Nell’aprile del 2019 esce “Le cose che bruciano”, il quarto romanzo di Michele Serra, giornalista classe 1954, edito da Feltrinelli. Il protagonista è Attilio Campi, un politico di mezza età che ha deciso di ritirarsi dalla scena pubblica per isolarsi in montagna, per conoscersi meglio e per capire alcune questioni della vita. [Read more…]
Thoreau. Vivere una vita filosofica: recensione del libro di Michel Onfray
Caterina Di Cesare recensisce "Thoreau. Vivere una vita filosofica" (Ponte alle Grazie, 2019)
Nel 2019 esce la traduzione italiana di “Vivre une vie philosophique. Thoreau le sauvage” di Michel Onfray, pubblicato in Francia due anni prima da Le Passeur.
L’edizione italiana, edita da Ponte Alle Grazie (marchio di Salani Editore) e tradotta da Michele Zaffarano, porta il titolo “Thoreau. Vivere una vita filosofica” e priva il lettore dell’aggettivo che nell’originale connota questo intellettuale americano dell’Ottocento, ovvero appunto “selvaggio”.
E proprio sulla direttrice della selvatichezza Onfray sviluppa il discorso intorno alla biografia e al pensiero di Thoreau, filosofo naturalista vissuto nel Massachusetts tra il 1817 e il 1862.
L’intero saggio è suddiviso in 5 capitoli e l’obiettivo di Onfray è rimarcare l’attualità di un intellettuale poco conosciuto, ma con idee forti e potenti. Perché sì: Thoreau non è uno scrittore noto ai più e questo è un peccato, specialmente nella nostra società fatta da superpotenze inquinanti da una parte e piccole Greta Thunberg dall’altra.
Questo libro servirebbe molto a chi sta dalla parte della seconda; dalla parte della natura, della semplicità, della frugalità. La parte di Thoreau, appunto, che già dalla metà dell’Ottocento gridava contro il progresso, contro il consumismo, contro il proto-capitalismo, in favore della disobbedienza civile per il recupero di una “vita più vera e più pura”: “credo fermamente nella semplicità […]. Semplificate il problema della vita, distinguete il necessario e il reale”, così parla Thoreau nello scambio epistolare con Harrison G. O. Blake.
Il libro di Onfray permette uno sguardo ampio ma chiaro anche per il neofita: grazie alla sua scrittura agile e chiara, il filosofo francese fa scorrere il discorso sulle pagine con leggerezza e al contempo con serietà, proponendo interessanti spunti di riflessione e approfondimento per chi fosse interessato. Onfray propone l’esempio di Thoreau che ha vissuto una “vita filosofica”, sperando che i lettori stessi comincino a vivere sul modello dell’americano.
Nel primo capitolo, intitolato “Che cos’è un grand’uomo”, si cerca di rispondere a questa domanda con riferimenti a filosofi del XIX secolo, Hegel e Carlyle in primis, e l’autore si sposta poi su un amico di Thoreau, Ralph Waldo Emerson, e sostiene che “il grand’uomo di Emerson coincide con il filosofo capace di sperimentare l’esultanza della comunione mistica con le forze più intime del mondo” (p. 21), ovvero Thoreau stesso: “il grand’uomo serve a incarnare il modello che noi tutti dobbiamo seguire; serve a contagiare con la sua esperienza; serve a generare altri grandi uomini. In altre parole, serve ad assicurare il progresso dell’umanità.” (p. 22). Thoreau è un grand’uomo e per questo va elogiato, ricordato e preso a modello.
Nel capitolo successivo, “Un autoritratto del suo futuro”, Onfray inizia il percorso biografico di Thoreau partendo dalla sua infanzia, sottolineando il fatto che sin da giovane esprime quei tratti che saranno tipici degli anni a venire; sin da bambino infatti dimostra di preferire passeggiare tra i boschi piuttosto che stare tra i banchi di scuola, ma al contempo è fortemente appassionato della lingua latina e di quella greca, che gli permettono di leggere libri che parlano di mondi lontani e selvaggi. Onfray cita alcuni testi scolastici che lo studente Thoreau aveva compilato su tracce dettate dagli insegnanti e conclude: “Qui si scopre l’autoritratto della persona che sarà perchè già è così. Thoreau propone un doppio movimento: rifiutare i falsi valori della civiltà […] e volere i veri valori della natura.” (pp. 35-6).
