“L’inizio della notte’”, pubblicato da Leucotea edizioni, è il nuovo romanzo distopico di Damiano Leone. Il libro introduce il lettore in un’atmosfera fantascientifica e, a tratti, utopica; la narrazione si svolge, infatti, in un contesto che descrive uno scenario di un prossimo futuro apocalittico in cui predomina la distopia. Damiano Leone, però, non tralascia di veicolare importanti messaggi al lettore che, nel corso del romanzo, presenta con grande abilità linguistica attraverso una narrazione attenta e dettagliata. [Read more…]
Controcanzoniere: recensione del libro di Furio Detti
Linda Lercari recensisce "Controcanzoniere" (edizioni Amarganta)
Uscita sul finire del 2022 per Amarganta Edizioni il “Controcanzoniere” è l’ultima fatica poetica di Furio Detti e riserva piacevolissime sorprese. La raccolta è un chiaro omaggio al “Canzoniere” del poeta triestino Umberto Saba. L’intera opera è permeata da una struggente nostalgia per una Trieste che è stata luogo di sporadici, ma intensi momenti della giovinezza del Detti. E come amico del cuore per condividere quei paesaggi, quelle sensazioni e quei sentimenti l’unica eco poteva essere l’arte di Saba, la sua ispirazione. [Read more…]
Le risate del mondo, il romanzo corale di Arturo Bernava fra emozioni e storia
Annalina Grasso recensisce "Le risate del mondo" di Arturo Bernava (Il Viandante Edizioni)
Il nuovo romanzo storico di Arturo Bernava, Le risate del mondo edito dalla casa editrice Il Viandante, è una lettura che può facilmente annoverarsi fra i romanzi corali: un libro denso di personaggi, ognuno con una propria psicologia e peculiarità, che rende la lettura intensa, piacevole ma, soprattutto, viva ed emozionante. La storia si svolge a Chieti durante la Seconda Guerra Mondiale e, precisamente, nel 1943; anno noto per il proclama di Badoglio riguardante l’Armistizio di Cassibile. La trama del testo si apre subito con un mancato matrimonio: quello fra Italia Michelli e Osvaldo Pierantozzi. Italia è una presunta vedova di guerra, mentre Osvaldo appartiene a una classe sociale abbiente e quindi superiore; per di più l’uomo coltiva dei legami all’interno del partito fascista. Il prete, Don Michele Criscuolo detto “Tiscrocco”, rifiuta categoricamente questa unione senza proferire gli effettivi motivi di questa sua posizione estrema.
‘’Don Michele Criscuolo, detto Tiscrocco per la sua abitudine a usare prima le mani e poi la testa, era portato dai fulmini. E non quelli atmosferici, che pure quella mattina saettavano copiosi nel cielo, ma quelli della sua mente elettrica, resa ancora più fremente dal matrimonio che di lì a poco avrebbe dovuto celebrare. Non lo approvava, non lo approvava per niente! E non solo lui, a dirla tutta. Anche la sposa non era contenta, ma non era quello il punto, visto che nnessuno si era preoccupato di chiedere il parere della povera ragazza’’.
Il parroco, infatti, non dà spiegazioni circa la sua decisione con la disperazione conseguente di Benemerita Carrisi, madre di Italia, che invece auspicava nell’unione con Osvaldo Pierantozzi e la figlia per fronteggiare la miseria e la fame in cui verteva la famiglia. Essendo Osvaldo un buon partito accalappiarlo era l’unica cosa da fare. La notizia, per quanto apparentemente triste, dona sollievo alla novella sposa Italia che nel suo cuore non ha dimenticato il marito Ottavio Valdi, disperso in Russia, sognando ancora di poterlo ritrovare. La peculiarità di questo romanzo storico, tuttavia, è la maestria con cui confluiscono numerosi generi in una sola trama. La lettura si apre con un mancato matrimonio, un topos che ricorda molto I promessi sposi, nell’immaginario comune, ma fluisce in seguito in concatenazioni concentriche in cui si susseguono elementi noir, gialli, thriller: una dimensione che rapisce il lettore mantenendo quest’ultimo ben saldo al libro, fino all’ultima pagina.
