Con grande piacere pubblichiamo uno dei racconti che compone il Vocabolario minimo delle parole inventate, il bel volume a cura di Luca Marinelli edito da Wojtek nel 2019. Il racconto firmato da Andrea Zandomeneghi (autore di Il giorno della nutria per Tunuè) si intitola (ed è dedicato al termine) Queleticismo. [Read more…]
Il re dei morti di Jeffery Deaver: trama e dati del libro
Riassunto della trama di Il re dei morti di Jeffery Deaver e anteprima dall'incipit del romanzo
Un uomo viene ucciso in un vicolo di Manhattan e l’unico testimone è il figlio di otto anni. La vittima è un corriere con solide amicizie nelle gang di New York. Che cosa stava trasportando? Per chi lavorava? E soprattutto: possibile che al ritrovamento del cadavere il furgone fosse vuoto? Sono questi i primi interrogativi ai quali Amelia Sachs e Lincoln Rhyme devono rispondere. Ma quando si ritrovano davanti una scena del crimine con centinaia di reperti da analizzare, Rhyme capisce di dover attingere a tutta la sua sagacia per scovare, in mezzo a quel caos, gli indizi che lo condurranno all’assassino. Per Sachs, intanto, diventa essenziale proteggere il bambino da chi vuole farlo tacere per sempre. Come se la caveranno i due tra genitori affidatari, false testimonianze e piste ingannevoli? La posta in gioco è alta e il Re dei Morti aspetta solo di essere incoronato.
Il re dei morti: un estratto dal libro
«Che mi dici, Sachs? Com’era la scena? Complicata? Difficile? Impossibile?»
Lincoln Rhyme allontanò la sedia a rotelle dal computer, dove stava leggendo un’e-mail, e andò verso la soglia del salotto.
Amelia Sachs entrava in quel momento nel salotto-laboratorio di Central Park West. Depositò sul tavolo per le prove la cassetta grigia che portava e poi si tolse il giubbotto tattico nero. Era in jeans e maglietta – bianco sporco quel giorno – il tipico abbigliamento che indossava sotto la tuta di Tyvek quando percorreva la griglia sulla scena di un crimine. Il suo bel viso, il viso di ex modella, si sciolse in un sorriso. «La scena? Impegnativa, diciamo. Sei di buon umore.»
«Già. È parecchio disorientante» rispose l’assistente di Rhyme, seguendo Sachs nella stanza. Thom Reston, un giovane magro, era impeccabile in pantaloni italiani grigio scuro e camicia color talpa. Rhyme era tetraplegico, la colonna vertebrale danneggiata a livello C4, e quasi del tutto paralizzato dal collo in giù. Di conseguenza, e prevedibilmente, era soggetto a sbalzi d’umore che potevano essere alquanto drastici. (Certo, anche prima dell’incidente che lo aveva reso disabile, quando era capo della Scientifica del NYPD, oscillava spesso tra il burbero e l’insopportabile, per sua stessa ammissione.) Thom si trovava nella posizione giusta per esprimere un’opinione in merito: dopo anni di cure, conosceva piuttosto bene il carico emotivo del suo assistito, proprio come la metà di una vecchia coppia conosce d’istinto l’altra.
«I miei stati d’animo non sono rilevanti. Perché dovrebbero?» Aveva lo sguardo sulla cassa, che conteneva le prove della complicata, difficile e, se non impossibile, quantomeno impegnativa scena del delitto che Sachs aveva appena analizzato a Manhattan.
Sachs parve divertita dalla fiacca negazione. «Il caso Baxter?» chiese.
«Se fossi di buon umore, e ribadisco che è irrilevante, quello potrebbe essere un motivo.»