Nel terzo capitolo, intitolato “Un indiano tra i cowboy” Onfray sottolinea il lato da emarginato di Thoreau sia nei confronti della società in quanto massa sia nei confronti del gruppo di intellettuali cui si rivolgeva per discutere delle sue idee. In queste pagine sentiamo la forza di Thoreau nello spiegare come sia poco utile, per esempio, un trattato di Hegel rispetto a un manuale di apicultura, e come i primitivi e i selvaggi siano superiori alla civiltà contemporanea, e di come si sentisse profondamente romantico: amante della natura incontaminata, lettore di libri che non rientrano nel canone della tradizione letteraria e ricercatore dell’ascesi interiore.
Nel capitolo successivo, dal titolo “Una capanna trascendentale”, Onfray si chiede se Thoreau sia o meno trascendentalista, partendo dalle riflessioni teoriche di Emerson ed espone l’esperimento che Thoreau stesso descrive in “Walden. Vita nel bosco”.
Solo nel capitolo finale, intitolato “Il contro-attrito che ferma la macchina” viene affrontato il lato più verde di Thoreau; Onfray qui lo definisce “un ecologista che si oppone a quella che ancora non si chiamava la società dei consumi, che si oppone alla modernizzazione, all’onnipotenza della tecnica, all’offesa recata alla natura, ai gadget della modernità, all’onnipotenza dei soldi.” (p. 77)
In questa parte finale Onfray espone alcune tematiche che Thoreau ha affrontato nelle sue numerose conferenze e sottolinea il concetto secondo il quale bisogna “disobbedire per realizzare quello che ci sembra giusto” e “vivere contro tutto quello che impedisce di vivere per sé stessi”.
Thoreau è un selvaggio, un pacifista e un individualista, che ha lottato contro il sistema con la disobbedienza civile, con il peso della cultura e con le mani sporche di terra.
Un esempio per noi oggi e ringraziamo Onfray per aver dato voce a Thoreau, con la sua particolarissima sensibilità. “Thoreau. Vivere una vita filosofica” è un libro da leggere e rileggere, da studiare e da mettere in pratica.
Recensione inviata da Caterina Di Cesare
Edito da Ponte alle Grazie nel 2019 • Pagine: 107 • Compra su Amazon
È ancora possibile distinguersi dai più e plasmare la propria vita secondo le proprie convinzioni? Si possono ignorare vie precostituite, norme sociali e religiose, giudizio degli altri, per costruire la propria esistenza in accordo con le proprie e più intime esigenze? Con i propri ideali? La risposta di Michel Onfray è in questo breve e felice libro, in cui ci presenta - e ci indica come modello - la vita e le opere di Henry David Thoreau, ecologista ante litteram, apostolo della disobbedienza civile che avrà per continuatori Tolstoj, Gandhi, Martin Luther King, e soprattutto autore del celeberrimo "Walden", ovvero "Vita nei boschi". L'esistenza dello scrittore americano, percorsa istintivamente e intimamente dal desiderio di ritrovare una «relazione originale con l'universo», di eliminare tutto il superfluo dall'esistenza - all'insegna di un individualismo del tutto opposto all'egoismo cui viene comunemente equiparato - diviene così ispirazione esistenziale ma anche politica; in Thoreau il pensiero diventò azione e creò le condizioni di una vita autenticamente filosofica. Se i grandi uomini e le personalità eccezionali sembrano essere davvero passati di moda in un'epoca di solitarie folle livorose, Onfray ci ricorda che è proprio la loro perenne inattualità a costituirne la forza, e soprattutto il valore di esempio duraturo.
