra Roma e Cartagine per la seconda volta in guerra tra loro per la supremazia nel Mediterraneo occidentale. Le vicende narrate nel romanzo, pur collocandosi fedelmente all’interno di questa cornice storica, sono da considerarsi di pura fantasia, mentre assolutamente oggettiva e approfondita è la luce che il libro vuole gettare sulla sorprendente scienza dei Greci.

Siracusa, fine autunno del 212 a.C.
I
“Non voglio morire” disse Paride rivolto alla razza che stava toccando amorevolmente sul dorso. “Ho solo diciannove anni”.
Il piccolo ragazzo col suo codino di capelli scuri era seduto sul bordo della vasca delta dei laboratori di Archimede, che inizialmente destinata come le altre agli esperimenti sui corpi galleggianti, era stata poi trasformata in Acquario. Il docile pesce sembrava gradire quella dimora e gradiva certamente le carezze del giovane visto che le veniva a cercare.
La vasca, lunga venti passi e larga cinque, ospitava pesci e molluschi di molte specie diverse, compresi cavallucci marini, polpi, meduse e alcune razze, tutti provenienti dal Mar Rosso. Il giovane siciliano amava seguire con lo sguardo le creature marine che avanzavano sospese nell’acqua e adorava i colori straordinari delle loro livree squamate. I pesci pinneggiavano placidamente, in gruppi o isolati, sopra fondali rocciosi carichi di anemoni lucenti, coralli preziosi e conchiglie rare: base variopinta e multiforme di quel piccolo mondo incantato.
Il primo Acquario era stato concepito e realizzato in Egitto, dai biologi del Museo di Alessandria che studiavano molti animali in cattività, poi il progetto era stato replicato a Siracusa e in altre città greche. Sempre da Alessandria provenivano i pesci, gli studi su come allevarli e i vetri posti come finestrelle sulle pareti della vasca. Ognuno di quegli esseri esotici e ammalianti emanava un’energia particolare e si diceva che Archimede avesse avuto le sue migliori intuizioni osservando quella vasca. L’insieme e i suoi particolari trasmettevano un senso di pace infinito, e proiettavano l’occhio in una dimensione altra, dove tutto rispondeva a leggi differenti: le leggi dell’acqua.
Siracusa era la più bella delle colonie greche, capitale di un regno libero e fiorente affacciato al centro del Mediterraneo, ma le cose erano completamente cambiate tre anni prima, con la morte del vecchio tiranno, Gerone II. A causa del vuoto politico che questi aveva lasciato, Siracusa era allo sbando ed era diventata un ghiotto boccone tra Roma e Cartagine, per la seconda volta in guerra tra loro per il predominio sul Mediterraneo occidentale. Dopo diverse congiure e tradimenti, i successori di Gerone II, allettati da grandi promesse da parte di Cartagine, avevano rotto la lunga alleanza con Roma e si erano schierati dalla parte dei Punici. I Latini li avevano quindi considerati dei traditori e avevano deciso di conquistare le leggendarie ricchezze e i porti di Siracusa, cingendo la città in un terribile assedio.
Il console romano Marcello, dopo il fallimento di mesi di estenuanti attacchi via mare e via terra, aveva deciso di prendere la megalopoli per fame e le aveva tagliato tutte le vie di rifornimento. Siracusa resisteva eroicamente da più due anni, ma gli attacchi e le privazioni avevano strangolato la città portandola sull’orlo della resa.
Grazie al genio di Archimede e alla dedizione di Paride, anche i bei pesci colorati continuavano a resistere all’assedio. Non era più possibile accudirli come un tempo e l’Acquario aveva perso parte del suo splendore, tuttavia la ricchezza di forme e colori in esso rimasta riusciva a sorprendere ancora perfino chi la conosceva bene come Paride. Neanche gli occhi scuri del ragazzo a dire il vero erano belli come un tempo, ma di fronte a quelle meraviglie il nero delle pupille diventava di nuovo brillante.
Le altre tre vasche del laboratorio erano state trasformate in allevamenti di pesce per le mense, ma erano vuote da settimane.
C’era il sole quel mattino e la luce proveniente dai lucernari illuminava l’intenso verde acqua del dorso della razza, percorso per intero da striature grigio tortora sottilmente bordate di nero. I colori dell’Acquario, e i loro accostamenti, da sempre avevano evocato in Paride forti suggestioni: delle sensazioni particolari e indecifrabili che lo avevano accompagnato nel corso degli anni tornando ogni volta immutate e misteriose.