Il procedimento Baxter era stato particolarmente difficile, unico per Rhyme; non ricordava di aver gestito un altro crimine da colletto bianco durante i suoi anni come detective del NYPD o, più di recente, come consulente della Scientifica. Baxter, abitante dell’Upper East Side/Long Island, era stato accusato di una truffa milionaria ai danni di gente del suo ambiente (in realtà le vittime provenivano da tutta l’area metropolitana di New York, ma avevano tutte quante lo stesso pedigree). Molti di essi probabilmente potevano permettersi di perdere denaro, ma uno non può appropriarsi di ciò che appartiene agli altri, quali che siano le sue tendenze socialiste o ciò che pensa della disparità di reddito. L’ex agente di Borsa aveva escogitato geniali truffe finanziarie, continuando indisturbato per anni. Ma un’assistente procuratore distrettuale aveva scoperto la cosa e chiesto a Rhyme di aiutarla con l’aspetto probatorio del caso. Lui aveva dovuto impiegare tutte le sue doti forensi per identificare le tracce del denaro, i siti di deposito, remote località da cui venivano fatte chiamate da telefoni pubblici o linee fisse, incontri in ristoranti, bar e parchi, presenza fisica su jet privati, documenti rilevanti e oggetti d’arte acquistati con denaro rubato.
Rhyme era riuscito a mettere insieme abbastanza prove per una condanna per frode telematica, furto e altri crimini finanziari ma, non soddisfatto, aveva continuato a scavare… scoprendo che Baxter era più pericoloso di quanto sembrasse. Aveva trovato le prove della sua partecipazione ad almeno una sparatoria e scoperto una pistola nascosta in un magazzino in affitto. I detective e il procuratore distrettuale non erano riusciti a trovare vittime fisiche; si era ipotizzato che si fosse limitato a intimidire un povero bersaglio con un paio di colpi ben piazzati di una 45. La mancanza di una vittima crivellata di colpi, tuttavia, era irrilevante: il possesso di una pistola senza porto d’armi era un reato grave. Il procuratore distrettuale aveva aggiunto l’accusa e, proprio quel giorno, la giuria aveva emesso un verdetto di colpevolezza su tutti i fronti.
Lincoln Rhyme viveva per la sfida del lavoro forense e una volta che il suo contributo a un caso era finito, perdeva interesse. Quel giorno, però, il procuratore distrettuale gli aveva mandato un’e-mail relativa al verdetto con una nota in calce: una delle vittime a cui Baxter aveva sottratto i risparmi aveva ringraziato in lacrime il procuratore e «tutti quelli che avevano contribuito al processo». Il verdetto di colpevolezza significava che le sarebbe stato molto più facile fare causa a Baxter per recuperare una parte dei fondi rubati. Avrebbe potuto mandare al college i nipoti, dopotutto.
Rhyme considerava il sentimentalismo come forse la meno utile delle emozioni, eppure era contento del suo contributo a Il Popolo contro Baxter. Ecco spiegato il buon umore.
Ma Baxter stava per entrare nel sistema, il ruolo di Rhyme era concluso e, perciò, tempo di rimettersi all’opera. Chiese ancora della scena del delitto che Sachs aveva analizzato a Manhattan.
«La vittima era il trentottenne Eduardo “Echi” Rinaldo…
ACQUISTALO CON IL 15% DI SCONTO LEGGI RECENSIONI SU AMAZONJohn Dennett: il primo autore anglofono della casa editrice Bonfirraro
Musica, storia e scrittura: tutto l’immaginario dello scrittore neozelandese
«Sono solitamente una persona felice, ma quando arriva la malinconia cerco di seguire i consigli delle buone e vecchie canzoni, immergendomi completamente in essa fino a quando non passa, invece di resisterle!»
John Dennett, nato in Nuova Zelanda, è uno scrittore cosmopolita con tante cose da raccontare e un immaginario colto e ricchissimo, di cui il suo primo romanzo si nutre.
Entrato a far parte della grande “officina culturale” Bonfirraro, affermato editore italiano, in vista di una nuova e attesissima pubblicazione, prevista per il prossimo Natale, di cui non si svela ancora il titolo, ma che – partendo da una tematica estremamente attuale com’è la fantomatica “guerra di religione” – promette già di far parlare di sé a lungo.