Febbre: recensione del libro di Jonathan Bazzi
Gianluca Ceccato recensisce "Febbre" (Fandango Libri, 2019)
Jonathan Bazzi nel 2016 ha 31 anni, è sieropositivo, a partire dal giorno della diagnosi ci accompagna indietro nel tempo, all’origine di tante storie, nelle periferie tanto simili a certe province dove tanti sono cresciuti, i paesi dei tossici, degli operai, delle famiglie venute dal sud per lavori da poveri, dei delinquenti, dei ragazzini seguiti dagli assistenti sociali, delle case popolari tanto simili ad alveari umani, tra affitti bassi e lingue mescolate. [Read more…]
La notte passerà senza miracoli: recensione del libro di Daniele Vaienti
Rita Bompadre recensisce "La notte passerà senza miracoli" (Edizioni del Faro)
“La notte passerà senza miracoli” di Daniele Vaienti (Edizioni del Faro 2019 – Collana “Sonar. Parole e voci” diretta da Paolo Agrati) è il libro d’esordio del poeta e performer cesenate attivo nel circuito dei poetry slam e della recitazione, dettato dalla libera e smaniosa tenacia descrittiva, ritmata in un andamento sonoro che emana le sue radici nella misura tagliente e drammatica dell’umanità celebrata come “un gruppo di bambini all’angolo della strada che parlano della fine del mondo”(Jack Kerouac). [Read more…]
L’amore ai tempi del colera: recensione del libro di Marquez
Melania Massi recensisce "L'amore ai tempi del colera" (Mondadori)
Uno dei fiori all’occhiello dello scrittore e giornalista colombiano Gabriel Garcia Marquez, L’amore ai tempi del colera è un romanzo d’amore pubblicato in lingua spagnola nel 1985 ed edito in Italia da Arnoldo Mondadori Editore. L’intento dell’autore è “scrivere un romanzo del XIX secolo alla maniera del XIX secolo”, dopo aver vinto nel 1982 il premio Nobel e aver seminato nel mondo un prima ignoto interesse per la letteratura sudamericana. Cent’anni di solitudine del 1967 è stato consacrato alla fama parnassiana dal IV Congresso Internazionale della Lingua Spagnola, che l’ha ritenuto una delle opere letterarie in lingua più importanti, seconda soltanto al Don Chisciotte Di Cervantes. [Read more…]
Tu sei l’erba e la terra: recensione del libro di Antonia Pozzi
Rita Bompadre recensisce "Tu sei l'erba e la terra" (Garzanti)
“Tu sei l’erba e la terra” di Antonia Pozzi (Garzanti Editore, 2020) è una dichiarazione indistinta di solitudine sfumata nel disincanto dell’anima, appassionata e struggente, in un’unica e sconfinata poesia d’amore che la poetessa ha rivelato per tutta la sua breve vita. La nostalgia, l’arrendevole passione, la ritualità evocativa delle sue confessioni, sono il terreno propizio custodito nei versi, avvolti da un’apparente quiete di grazia e rassegnazione, assorbiti nell’essenza crepuscolare e nella dissolvenza espressionista della malinconia. Le parole, commosse ed orgogliose, sostengono la perdizione dell’assenza. [Read more…]
Nulla di ordinario su Wislawa Szymborska: recensione del libro di Michal Rusinek
Rita Bompadre recensisce "Nulla di ordinario su Wislawa Szymborska" (Adelphi)
Il libro di Michal Rusinek “Nulla di ordinario su Wislawa Szymborska” (Adelphi Edizioni, 2019) è una memorabile e privilegiata visita alla spontanea ed affabile dimora della poesia, luogo devoto dell’ispirazione e placida permanenza dello stupore e dell’immensità, nell’inattesa meraviglia di ogni appuntamento persuasivo con la vita. La vita di Wislawa Szymborska si intrattiene in un gradevole colloquio seguendo lo sguardo unico sui suoi versi, ospiti graditi che infondono viva fiducia e compiuta ammirazione. Michal Rusinek, il suo giovane segretario, insegue testimonianze e fedeltà per più di quindici anni accanto ad una fascinazione privata e muove ogni particolare curioso ed inedito, confermando la singolarità degna di memoria che nutre la biografia della poetessa.
