Edito da Morphema nel 2018 • Pagine: 296 • Compra su Amazon
La storia tedesca a partire dall’11 novembre 1918 - giorno della firma dell’armistizio che pone fine alla prima guerra mondiale - fa da sfondo alla vicenda umana e sentimentale dei protagonisti: Jürgen e Sara, due giovani originari della Baviera dei quali l’autore narra la storia dagli anni dell’infanzia, nel primo dopoguerra agli anni ’80. I due protagonisti verranno coinvolti nei drammatici eventi che si verificarono in Germania dopo la sconfitta nella Grande Guerra. Jürgen tipico rappresentante della nobiltà tedesca e della razza ariana, Sara di origine ebraica appartenente ad una famiglia amata e rispettata da tutti. Le loro vite saranno profondamente segnate dall’ascesa al potere e dalla politica di Hitler, in particolare, dalle leggi razziali ed antisemite di cui Sara diventerà una delle tante vittime. Jürgen, invece, inizialmente convinto sostenitore delle idee del nazionalsocialismo di Hitler e della necessità della rivincita del popolo tedesco, arriverà, attraverso un difficile percorso interiore fatto di dubbi ed incertezze, ad una decisa e convinta presa di coscienza degli orrori della politica del Reich fino alla epifania finale che lo porterà ad un sofferto ripensamento critico delle sue convinzioni e delle sue azioni da colonnello delle S. S. accettando con dignità e autentico desiderio di riscatto di pagare per le sue colpe e i per suoi errori. Sara, la protagonista femminile, rimarrà sempre salda nelle sue convinzioni antinaziste e tra i due sarà lei a dimostrare maggiore forza e fiducia nel futuro; resterà accanto a Jürgen con coraggio e con un amore che sa capire e perdonare senza mai dimenticare un passato in cui hanno rischiato di perdersi e, soprattutto, sono stati testimoni degli orrori e della violenza che gli uomini possono fare ad altri uomini. Tutti i più grandi avvenimento storici della prima metà del ‘900 fanno da sfondo a questa storia: dalla firma della resa tedesca nel 1918 alla crisi del ‘29; dai primi anni del movimento nazista alla presa del potere nel gennaio del 1933. Dalla “notte dei lunghi coltelli” a quella dei “cristalli”; dai tentativi di assassinare Hitler fino alla disfatta finale, passando attraverso la Conferenza di Wannsee e l’assassinio di Heydrich, ogni episodio, raccontato con precisione storica, vede partecipi a vario titolo i protagonisti del romanzo, in un’avvincente narrazione che si concluderà solo a metà degli anni ‘80.
Dicembre 1943
Per quanto si sforzasse, quelle orribili macchie gialle non ne volevano sapere di sparire dalla vasca da bagno.
Sara le aveva provate tutte, arrivando anche ad inginocchiarsi dentro la vasca stessa per avere più forza nelle braccia e provare, così, a raschiare via ancora meglio quelle tracce di calcare, ma niente: anche se un po’ più sbiadite, quelle restavano lì, incuranti degli sforzi della donna.
“Non ti preoccupare. Quelle macchie sono lì da anni e credo ci resteranno per molto tempo ancora; ci sono abituato oramai.
Bisognerebbe cambiare quel rubinetto che sgocciola ma nonostante tutte le richieste che ho inoltrato al comando generale, nessuno si è mai preoccupato di inviarmene uno nuovo. Siamo dimenticati non solo da Dio, in questo sperduto angolo del mondo, ma anche dagli uomini!”
Non aveva bisogno di voltarsi per capire chi fosse colui che parlava dietro di lei: Sara avrebbe riconosciuto quella voce tra migliaia di altre.
Jürgen se ne stava lì, appoggiato con la spalla destra allo stipite della porta, fissandola.
“Ho già pulito tutta la casa mein komandant, volevo impiegare il tempo che mi rimane per togliere queste macchie; sono veramente ostinate ma le assicuro che ci riuscirò!”
In piedi dentro la vasca da bagno, irrigidita in un atteggiamento marziale che la faceva somigliare ad un perfetto soldato – che però al posto del fucile teneva in mano una spazzola intrisa di sapone – la sua vista provocò il sorriso del giovane ufficiale.
“Non dubito che ci riuscirai anzi, ne sono certo. Del resto sei sempre stata molto caparbia, a volte anche testarda. Ma è una delle qualità che ho sempre apprezzato in te”.
A quelle parole, Sara si sentì mancare le gambe. La testa le girava vorticosamente e, se non si fosse appoggiata a quelle orribili piastrelle verdi che ricoprivano il muro, di certo sarebbe finita lunga distesa a terra.
