
Edito da Portoseguro Firenze nel 2021 • Pagine: 459 • Compra su Amazon
Quando Adriano decide di cercare Mena dopo vent’anni di lontananza, non ha chiaro il motivo che li ha allontanati. Ormai sono entrambi adulti di successo: lui trasferito in Germania con moglie e figli, lei attrice teatrale famosa in tutta Italia. Una volta insieme riscoprono la natura magica che li aveva irresistibilmente attratti da ragazzi, rivivono i ricordi del passato ma si ritrovano anche a indagare gli arcani magici della loro natura che consentono a lui di parlare con gli spiriti dell’aldilà e a lei di poter usare le sue doti di guaritrice. Lungo il loro turbolento viaggio tra Milano, Amburgo, le isole della Cornovaglia e il Cilento, Adriano e Mena riusciranno a risolvere gli enigmi dell’aldilà e trovare un equilibrio nella propria tormentata esistenza?

DIARIO
Giovedì 11 Aprile, 10:00 del mattino
Sono parole che non si devono dire. Le scrivo.
Che vergogna…
Mi hai ridotto a un imbecille che non sa dove girarsi per cercare di liberarsi la mente. E non ci riesco.
Di te non posso non sapere tutto, lo sai? Certo, lo sai, che domande faccio. La mia è solo una maniera idiota di sbattere la testa contro il muro.
Ti odio tantissimo.
Stamattina sono arrivato in Italia, ultima tappa di un lungo viaggio che finirò a breve.
Ormai il mio lavoro mi trascina ovunque. Gli aeroplani sono la mia camera da letto, gli aeroporti il mio soggiorno e tralascio di commentare sulle toilette solo per quello che mi resta del rispetto per la decenza.
In questi vent’anni penso di aver fatto troppe cose, conosciuto troppe persone. Pensa che a volte faccio fatica a ricordarmi con chi abbia parlato l’altro ieri. E sorvolo su quanto troveresti inutili gli argomenti di cui avrò parlato con loro.
Non ti ho detto – e mi chiedo se tu lo sappia – che ci sono cascato.
Mi sono istituzionalmente sposato. E subito dopo pentito. E dopo ancora pentito dell’essermene pentito. Ho dei figli, maschi, belli come me.
Chiunque vaghi su questo mondo affianco a noi, ci chiede di rientrare nel suo contesto sociale.
E tu? Che hai fatto? Io non so come, ma so che te ne sei tenuta fuori. Davvero non capisco come tu ce l’abbia fatta.
Io so dove sei, quello che fai, ma non ti immagino, sai? Dopo tutto questo tempo non ho una forma di te davanti agli occhi. Nessuna.
Sono basito.
Ti rivedrò stasera. Non dovresti saperlo. Forse lo sai.
Ti rivedrò. Sono le undici del mattino e, dopo i viaggi di queste settimane, non so nemmeno precisamene dove mi trovi. Ho preso qualche giorno di ferie dopo mesi. So solo che sono arrivato da te.
Perché ti rivedrò stasera. Io ho deciso così.
1.
La stazione alle otto del mattino era un gran trambusto. I treni dei pendolari snocciolavano passeggeri a frotte. Camminavano quasi tutti allo stesso ritmo. Alcuni, rapidamente, cercavano di farsi largo in tortuosi corridoi immaginari; pochi, lentamente, facevano attenzione a procedere più discosto per non ostacolare il passo della maggioranza.
Giovanna non poté fare a meno di notare che gli uomini fossero vestiti pressoché allo stesso modo: in giacca e cravatta, oppure in pantaloni e magliette sobrie, tutti coperti poi da piumini leggeri. Le
donne invece si distinguevano facilmente a seconda della mansione che esercitavano. Andavano dall’esageratamente elegante e curato, allo sciatto e indispensabile; qualcuna accettava di immolarsi al freddo indossando giacche troppo leggere, ma di stile.
Erano i primi di aprile e in quei giorni c’erano forse nove gradi a Milano. Per Giovanna il clima era fin troppo freddo e indossava una giacca pesante.
Prima di depositare la valigia in stazione, si era cambiata alla toilette, truccata lì. Portava con sé uno zaino nero con un libro, un quaderno e una penna. Aveva fatto un viaggio di dodici ore su un treno notturno nemmeno troppo pulito e l’aspettavano in un ufficio che avrebbe raggiunto cercando la metropolitana giusta, la strada giusta e poi il palazzo, l’ingresso giusto.