Le parole, parole di poesia, ripercorrono attraverso l’intensa partecipazione affettiva il contenuto di un’incondizionato amore per il talento, per la capacità intellettuale non comune e rincorrono la vivace tradizione di irresistibili esperienze letterarie, sensibilizzano il desiderio di fermare nel non luogo della scrittura lo “smisurato teatro” dell’esistenza. La luminosa gioia della storia narrata aggira e cattura la sorgente avventurosa dell’animo umano, riconosce lo sguardo felice e carezzevole che si sofferma sugli aneddoti spiritosi e stravaganti legati alla poetessa, sulle sue provvisorie abitudini di traslocare, sulle sue amabili qualità nel cucinare, sulla squisita disponibilità alle cene e alle lotterie, sulla passione per i collage artistici. Le gradite atmosfere della vita quotidiana cedono alla fantasia delle immagini, alla voluta segretezza della complicità, nelle conversazioni e nei comuni interessi, nei suggerimenti letterari e nelle dichiarate risate che hanno caratterizzato il legame distintivo tra Michal Rusinek e Wislawa Szymborska.
Leggere Wislawa Szymborska è una scelta e un’opportunità elegante a mantenere il dubbio”stupefacente” per la grande compiacenza del mondo, per proteggere la propria affinità, assecondare la propria esclusività, adottare in ogni intonazione un modo di essere e di comportarsi. La dilatata imponenza del suo linguaggio, convince il rispettoso gioco delle parole con acuta ed ironica filosofia e respira nella struggente inevitabilità la profondità dell’intero ventre della poesia. L’immutato elogio della poetessa da parte di Michal Rusinek descrive un’eccentrica nostalgia dei luoghi e delle persone che accoglie l’ombra di un passato non perduto ma che esibisce la veloce, inafferrabile ostinazione della volontà a ritirarsi nell’inconfondibile senso dell’umorismo. La poetessa assorbe l’aspetto meditativo con la leggerezza raffinata, è delicatamente distante da tutto e dove “ogni parola ha un peso non c’è più nulla di ordinario e normale”. L’amicizia che ha convinto il segretario a seguirla fino alla fine ha lo stesso bisogno di solitudine che imponeva la poetessa nel momento in cui nascevano le sue poesie, per rendere universale il rituale attrattivo di ogni riservata confidenza.
Recensione inviata da Rita Bompadre – Centro di Lettura “Arturo Piatti”
Edito da Adelphi nel novembre 2019 • Pagine: 227 • Compra su Amazon
Il 3 ottobre del 1996 l’Accademia di Svezia comunica a Wisława Szymborska che le è stato assegnato il premio Nobel. Da quel momento, lei così schiva, è costantemente sollecitata: arrivano lettere, telegrammi, manoscritti, richieste e proposte spesso del tutto incongrue. Il telefono squilla anche di notte. Si impone il supporto di un segretario. Quando Michał Rusinek, neolaureato ventiquattrenne, si presenta in casa sua, la trova sgomenta. «Allora» racconta «chiesi cortesemente un paio di forbici e tagliai il cavo. Il telefono smise di squillare. La Szymborska esclamò: “Geniale!”. E fu così che venni assunto». Le resterà accanto per più di quindici anni. In questo libro – basato su ricordi di prima mano – Rusinek getta un fascio di luce su aspetti della grande poetessa rimasti finora in ombra: le sue a volte stravaganti passioni (per i limerick e per il Kentucky Fried Chicken, per Vermeer e per gli oggetti kitsch, per Woody Allen e per «Il Circolo Pickwick» – e soprattutto per le sigarette); il suo bisogno di solitudine; il modo in cui nascevano le sue poesie («Sosteneva che l’utensile più importante nella casa di un poeta fosse il cestino della cartastraccia») e quello in cui creava i suoi collage; i suoi (complessi) rapporti con l’altro grande premio Nobel polacco, Czesław Miłosz; i rituali della scrittura e quelli che precedevano qualunque spostamento. Ma inanella anche decine di aneddoti esilaranti, di battute fulminanti e di osservazioni acuminate, in cui ritroviamo l’«esprit» settecentesco, la sottile ironia e la capacità di stupirsi di una delle poetesse più fervidamente amate dai lettori di tutto il mondo.
Cagliosa: recensione del libro di Giuseppe Franza
Paolo Altavilla recensisce "Cagliosa" (Ortica editrice, 2019)
Un romanzo sul calcio delle serie inferiori e sul grigiore della periferia napoletana, dove non esiste netta distinzione tra bene e male e dove la delinquenza è un fenomeno trasversale, che tocca tutti e contagia ogni animo.
