
Edito da Claudio Donati nel 2020 • Pagine: 244 • Compra su Amazon
In un 1800 dai tratti onirici un uomo viaggia, solitario, alla ricerca di sé stesso, fra le ombre che si allungano sul suo cammino al trascorrere del tempo. Eppure il tempo non sembra intaccarlo, né intimorirlo. Attraversa fastose, simboliche città in un viaggio fra le ombre e i vizi capitali. Elegante e disinvolto come un flaneur s'innamora, e vive singolari, irripetibili passioni, all'insegna del piacere e delle sue più umbratili sfaccettature, impavidamente diretto verso l'altrove che inesorabilmente contraddistingue l'approdo del viaggio di ciascun essere umano.

L’acre, pungente odore della pioggia sull’erba misto al singolare profumo dei corposi colori ad olio sparsi sulla tela. E’ il primo, immediato ricordo che ho di quel giorno. Il secondo è un blu regale, un blu di Prussia venato di verde mare. Mi parve di sentire quel colore ancor prima che i miei occhi avessero la possibilità di vederlo, quando all’ingresso dell’atelier, in una piccola scarna anticamera, mi raggiungeva l’odore dei freschi colori mescolati sulla tavolozza. Percepii la presenza di quel blu screziato di verde con la stessa istintività con cui si percepisce l’arrivo di una persona silenziosa in un grande ambiente. Un crescente affastellarsi di rumori mi fece capire che potevo pienamente accedere all’atelier. “Sebastian, eccoti finalmente! Non pensavo saresti più venuto.” William, uno dei miei amici pittori inglesi, mi venne incontro appena mi vide varcare la soglia dell’atelier. “Non ti stringo la mano, sono tutto imbrattato di colore.” Disse lui, quando mi feci avanti per salutarlo. L’atelier in cui lavorava non era grandissimo, ma William era abile nel gestire lo spazio, e sembrava aver trovato un ideale luogo di sperimentazione in quella mansarda ben esposta alla luce. Un grande tappeto cold cream rivestiva l’intero pavimento, rischiarandolo. Piante difformi si alternavano a mensole di varie misure, sulle quali rilucevano candelabri d’ogni foggia e colore, alcuni riscaldati da trionfanti candele brucianti, altri vuoti nell’immobilità di fredda cera rappresa. Uno specchio ovale dalla cornice di bronzo riposava addossato a una parete, e un paravento orientale, nero con impressi fiori dorati, celava un intero angolo dell’ambiente. Lembi di variegate stoffe pendevano dalla sua cima. I delicati rumori di un corpo che si veste provenivano da quel lato d’atelier che il ricercato paravento velava. “Sarà uno dei miei più belli, ne sono sicuro…” Disse William, coprendo con un telo il dipinto appena lavorato, prima ancora che riuscissi a scoprirne il soggetto. “Sei soddisfatto?” Una voce giunse improvvisa da dietro il paravento. Era una voce di giovane donna, compiaciuta, divertita. “Quale pittore potrebbe non essere soddisfatto dipingendoti?” Disse lui, sorridendo. Una risata argentina, alta, ma non sguaiata, si sparse nell’aria. Era una bella risata, non contagiosa, non intima, ma ricercata. Era una di quelle risate che non si possono scordare, tanto sono singolari. William appariva compiaciuto, un uomo sicuro di sé, ingenuamente sicuro di sé. “Quando potrò vederlo?” Proruppe ancora la voce da dietro il paravento. “Quando sarà finito!” Rispose William trionfante, come avesse appena pronunciato il termine di una memorabile arringa. Altri delicati fruscii provennero dall’orientale paravento, rumori morbidi, incorporei, quasi fossero generati da una seta, tanto armoniosi da sembrare il principio di una melodia. “Non sei stanco di vedermi vestita di blu e verde?” Chiese la voce femminea, mentre William mi illustrava una serie di dipinti recenti circoscritti da ovali cornici. “Assolutamente no.” Rispose lui senza voltarsi, continuando a sorridere mentre mi rivelava certi minuziosi dettagli di un dipinto che non rammento. “Chissà che non mi innamori di questi colori!” Esclamò la donna con pungente ironia. Mi volsi ancor prima di William, attratto maggiormente da quella voce, perché sapevo che era fuoriuscita dal paravento. Una donna di fisicità slanciata, magra, rivestita d’un abito di velluto rosso vinaccia, ci fissava entrambi, sicura di sé, spavalda in qualche modo, consapevole del fascino che poteva esercitare. “Ti presento un mio caro amico, Sebastian.” Disse William, frapponendosi fra me e la donna appena fuoriuscita dal paravento, distante soltanto un paio di metri da me. Mi avvicinai istintivamente. Mi porse la mano, alzando il polso. Il dorso della sua mano vestiva il profumo della pioggia invernale, era penetrante, ma sfuggente, tendente alla dimenticanza. Non parlò, ma i suoi occhi verdi parlarono, proferendo più di quanto potessi desiderare. Le sorrisi, e sono certo che il mio sorriso non fu spontaneo, tanto ero preda della situazione. Ci vediamo giovedì prossimo.” Disse a William, congedandosi. Lui la baciò sulla guancia imbellettata, e lei svanì oltre la soglia dell’atelier. “Dopo un attimo di silenzio William si volse a guardarmi. “Non è forse bella come ti avevo detto? Hai notato il suo portamento? E i suoi capelli rossi? Sembra una ninfa…” Disse, tutto concitato. “E’ proprio come mi avevi detto, amico mio, proprio come mi avevi detto…” Risposi, ma non pensavo ai suoi capelli rossi o al suo portamento. L’unica cosa cui non riuscivo a smettere di pensare erano i suoi occhi verdi e la velata, forse illusoria, promessa che custodivano.

Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea per questo romanzo è nata dalla sempre più forte convinzione che questa esperienza terrena chiamata vita sia un viaggio, un viaggio tra le ombre del proprio profondissimo, sconosciuto animo. L’ho associata in tal caso alla mia passione per il XIX secolo, e ne ho tratto un viaggio dal sapore fortemente iniziatico, in cui l’eros, inteso come incontro con l’altro, è presupposto della conoscenza di sé.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Portare a termine un romanzo è anch’esso un percorso, esattamente come il viaggio di cui questo libro vuole raccontare, e come ogni percorso, ha bisogno di una gestazione. La gestazione di “Viaggio tra le ombre” è stata lunga, ma non per la lunghezza in sé dell’opera, quanto per il cambiamento che durante la sua redazione la vita ha deciso di apportare su di me. Dunque i capitoli hanno subito lunghe revisioni, e talvolta persino dei tagli netti apportati alla trama.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
I miei autori di riferimento sono Gabriele D’annunzio, del quale ho subito amato la prosa di afflato lirico, Oscar Wilde, Arthur Schnitzler, Marcel Proust, Gabrielle Colette. Non tralascio tuttavia autori meno noti al grande pubblico, ma non meno interessanti e pittoreschi, come D’Aurevilly e Djuna Barnes.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo a Roma, dove ho sempre vissuto, tuttavia non vieto al destino un volo pindarico che mi conduca altrove.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
I miei progetti sono già in parte su carta, avendo portato avanti e quasi a compimento un altro romanzo. Penso che continuerò a scrivere e a cercare, fino a quando potrò e me ne sarà data occasione.
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