
Edito da Primiceri Editore nel 2019 • Pagine: 470 • Compra su Amazon
Testo rivoluzionario, non perché contiene idee rivoluzionarie bensì perché, finalmente, contiene (quasi) tutto quello che serve per insegnare. Da cosa fare il primo giorno di scuola, a come realizzare lezioni coinvolgenti, effettuare le valutazioni, aumentare la creatività degli allievi, operare con classi difficili e creare buoni canali comunicativi. Senza avere la pretesa di dire all'insegnante cosa fare in ogni situazione, lo mette in condizione di operare le scelte che ritiene migliori sulla base di evidenze scientificamente fondate su cosa funziona meglio.

IL SAPERE DEGLI INSEGNANTI
La maggior parte di noi, per avere dei punti di riferimento quando ha iniziato ad insegnare, si è rifatta principalmente a due con-testi esperienziali: quello delle scuole che avevamo frequentato e quello dell’insieme delle teorie intuitive sull’apprendimento che ci eravamo costruiti durante lo studio. E’ ora di integrare le ricette degli antenati della nostra professione con dei paradigmi pedagogici e didattici fondati, oltre che sulla nostra saggezza persona-le, anche sulle recenti ricerche scientifiche basate sull’evidenza e sulle ricerche sul campo.
4.1 Sfatiamo alcuni miti
a) Su questa affermazione non c’è accordo tra gli studiosi, a partire da cosa si intende con “apprendimento per scoperta”. Questo concetto è stato introdotto nel 1960 da Bruner il quale, chiamandolo anche “istruzione attiva”, asseriva (semplifico molto il concetto) che i bambini devono imparare a risolvere i problemi in modo indipendente. Purtroppo, come sempre, il discorso sugli effetti di questa concezione si sono polarizzati sui due estremi: insegnamento attivo contro insegnamento diretto, e questo porta a ritenere fallaci entrambe le scuole di pensiero. Lo stesso Bruner, alcuni anni dopo, modificò il concetto aggiustandolo in “scoperta guidata”, riconoscendo l’importanza di un certo grado di guida esterna o di assistenza. Non sto ad elencare le ragioni a sostegno di ciascuna tesi, e personalmente credo che la cosa migliore sia di non usare esclusivamente l’apprendimento per scoperta ma introdurlo solo in poche occasioni e per determinati argomenti o per esperti in un particolare campo. Le ragioni principali sono quattro. La prima è che la scoperta di nuovi fatti e relazioni funziona solo se l’allievo ha una buona base di cono-scenze. La seconda è che non tutti gli allievi sono capaci di costruire e manipolare la conoscenza, per cui si allargherebbe la differenza tra allievi con elevate o basse abilità. La terza è che occorre moltissimo tempo. La quarta è che i bambini e gli adolescenti non sono “adulti in miniatura” e quindi ragionano e vedo-no il mondo in modi diversi.
b) Molti recenti studi (riportati da P. De Bruyckere – P. A. Kirschner – C. D. Hulshof) affermano che l’insegnamento basato sulla soluzione dei problemi non ha effetti positivi per imparare nuovi concetti/contenuti. Questo metodo non va quindi utilizzato come il principale metodo di istruzione a scuola. Si è dimostrato molto utile, invece, per ricordare o per esplorare ulteriormente qualcosa che lo studente sa già. La causa degli effetti non positi-vi è dovuta alla limitazione della nostra memoria di lavoro che non può processare attivamente più di due o tre informazioni. Tale limitazione non c’è quando abbiamo a che fare con prece-denti informazioni immagazzinate nella memoria a lungo termi-ne, perché così possiamo fare ricorso agli schemi cognitivi che ci siamo già costruiti.
c) È vero che le persone sono diverse e quindi imparano in mo-do diverso, ma il modo che ciascuno preferisce per imparare è quello migliore? Mangiare quello che si preferisce quasi mai equivale a mangiare nel modo migliore. È raro che qualcuno ab-bia un solo stile di apprendimento, ci sono molte differenze e sfumature e inoltre non è semplice, precisa e validata la metodo-logia per l’individuazione di uno stile personale. Ancora più raro è che questo crei sensibili difficoltà nell’apprendere. Allora, per-ché questo mito ha preso così piede? Tra le varie cause quella più ascoltata è per giustificare lo scarso risultato di un allievo: “come può imparare bene se il suo stile è diverso da quello usato per insegnare?” Tutto ciò significa che devi lavorare sui significati delle cose che insegni e compensare gli stili che adotti.