L’aveva riconosciuta! Lui non l’aveva dimenticata proprio come lei, in cuor suo, aveva sempre sperato. Ma non erano soltanto le parole a farle girare la testa. C’era il suo sguardo, così intenso, profondo, magnetico, uno sguardo difficile da sfuggire e lei, di sfuggirgli, non aveva proprio alcuna intenzione.
“Allora…tu mi hai riconosciuta?”
L’uomo si voltò, uscendo dalla stanza.
“Vieni, andiamo di là, non vorrai mica continuare a parlare stando in piedi nella vasca da bagno, no?”
La sala da pranzo, utilizzata anche come studio privato, era immersa nella penombra. Le pesanti tende di velluto rosso erano state chiuse da Sara subito dopo aver terminato la pulizia del locale, per impedire al sole – che quel giorno splendeva come in una giornata estiva – di entrare nella stanza, cosa che Jürgen detestava; lei lo sapeva ed allora si era affrettata a chiuderle nonostante le perplessità dell’Obersturmführer Brienner, contrario a quella decisione.
“Credevi che non ti avessi riconosciuta? Come hai potuto pensare una cosa simile? Sapevo che saresti arrivata con quel carico di prigionieri, avevo letto il tuo nome sulla lista che ci era stata inviata dall’ufficio della Gestapo del Generalbezirk di Minsk.
È per questo che l’altra sera ero alla stazione quando il treno è arrivato; di solito lascio questo compito ai miei collaboratori, specialmente quando i carichi arrivano di notte, ma l’altra sera ho voluto esserci, proprio per vederti anzi, per rivederti”.
Sara non sapeva cosa dire, quelle parole la stavano letteralmente tramortendo: chi era quell’uomo seduto davanti a lei? Era lo Jürgen tenero ed affettuoso di Berchtesgaden o l’ufficiale freddo e spietato che due sere prima aveva assistito alla bestiale esecuzione di quel povero bambino sul marciapiede della stazione senza muovere un dito? Era lo Jürgen che lei amava così tanto o il carnefice che il mattino precedente aveva segnato con il suo frustino il volto della donna ucraina colpevole solo di non parlare tedesco?
Tutte queste domande si accavallavano nella mente della giovane, in maniera così caotica e confusa da lasciarla stordita, quasi come un pugile che abbia appena subito un gancio così potente da farlo vacillare.
Jürgen sembrò accorgersi di tutto questo.
“Anche tu ti stai chiedendo chi sono io, con quale Jürgen hai a che fare?”
“Perché, chi altri se lo chiede?” rispose lei, curiosa di scoprire chi – oltre a lei – avesse dubbi sulla vera natura di quell’uomo.
“Me lo chiedo io, Sara. Ogni giorno, ogni mattina, quando mi guardo allo specchio, mi chiedo chi sono veramente. Lo Jürgen di qualche anno fa è definitivamente scomparso, sostituito da quello di oggi? Oppure quello di oggi è soltanto una controfigura, entrata in scena temporaneamente e destinata a breve a lasciare di nuovo il posto all’attore principale?”
“E, dimmi, hai trovato una risposta a questa domanda?”
L’uomo abbassò lo sguardo, fissando un punto indefinito a metà strada tra la finestra che dava sul piazzale del campo di concentramento e il quadro del Führer appeso alla parete.
“Non è facile Sara, credimi. Non è facile trovare una risposta, forse perché non ce n’è solo una, bensì tante, o forse perché mi fa paura cercarla.
Quando mi arruolai – e tu lo sai bene – intendevo servire la Patria, volevo diventare un fedele servitore della Germania e del Reich. Credevo in quello che stavo facendo ma, soprattutto, credevo in quell’uomo là” disse, indicando il ritratto di Adolf Hitler.
Il silenzio di Sara era solo un invito a proseguire.
“Scelsi le SS perché credevo veramente che fosse l’unico corpo militare in grado di offrirmi tutto questo e anche perché non volevo seguire la strada di mio padre: la Wehrmacht non faceva per me, era qualcosa di vecchio, di superato. Le SS erano il futuro della Germania, questo pensavo”.
“Come hai potuto pensarlo? Come hai potuto non vedere quello che era già sotto gli occhi di tutti?”