Quella di Paride era stata un’infanzia serena, trascorsa in un’epoca di pace durante la quale lui aveva coltivato dei sogni bellissimi. Anche grazie alle bellezze dell’Acquario il piccolo siciliano aveva fantasticato di un futuro luminoso, di una vita piena di colore, ma poi erano arrivati la pubertà e l’assedio che insieme e contrapposti avevano sconvolto la sua esistenza. L’assedio offuscava le tinte di quei sogni – così come spegneva i colori nelle vie di Siracusa – mentre l’adolescenza le riaccendeva e tramutava quei desideri in pulsioni irrefrenabili.
Anche in quel momento Paride mentre seguiva i pesci con lo sguardo sognava la fine della fame e della paura. Da mesi e mesi parteggiava per una resa pacifica ai Romani e sperava nell’arrivo di aiuti in città per cominciare una nuova vita. Ogni giorno domandava a suo padre notizie, ed era sempre più scettico sulla possibilità di allontanarsi dalla città prima della caduta inevitabile. Si preparava al peggio, nella speranza che fra i Romani avrebbe trovato un signore buono e giusto come lo era Archimede. L’importante era non morire.
“Chi si prenderà cura di voi quando i Romani prenderanno la città?” si chiese il ragazzo rivolto ancora ai pesci. Poi li rassicurò: “Non preoccupatevi, l’Acquario è talmente bello che diverrà sicuramente bottino di guerra e sarà trasferito a Roma… Mi chiedo soltanto come faranno a portarlo via!?”
Fu in quel momento che accadde qualcosa di davvero strabiliante: la vecchia murena, che s’affacciava sempre più di rado dalla fenditura nelle rocce in cui aveva passato la sua esistenza, ne uscì quasi per intero, proiettandosi in avanti nella direzione di Paride. Muovendosi sinuosamente nella sua livrea blu cobalto puntinata di macchie dorate, la murena lo fissava con gli occhi severi e la bocca aperta, e in quel mentre molti pesci avevano preso a girare nei pressi della sua tana, costituendo in tal modo una sorta di cornice variopinta e guizzante intorno all’animale che aveva anch’essa dello straordinario.
Paride rimase così sbalordito da quella scena che arrivò addirittura a pensare che la murena lo stesse avvertendo del pericolo imminente al quale erano tutti esposti e che i pesci intorno a essa sottolineassero la gravità della situazione.
“Volete che vi liberi? Ma dove volete andare!? E poi tu sei troppo vecchia” disse alla murena. “Potrei aprire le condotte e farvi arrivare in mare attraverso le grate di scarico, e dopo? L’acqua è fredda per voi, lo sapete bene.”
Non aveva fatto in tempo a finire la frase che già correva verso i corridoi con un’idea coraggiosa in testa. Una voce dentro di lui gli urlava: ‘Eureka! Eureka!’ (‘Ho la soluzione! Ho la soluzione!’).

Come è nata l’idea di questo libro?
Anche se questo è il mio primo romanzo e ho iniziato a scriverlo a 43 anni, l’idea di realizzare un libro ha sempre solleticato la mia fantasia. Prima o poi avrei affrontato questa sfida – ne ero abbastanza certo – e l’ispirazione definitiva è arrivata dal mio interesse per la storia della scienza. Ero giunto a delle riflessioni originali che volevo in qualche modo condividere e l’idea che mi ha subito affascinato è stata quella di farlo attraverso un romanzo avvincente, ambientato nella stessa epoca e negli stessi luoghi in cui quelle scoperte scientifiche venivano realizzate.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Il romanzo è stato scritto di getto in meno di tre mesi, ma ci sono voluti altri due anni e mezzo per arrivare alla versione che ho pubblicato. Oltre alla necessità di conciliare la scrittura con il lavoro, lo sforzo maggiore è stato quello dell’incessante affinamento che ha accompagnato il percorso di crescita indotto dalla stesura stessa. Non parlo solo di una maturazione dal punto di vista della cifra stilistica, quanto soprattutto della definizione degli elementi caratterizzanti del romanzo e dei nessi che ne garantiscono l’unità.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
I miei autori di riferimento sono sicuramente i grandi romanzieri europei dell’800, in particolare Dostoevskij, Manzoni, Balzac, Stendhal…
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
La mia vita si è sempre divisa tra Campagnano, un paese a nord di Roma, e Roma stessa.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Voglio continuare con questo genere storico-scientifico dal quale mi sento molto ispirato. Sto lavorando ad un nuovo romanzo ambientato nel medioevo, secondo capitolo di una piccola saga con cui ho intenzione di ripercorrere a grandi passi la storia della scienza. Tale genere mi permette di conciliare al meglio l’intento divulgativo dei miei romanzi e l’esigenza di perdermi con la fantasia in mondi diversi e molto lontani.
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