d) P. A. Kirschner ha detto che quello che già conosciamo de-termina quello che vediamo e comprendiamo. Inizialmente credevo molto nell’uso dei programmi per computers per la simulazione del comportamento di un apparato tecnico e li usavo pensando di migliorare l’apprendimento dei miei allievi. Però mi sono dovuto ricredere a causa dei problemi che creavano. Infatti, gli studenti non avevano gli strumenti per distinguere se i risultati ottenuti fossero veri, verosimili o totalmente sbagliati, o interpretare la risposta ottenendo, di conseguenza, un’influenza negativa sul loro apprendimento.
e) Spesso per giustificare l’introduzione di riforme si fanno delle comparazioni. In ambito scolastico sono prese in esame le statistiche fornite dal test PISA (Programme for International Student Assessment = Programma per la valutazione internazionale dello studente). Vi sono, però, molte voci critiche sulla validità di queste comparazioni tra i risultati degli studenti di diverse nazioni, perché non tengono conto di evidenti differenze tra sist-mi educativi, linguistici e culturali. Infatti, ad esempio, nei primi anni della loro introduzione (dal 2000) gli studenti italiani ottenevano valutazioni piuttosto basse, nonostante il loro valore. Una mia certezza, verificato sul campo, è che quei risultati erano falsati da un mancato allenamento dei nostri allievi a lavorare sui test. Ora che anche in Italia se ne fa largo uso, stiamo risalendo la china.
Un’altra critica fatta a questi sistemi di comparazione (PISA, TIMSS, PIRLS) è che, a volte, si presume che vi siano interessi economici privati sottostanti.
Una terza critica, sottolinea che già in alcuni paesi i responsabili dei sistemi educativi e gli insegnanti modificano i programmi per adattarsi ai test delle indagini PISA.
Se vuoi conoscere i differenti sistemi educativi di circa 40 nazioni europee vai al sito:
https://eacea.ec.europa.eu/national-policies/eurydice/home_en.
4.2 Alcuni aspetti fondamentali
Insegnare bene significa saper mettere tutti gli alunni nella con-dizione di avere successo nel percorso formativo. Allora dobbiamo chiederci: quali sono le competenze che ci servono per insegnare per competenze? Fondamentalmente sono contenute in tre macrocompetenze:
La competenza del sapere disciplinare, intesa come padronanza della propria disciplina e, molto importante, come capacità di sapersi collegare ad altre discipline.
La competenza del saper fare didattico e cognitivo, intesa sia come padronanza di stili d’insegnamento, sia di metodologie didattiche proprie della disciplina.
La competenza etica del saper essere e comunica-re, intesa come competenza pedagogica nell’ambito delle dinamiche di comunicazione-relazione ed in quello socio-affettivo.
Ovviamente non ci occuperemo della prima macrocompetenza ma delle altre due. I nostri obiettivi sono: analizzare il modo in cui le persone imparano e trovare i modi migliori per aiutare gli allievi ad imparare. Volendo individuare un riferimento teorico al quale ispirare la nostra azione, ci troveremmo di fronte a un variegato ventaglio di modelli. Chi volesse approfondire la conoscenza di questi modelli dovrebbe rifarsi alle principali scuole di pensiero indicate come: cognitivismo, comportamentismo, connessionismo, psicologia della Gestalt, teoria dell’attività, costruttivismo.
Secondo Anderson e Krathwohl (2001), che hanno aggiornato la precedente tassonomia di Bloom, i processi cognitivi ai quali sono chiamati a rispondere gli studenti sono sei:
1. Ricordare: riconoscere o richiamare la conoscenza dalla memoria. Il ricordo è quando la memoria viene utilizzata per produrre o recuperare definizioni, fatti o liste o per recitare informazioni apprese in precedenza.
2. Comprendere: costruire senso da diversi tipi di attività qualunque esse siano, come l’interpretazione, l’esemplificazione, la classificazione, il riepilogo, l’inferenza, il confronto o la spiegazione, i messaggi scritti o grafici.