Dopo aver viaggiato per molti anni ed esercitato il mestiere di avvocato a Edimburgo e ad Abu Dhabi, Dennett si è stabilmente trasferito a Kirkcaldy in Scozia, un’antica città di pietra in riva al mare sulla famosa Firth of Forth. È qui che abita con la moglie Simone, i suoi tre figli Isabella, Gabrielle e Morgan con i quali, spesso, ama seguire le partite della sua squadra di rugby. È qui che si diletta in cucina – predilige, manco a dirlo, il cibo e il vino italiano – ed è qui che coltiva le sue più grandi passioni, dalla musica (il blues e il rock lo ispirano spesso) all’archeologia.
Proprio le grandi rovine dell’antica città di Roma hanno contribuito a creare in lui un universo letterario complesso e ricercato, che ha trovato spazio per intero nel suo nuovo romanzo: «A volte è difficile – confessa lo scrittore – ma è gratificante ottenere idee che sembrano venire dal nulla e trasporle in una forma coerente su carta: è così che i personaggi della mia immaginazione prendono vita».
«Con John è stata subito intesa! Ho creduto nel suo libro per l’originalità utilizzata nel racconto della nostra attualità più stringente – dichiara soddisfatto l’editore Salvo Bonfirraro, che con questa scelta sopraffina si riconferma valente talent scout anche in campo internazionale – Con lui inauguriamo l’apertura al mondo anglosassone, gettando le basi per consolidare la vocazione internazionale della nostra casa editrice. Ci sono valori imprescindibili e universalmente riconosciuti, che vanno al di là dei confini dei popoli e delle nazioni. Sono questi che ricerchiamo strenuamente»!
«Credo sia stato il destino a farmi incontrare un così autorevole editore italiano, il primo tra tanti ad aver espresso un interesse e vedere del merito nella mia storia – controbatte il writer – Sono stato in Sicilia per due volte e il mio racconto in gran parte ambientato nel sud della penisola. Spero che i lettori italiani possano apprezzarlo»!
C’è un entusiasmo contagioso a sentire entrambi, ma quando si chiede loro qualche anticipazione si trova un po’ di resistenza. «Per adesso nessuno spoiler – afferma l’autore – Posso soltanto dire che spesso mi ritrovo a pensare alle domande più grandi, perché siamo qui, in questo mondo, ciò che sta al di là, l’inutilità di molte cose e la nostra disumanità nei confronti degli altri, il nostro innaturale egoismo, caratteristiche insensatamente cattive che ci accompagnano in un percorso di distruzione dell’uomo e dell’ambiente. Gli eventi in Siria, poi, mi hanno portato a fare una seria riflessione sulla complessità del reale e mi sono buttato a scrivere febbrilmente: per me raccontare storie in un linguaggio semplice e accessibile a tutti è diventata, forse, una giustificazione, il modo in cui posso aiutare la gente a esprimere cosa pensa e magari contribuire a cambiare un po’ i nostri modi… non so! È almeno per me certamente una buona terapia»!
John, le piace l’Italia?
«Scherza? Io la amo!»
Tutti i segreti dell’antica cucina siciliana nel nuovo libro di Marco Blanco
Svelate finalmente le ricette dell’arancinu dei Benedettini di Catania e quella della frutta “Martorana” delle monache di Palermo
“Arancino” o “arancina”? Tutti, tra Catania e Palermo, ma anche tra gli altri livelli dell’Accademia della Crusca, si sono scomodati a cercare il genere di questa appetitosa specialità culinaria tipicamente siciliana, in un derby degno più di un campo di calcio che di una tavola ben imbandita!
Eppure non tutti sanno che la buonissima polpettina di riso panata all’inizio della sua onorata carriera in cucina nasce dolce, e solo dopo diventa salata! Il grande mistero culinario, così come molti altri, è contenuto nel libro “I quaderni di Archestrato Calcentero – Divagazioni gastronomiche in terra di Sicilia”, edito da Bonfirraro, da oggi in tutte le migliori librerie d’Italia e negli store online.