“Cagliosa” è un romanzo composto in lingua coraggiosa e incisiva, uno speziato miscuglio di napoletano antico e contemporaneo, gergo tecnico calcistico e forme da prosa letteraria. Franza è uno scrittore che ha una sua inconfondibile voce, dote preziosa nel panorama del romanzo italiano. Si distacca dalla tradizione storica partenopea, dallo stile sentimentale della celebrata Elena Ferrante e dal realismo esasperato di Saviano per raccontare le inquietudini e le illusioni della strada, tra giovani che considerano il futuro qualcosa di troppo lontano e che hanno poca coscienza del passato. I protagonisti di “Cagliosa” vivono in un presente fatto di normali paradossi e di eterni rischi. Giocano a calcio per sfogare la loro aggressività, interpretano ogni partita come una battaglia, dove tutto può succedere.
Proprio seguendo partita dopo partita il campionato di una squadra di provincia iscritta a un torneo minore si entra a contatto con la vita disordinata di personaggi dai soprannomi ridicoli e dai trascorsi spesso spaventosi. Potrebbero assomigliare ai ragazzi di vita di Pasolini, se non fosse per la fredda disperazione che anima i caratteri presenti nelle pagine di “Cagliosa”. Nella periferia napoletana raccontata da Franza non c’è spazio per la spensieratezza o per i sogni di grandezza. Anche il gioco si trasforma in un’esperienza di violenza e cattiveria, tutti si mostrano rabbiosi e cinici per non passare per vittime.
Il calcio viene raccontato come un inutile e confuso affanno, un insensato sforzo di prevaricazione su nemici apparenti. In “Cagliosa” i calciatori “giocano a far male”, non gioiscono per la vittoria ma per l’offesa inflitta all’avversario. Una metafora della vita follemente competitiva ed esagitata dei tempi attuali?
Recensione inviata da Paolo Altavilla
Edito da Ortica editrice nel 2019 • Pagine: 324 • Compra su Amazon
Giovanni detto Vangò ruba motorini per conto di un carrozziere e nel tempo libero gioca a calcio nella squadra del suo quartiere: il Rione Incis Club, formazione di dilettanti iscritta al girone C della Terza Categoria provinciale napoletana. Ventidue sono le partite del torneo, e ventidue sono i capitoli del libro, attraverso cui Giovanni misura i propri limiti e il suo abbrutimento, subendo l'inutile ferocia dei compagni di squadra, l'ottusità dell'allenatore, i vincoli di un'esistenza da schiavo. Qualcosa sembra cambiare il giorno in cui incontra una bella giornalista sportiva, la sua nuova, impossibile ossessione. Stimolato da un sentimento inedito, il ragazzo comincia a rendersi conto di dover evolvere. Ma come? Sullo sfondo, prosegue il campionato della Incis, tra risse, scorrettezze, acide rivalità, figuracce e futili rivalse. Non ci sono campioni né sportivi, e ogni personaggio rivela senza vergogna la propria deficienza morale. Ciononostante, lontani dai riflettori, su campi polverosi e invasi dall'erbaccia, Giovanni e compagni combattono per resistere alla forza centrifuga del non senso, per sopravvivere a loro stessi.
Sensitive: recensione del libro di Vivian Ley
La recensione dell'antologia di racconti pubblicata di recente da Porto Seguro Editore
La recensione di Sensitive firmata da Orlando Nortom
Sensitive di Vivian Ley è un libro che merita di raggiungere un pubblico internazionale. [Read more…]
Gli ultimi furono i primi: recensione del romanzo di Gino Rocca
Annalina Grasso recensisce "Gli ultimi furono i primi" di Gino Rocca
La prima ispirazione a scrivere il romanzo Gli ultimi furono i primi (Premio Bagutta 1931) è probabile che allo scrittore e giornalista Gino Rocca fosse venuta da una riflessione comune: Venezia città fuori dal tempo. In effetti la letteratura narrativa e poetica su Venezia, dalla fine dell’Ottocento ai primi anni nel Novecento, ha avuto il marchio delle sontuose pagine barresiane della Mort de Venise, nonché di D’Annunzio e Ruskin, i quali hanno celebrato il morboso disincanto della città lagunare che a Barrès dava persino la febbre. [Read more…]