3. Applicare: realizzazione o utilizzo di una procedura tramite esecuzione o implementazione. L’applicazione è legata o si riferisce a situazioni in cui il materiale appreso viene utilizzato attraverso prodotti come modelli, presentazioni, interviste o simulazioni.
4. Analizzare: sezionare materiali o concetti in parti, determina-re in che modo le parti si relazionano tra loro o in che modo interagiscono o in che modo le parti si riferiscono a una struttura o uno scopo generale. Le azioni mentali incluse in questa funzione sono il differenziare, organizzare e attribui-re, oltre che l’essere in grado di distinguere tra i componenti o le parti.
5. Valutare: creazione di giudizi basati su criteri e standard attraverso il controllo e la critica. Nella nuova tassonomia, la valutazione viene prima della creazione in quanto spesso è una parte necessaria del comportamento precursore prima che si crei qualcosa.
6. Creare: mettere insieme gli elementi per formare un insieme coerente o funzionale; riorganizzare elementi in un nuovo modello o struttura attraverso la generazione, la pianificazione o la produzione. La creazione richiede alle persone di mettere insieme le parti in un modo nuovo, o di sintetizzare le parti in qualcosa di nuovo e diverso creando una nuova forma o prodotto. Questo processo è la funzione mentale più difficile nella nuova tassonomia.
Questo capitolo non vuole presentare un modello pedagogico, ma vuole privilegiare l’uso di quelle pratiche che hanno dimostrato, con prove evidenti, di avere un forte impatto sull’apprendimento e sulla realizzazione dello studente.
Ricorda: nessun metodo didattico funzionerà per tutti gli studenti, per tutti gli insegnanti o in tutte le aree tematiche. Pensa alle idee che ti presenterò come a dei punti da cui partire per capire cosa funziona meglio per te e per i tuoi studenti.
L’obiettivo principale è quello di migliorare la tua pratica mediante l’auto-valutazione e il raggiungimento di livelli superiori di prestazioni nella pratica professionale. I concetti di livelli ordina-ti di comprensione sono fondamentali per il miglioramento delle competenze professionali di noi insegnanti. Si presume che l’apprendimento possa essere descritto e mappato come progresso nella direzione di conoscenza qualitativamente più ricca, abilità di ordine superiore e comprensione più profonda. In questo senso uno studio approfondito ha evidenziato che i comportamenti dei docenti nell’aula si esplicano con sei livelli di competenza. Descriverò il livello di base (livello 1, già da considerarsi buono) e quello massimo (livello 6).

Come è nata l’idea di questo libro?
Ho sempre combattuto contro la noia degli allievi e, soprattutto, contro la mia eventuale noia nel fare uno dei lavori più belli che esistano. Per questo, nel mio decennale lavoro di insegnante, ho sempre cercato i modi migliori per facilitare un apprendimento che producesse soprattutto la voglia di imparare. In alcuni corsi di aggiornamento per insegnanti, ho cercato di raccontare i miei metodi, stratagemmi, accorgimenti da usare in classe. Dal raccontarlo a riportarlo in un libro il passo è stato breve.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non è stato molto difficile portare a termine il lavoro, soprattutto per due motivi: il primo è che ritenevo non interessante riportare una “summa” delle scienze cognitive, per cui ho richiamato solo alcuni riferimenti quando sono stati necessari. Il secondo motivo è che, dato che nell’insegnamento quasi tutto funziona, ho riportato soprattutto le cose che si sono rivelate maggiormente efficaci sulla base di rilevanze sperimentali.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
I miei autori di riferimento sono, ovviamente, i classici delle scienze cognitive ma ho anche apprezzato moltissimo i lavori di Osborn sulla creatività, di Torrance, Dewey e Wallas sul brainstorming, di John Hattie sulla Evidence Based Education.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nato e vivo a Fermo, dove ho insegnato al noto Istituto Tecnico Industriale “Montani”, il più antico d’Italia.
Dal punto di vista letterario quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Per il futuro penso di scrivere un romanzo che mescoli scienza e umanità in un modo che, credo, ancora non è stato mai sviluppato.