La scoperta è del giovane ricercatore Marco Blanco, noto libraio di Modica, nel ragusano, autore del saggio, che ha rovistato per anni in polverosi archivi settecenteschi, iniziando da quel laboratorio architettonico che è proprio il Monastero dei Benedettini di Catania, sede del Dipartimento degli Studi Umanistiche, luogo della sua formazione universitaria, essendosi Blanco laureato in Lettere Classiche.
È così che si dipanano e si sciolgono via via tutti i misteri di una bellissima Sicilia culinaria a cavallo tra ‘700 e ‘800, dall’arancinu, o meglio “piccole arance dorate”, il cibo preferito dei Benedetti di Catania – descritti ne “I Vicerè” di De Roberto come i monaci dediti all’arte di Michelasso: mangiare, bere e andare spasso – alla frutta delle monache “Martorana” di Palermo, la cui ricetta è rimasta segreta per tantissimo tempo.
Ma quante altre chicche gastonomiche si trovano in questo prezioso saggio? Non poteva mancare il focus sul cioccolato di Modica, antica prelibatezza della dolceria siciliana: Blanco, che mette tutta la sua sapienza del buon mangiare, scopre che la particolare consistenza granulosa determinata dalla lavorazione a freddo era, infatti, una caratteristica comune a ogni cioccolato esistente al mondo almeno fino alla metà dell’Ottocento. Adesso è, invece, noto come prodotto “tipico” della città iblea, massima espressione dell’Antica Dolceria Bonajuto, grazie all’intuizione di Franco e Pierpaolo Ruta.
«Consultando i libri di conti dei conventi leggevo un numero infinito di elenchi bizzarri, conti e spese, cibi e vivande e ho pensato: cosa conosciamo noi delle abitudini alimentari del passato in Sicilia? Cosa conosciamo davvero, al di là delle storielle mai verificate e del folclore?» si è chiesto l’autore.
Un volume originale e assolutamente inedito nel panorama editoriale italiano, dunque, che – forte di una significativa copertina che rinvia ai succulenti ricettari di un tempo – si arricchisce della prefazione di Giancarlo Poidomani, docente di Storia Moderna presso la Facoltà di Scienze Politiche di Catania e di un mémoire prestigioso nato a quattro mani dalla nobile firma di Simonetta Agnello Hornby, grande affabulatrice di storie siciliane, e dal noto giornalista e comunicatore enogastronomico Carlo Ottaviano.
Ma chi è il personaggio che ha ispirato Blanco sin dal titolo? «Archestrato Calcentero è un gioco di parole – confessa lo studioso – un vezzo da classicista che non ama prendersi sul serio. Archestrato, siciliano, scrisse nel IV a. C. quella che può essere considerata, con un po’ di fantasia, come la prima guida gastronomica che la storia ci abbia tramandato. È un personaggio che mi ha sempre affascinato, un uomo che utilizzava il verso del poema epico per raccontare il cibo! Calcentero invece è uno scherzo… Poiché in greco calcentero, Χαλκέντερος significa più o meno “stomaco di bronzo”, ho pensato che potesse essere il soprannome più adatto per me che non mi fermo dinanzi ad alcuna pietanza».
Non ci resta che chiedere, infine, che rapporti abbia con la cucina, del presente e del passato… «Mi piace mangiare e bere bene, è innegabile, e non perdo occasione per provare sempre nuove pietanze ogni volta che se ne presenti l’occasione: in viaggio poi la ricerca di un determinato alimento, piatto, vino o distillato in genere diventa un pretesto per conoscere aspetti talora trascurati della cultura del luogo che sto visitando».
E se parlar di teoria ad un certo punto potrebbe annoiarvi un po’, potrete passare alla pratica grazie a tutte le indicazioni che giungono dal passato, contenute nel testo, e realizzare così una bella tavola di prodotti siciliani che rispettino a pieno la tradizione!