“Questa, forse, è stata la mia colpa più grande: far finta di non vedere, di non capire. Poi è subentrata la gloria, il prestigio del grado, i privilegi della posizione raggiunta. È stato come salire una scala senza fine, in cima alla quale sai di poter trovare tutto ciò che un uomo desidera: fama, ricchezza, lusso, potenza, fino ad arrivare anche alla possibilità di decidere della morte e della vita degli esseri umani. Ecco, in cima a quella scala che continui a salire ti viene prospettata la possibilità di diventare come Dio, dare la vita o la morte alle persone, una prospettiva che abbaglierebbe chiunque”.
“Ma tu non stavi salendo la scala che poteva regalarti tutto questo, bensì stavi lentamente scendendo quella verso l’inferno! Perché non ti sei fermato quando hai preso coscienza di tutto ciò?”
“Perché non mi sono fermato? Perché non è facile fermarsi, anzi, è quasi impossibile. C’è il giuramento fatto, che per un soldato è sacro; c’è il fatto di credere fermamente in un ideale che è quello per il quale hai combattuto, per il quale hai scelto questa carriera. L’ideale di una nazione più giusta, più forte, migliore, libera dai traditori, una Germania finalmente grande. E c’è la speranza che tutto questo possa avvenire grazie al tuo lavoro, al tuo impegno, anche a costo di sacrifici, vittime, sofferenze. Ogni guerra che si combatte reclama le sue vittime. E anche se questa che stiamo combattendo è una guerra strana, è comunque una guerra che deve essere combattuta contro i nemici della Germania, interni ed esterni. È per questo che è difficile fermarsi, perché in fondo, si ha la convinzione di lottare per qualcosa di giusto, per un ideale ed un bene superiore alle convinzioni dei singoli”.
“Come puoi dire questo? Tutte queste vittime innocenti, tenute qui, segregate, marchiate, trattate come delle bestie: guarda qui – disse, scoprendosi il braccio sinistro – questo numero è il mio nome adesso! Non sono più Sara, adesso sono la prigioniera 22316. E i bambini poi? Separati dalle madri, uccisi, ridotti a larve. Quale ideale, quale bene superiore può giustificare tutto questo? Sai dirmelo, Jürgen?”
Non era cambiata affatto Sara. La sua capacità di analizzare le cose, la sua passione nel difendere quello in cui credeva, la sua estrema ed acuta intelligenza, avevano sempre colpito Jürgen, facendolo innamorare a livello mentale, prima ancora che fisico.
“I nemici interni andavano allontanati dalla Germania, questa era la prima cosa da fare se si voleva risollevare il Paese. Sono stati loro la causa della sconfitta, dell’ignominia del novembre del 1918. Andavano spazzati via, per evitare che si ripetesse tutto, che la Germania fosse nuovamente pugnalata alle spalle. Questa è la prima cosa che ci è stata insegnata alla scuola ufficiali delle SS, ed io resto convinto che sia la verità, che quest’opera di pulizia fosse doverosa, oltre che necessaria”.
“Ma…?”
“Ma cosa?”
“C’è un seguito nel tuo ragionamento: anche se non l’hai detto, sento che c’è.”
“Hai ragione Sara, un seguito c’è. Ero convinto – e lo sono ancora – che i nemici dovessero essere allontanati; ma allontanare non significa sterminare, annientare, trucidare. Vedi, prima di arrivare qui, circa un anno fa, non avevo mai messo piede in un lager; ne conoscevo l’esistenza e avevo visto dall’esterno quello di Treblinka ma non avevo mai varcato la soglia d’ingresso. Certo, sapevo cosa avveniva dentro, cosa ne era dei prigionieri ma, ti assicuro, un conto è sapere che certe cose accadono, un altro è viverle in prima persona. Essere coscienti che in quei cubi che spacciamo per docce vengono gasate migliaia di persone non ti lascia indifferente ma quando senti la puzza dei loro cadaveri bruciati nei forni…Dio mio, quel tanfo nauseante, dolciastro, che entra nelle narici e si fissa lì, per giorni interi, che alla notte ti svegli e lo senti ancora come se stessero bruciando in quel momento…”.
Jürgen non riuscì a finire la frase; l’Obersturmführer Brienner era appena entrato in casa e la sorpresa che l’aveva colto nel vedere il suo superiore e quell’ebrea seduti allo stesso tavolo intenti a chiacchierare come due amici qualsiasi, si era palesata quando la sua mano destra era rimasta schiacciata nella porta d’ingresso che si era richiusa alle spalle. L’addestramento ricevuto unito ad una buona dose di autocontrollo gli avevano impedito di lanciare un urlo terrificante ma non poterono impedire al volto di diventare paonazzo fin quasi a confondersi con le pesanti tende della sala.