In realtà era ancora presto. Aveva appuntamento alle nove e trenta e si fermò a pensare sul da farsi: arrivare molto in anticipo o fare prima una passeggiata facendo attenzione a non tardare? Decise di fermarsi a fare colazione, benché avesse meditato troppo tardi che si era cambiata di già e avrebbe rischiato di sporcarsi e fare brutta figura al colloquio. Poi, certo, c’era da avvisare sua madre che era arrivata sana e salva. Avrebbe sorvolato sul fatto che aveva chiacchierato a lungo in treno con dei ragazzi saliti a Roma che tornavano a Milano per lavoro. Un po’ l’avevano guardata come un’aliena. Per un colloquio di lavoro sarebbe stato meglio prendere un aereo, non un treno notturno. Ma poi erano stati simpatici quando avevano scoperto, ridendo, che, nonostante la sua laurea in fisica, avrebbe accettato un lavoro in una società di revisione contabile.
«Ma’, tutto bene, sono arrivata. Sì, sarò puntuale. Non ti preoccupare. Sì, poi ti faccio sapere. No, Maria non l’ho ancora sentita, la chiamerò dopo, adesso sarà al lavoro. Sì, sto attenta, non ti preoccupare. Ci sono già venuta, lo so dove andare…! Ti saluto, dai, se no faccio tardi e poi pare brutto.»
SCENA I
“C’è da rimettere a posto il vino, i bicchieri, il pigiama, il cappello. Non devo dimenticarmi di farlo perché io di Sonia non mi fido. È una ragazzina, non ha ancora chiaro in testa dove si trovi, e potrebbe ficcarmi nei guai in qualsiasi momento. Accidenti! Mi sono scordata di riparare la giacca del pigiama. Dove lo trovo ago e filo qui, in questo trambusto? Accidenti! Non so perché perdano tempo per pranzare fuori, come se avessimo il giorno intero per preparare tutto. Mi porterò avanti, non posso stare ad aspettare i loro comodi. Non fosse per questo mal di testa… Come una specie di cantilena. De-testo i mal-di-testa. Io de-testo i mal-di-teeeeeeeeeeesta!”
Flò tirò un lungo sospiro e si lanciò a rimettere a posto gli oggetti di scena. Mancava poco tempo allo spettacolo, ma, come sempre, avrebbe preteso almeno di fare una prova delle scene venute
peggio la sera prima. Il resto della compagnia si era defilata prima che lei potesse avanzare la richiesta.
Erano ormai le sei del pomeriggio e la sala era ancora vuota. Un vago odore stantio di popcorn si spandeva dal fondo della sala al proscenio. Detestava i cinema-teatro benché in provincia restassero
l’ultimo baluardo di una cultura teatrale moribonda. Nonostante il malumore, Flò si prese cura di seguire i suoi soliti rituali e, una volta messi a posto gli oggetti di scena, sedette sul proscenio, con le
gambe penzoloni a guardare il mare calmo e silenzioso delle poltrone vuote, a sbirciare da lontano i foglietti appicciati sul mixer luci poco discosto, i quali riportavano gli appunti del tecnico per ciascun
quadro. E pensava che un giorno sarebbe stato bello vedere lo spettacolo da lì, manovrando leve e pulsanti per dare inizio alla magia.
Si sarebbe dovuta rompere una gamba.
Se fosse capitato magari sarebbe stata là, al mixer luci per davvero.

Come è nata l’idea di questo libro?
Si tratta della naturale conseguenza della mia prima pubblicazione. I personaggi sono gli stessi del mio primo romanzo, ma questa volta rivisti vent’anni dopo, con le complicazioni della vita di chi ha già fatto scelte importanti per la propria vita. Si è trattato di far confrontare i miei personaggi con situazioni molto più complesse e per me molto interessanti da approfondire.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Posso dire che si è in parte scritto da sé. Avevo abbastanza chiaro che volessi proporre un romanzo assai diverso dal primo, più elaborato, intenso, in grado di mettere il lettore a confronto con un viaggio specialissimo nelle vicende dei personaggi e in se stesso. Credo che la mediazione artistica che passi attraverso la dimensione più interiore e arcana di sé, in un’epoca gelidamente “tecnocratica” e orientata alle “perfomance”, sia necessaria.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Molteplici, ma senza dubbio, per questo lavoro ho avuto a riferimento D.H. Lawrence e Virginia Woolf, per la loro speciale dedizione al racconto umano e psicologico dei loro personaggi.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo tra Milano e la provincia di Pavia. Ho vissuto in Campania, da cui proviene la mia famiglia. Credo, tuttavia, di essere come quelle piante con radici aeree, piuttosto vaste e disseminate in spazi molto ampi e molto distanti dalla terra.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Credo di voler approfondire meglio degli aspetti sociali che mi stanno a cuore, cercando di trovare un linguaggio diverso per proporre dei temi che descrivano a fondo lo stato non sempre semplice ed edificante di molte cose del nostro vivere comune. Poi, ho sempre a cuore un progetto di un romanzo per ragazzi che spero di portare presto a termine.
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