“Hauptsturmführer, è in arrivo il carico che aspettavamo da Oranienburg. Mi aveva chiesto di avvertirla quando sarebbe stato nei pressi del campo. Vuole essere presente allo smistamento oppure…”.
“Grazie Brinner, faccia pure lei, mi sostituisca come sempre. Mi raccomando, siate accurati nella registrazione dei detenuti e nel loro smistamento. Mi fido di lei!”
“Jawhol, Herr Komandant. Heil Hitler”.
Per tutto quel breve colloquio l’Obersturmführer – pur continuando a mantenere un portamento marziale degno dei migliori ufficiali – non era riuscito a distogliere lo sguardo da quella scena che, ai suoi occhi, doveva evidentemente apparire innaturale, se non addirittura scandalosa. Come poteva un Hauptsturmführer delle SS sedere allo stesso tavolo con un’ebrea e parlare con lei come se si trattasse della cosa più naturale di questo mondo?
Quell’ufficiale era lì per dirigere un campo di sterminio, un luogo dove gli ebrei dovevano essere ammazzati, non certo trattati alla stessa stregua di un qualsiasi ariano.
Questo era quello che pensava in quel momento Sara che aveva appena riacquistato un po’di tranquillità dopo il panico che l’aveva assalita pochi istanti prima.
“Sei preoccupata?”
“Tu non lo sei? Hai visto come ci ha guardati? Cosa accadrà ora?”
“Cosa accadrà? Nulla, stai tranquilla. Non accadrà nulla, mi fido di lui come di un fratello”.
“Ti fidi di lui? Come puoi farlo? Come fai ad essere certo che non ti tradirà? Anzi, che non ci tradirà? La Gestapo ha agenti dappertutto, in Germania si dice che anche i bambini siano al soldo di Himmler e Kaltenbrunner, che ci si possa fidare solo di se stessi e tu ti fidi di quell’uomo? Perché?”
“Perché? Semplicemente perché non è solo la Gestapo ad avere uomini infiltrati un po’ ovunque ma anche l’Abwehr e si dà il caso che “quell’uomo” – come lo chiami tu – sia un agente del servizio segreto diretto dall’Ammiraglio Canaris. E anche io lo sono, ecco perché mi fido di lui. E – come vedi – mi fido anche di te visto che ti ho appena rivelato i nomi di due spie, di due complottisti, come li chiamerebbe il nostro caro dottor Goebbels”.
Jürgen aveva parlato con la massima naturalezza – quasi stesse raccontando una storia che non lo riguardasse – con la tranquillità di un uomo che non aveva paura delle scelte fatte né delle conseguenze che queste potevano portare. Aveva condiviso con Sara un segreto importante e delicato, fidandosi di quella ragazza che non vedeva da tempo ma per la quale – e proprio questa ne era la riprova – nutriva ancora un sentimento talmente grande e profondo da affidargli una confessione in grado di mettere in pericolo la sua stessa vita.
Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea è nata dalla volontà di raccontare la storia di quei drammatici anni che hanno caratterizzato la storia tedesca ma non solo, attraverso la storia d’amore di due giovani che, a causa delle leggi razziali varate dai nazisti, vedono la loro vita cambiare radicalmente da un giorno all’altro.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
La difficoltà maggiore è stata dovuta solo al tempo a disposizione per scrivere. Non essendo uno scrittore di professione, per forza di cose dedico a questa mia passione il tempo che riesco a ritagliarmi durante la giornata; tra il lavoro e la famiglia, però, a volte ne resta veramente poco per cui, inevitabilmente, i tempi di scrittura e pubblicazione si allungano.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Da appassionato di storia mi piace leggere dei saggi ma anche delle biografie di personaggi storici. Il mio punto di riferimento vero, però, sia per quanto riguarda la scrittura che lo svolgimento delle presentazioni del libro è un personaggio che, negli ultimi tempi, è diventato una sorta di celebrità: Alessandro Barbero, il noto storico che, al tempo stesso però, è anche un grande scrittore.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Io sono nato a Terni, in Umbria, dove vivo ancora oggi. E’ una città con un importante passato industriale che, ahimé, negli ultimi anni risente enormemente della crisi economica e produttiva che interessa tutto il Paese. E’ la città di San Valentino, il patrono degli innamorati, oltre che della Cascata delle Marmore, la più alta d’Europa.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sto ultimando il mio quarto libro, anche questo un romanzo storico ambientato in Italia durante la prima guerra mondiale. Racconterà la storia di due giovani soldati ma sarà una storia, diciamo così, molto particolare!
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