Recensione a cura di Annalina Grasso
Annalina Grasso è una giornalista pubblicista nata a Benevento. Si è laureata in Lettere moderne all’Università Federico II di Napoli con una tesi su Giacomo Debenedetti interprete di Marcel Proust e si è specializzata in filologia moderna a indirizzo linguistico presso la medesima università, con particolare interesse verso la storia della lingua italiana. Ha frequentato un corso di laurea magistrale in Editoria e scrittura presso l’Università Tor Vergata di Roma, un breve corso di studi umanistici alla Sorbona e ad Harvard (incentrati soprattutto sulla Divina Commedia), un corso di media social communication alla Ninja Academy di Milano e un master in arte e organizzazione di eventi culturali (specialmente mostre d’arte). Da anni si occupa di cinema, arte e letteratura e nel 2014 ha fondato il magazine culturale online ‘900letterario, che dirige. Le sue ricerche e studi sono volti alla divulgazione di opere letterarie e cinematografiche meno conosciute.
Nemmeno una virgola, il romanzo d’esordio di Guido Domingo
Annalina Grasso recensisce "Nemmeno una virgola" di Guido Domingo (Pathos Edizioni)
Voleva davvero turbare quella monotonia in cui tutto sommato si sentiva protetta e al sicuro?
È un romanzo sulla ricerca della Meraviglia, questo primo lavoro del biologo Guido Domingo, pubblicato per Pathos Edizioni nel dicembre del 2021. Nato nel 1980, l’autore coltiva l’amore per la natura, la scrittura, la poesia e la musica. In un qualche modo, “Nemmeno una virgola” è testimone e risultato di questa certa e dotata
sensibilità.
Il romanzo, breve, delicato e suggestivo, prende le mosse da un fatto di cronaca realmente accaduto secondo cui un’anziana donna in pensione trova in casa delle vecchie lire di cui non sapeva nulla. Un ritrovamento magico che irrimediabilmente cambia il corso della sua quotidianità.
Nel romanzo, l’anziana in questione è “La Vecchia” e come il resto dei pochi personaggi che ruotano attorno alla sua vita, La Vecchia ha un nome che il lettore non conoscerà mai. La vecchia ha una figlia, un vicino, dei nipoti che non si curano di lei ed è vedova del marito.
Conoscerà un’insegnate e tante vite fa, ha avuto un’amica.
Sola in casa, autonoma nonostante gli acciacchi dell’età, vive a distanza il calore dei rapporti sociali e sembra attenta a non infastidire nessuno.
La incontriamo per la prima volta nascosta dietro una finestra, sulla sua poltrona, intenta ad osservare lo spensierato correre di alcuni bambini nel cortile della sua abitazione. Si domanda
quando sia stata l’ultima volta che abbia corso e non se lo ricorda più.
Da subito, Domingo apre le porte ad un panorama psico-emotivo affatto scontato riguardo le età e che pure si rivela sempreverde: l’avanzare degli anni, il peso di una Forza con cui non ha luogo un confronto perché troppo veloce, troppo tecnologica o poco attenta, il sopravvivere alle perdite che anestetizza i sensi, secca le membra, i muscoli e le ossa, in un consumarsi del tempo in attesa di una morte-libera-tutto.
Questo almeno, il vivere al presente della Vecchia. Il suo pensarsi così. Una donna che non dialoga più, anaffettiva si direbbe, come di rimando le si palesa la Figlia, le cui visite di routine sono fredde, tendenzialmente tese e sbrigative come una tassa da pagare. Le porta la spesa, si lamenta dei suoi figli, conversa con lei senza davvero parlarle e le critica il frigorifero, pieno di ghiaccio e troppo vecchio oramai rispetto la comodità che può offrire “la macchinazione moderna”.
Il vecchio IGNIS, il frigorifero che il defunto Marito della Vecchia aveva comprato coi loro risparmi – e che dunque rappresenta necessariamente un’ancora a una vita passata e che ora si manifesta perduta – si rivela essere l’elemento magico per cui la Vecchia è letteralmente iniziata alla ricerca che Domingo guida con grande sensibilità.
Recensione a cura di Annalina Grasso
Annalina Grasso è una giornalista pubblicista nata a Benevento. Si è laureata in Lettere moderne all’Università Federico II di Napoli con una tesi su Giacomo Debenedetti interprete di Marcel Proust e si è specializzata in filologia moderna a indirizzo linguistico presso la medesima università, con particolare interesse verso la storia della lingua italiana. Ha frequentato un corso di laurea magistrale in Editoria e scrittura presso l’Università Tor Vergata di Roma, un breve corso di studi umanistici alla Sorbona e ad Harvard (incentrati soprattutto sulla Divina Commedia), un corso di media social communication alla Ninja Academy di Milano e un master in arte e organizzazione di eventi culturali (specialmente mostre d’arte). Da anni si occupa di cinema, arte e letteratura e nel 2014 ha fondato il magazine culturale online ‘900letterario, che dirige. Le sue ricerche e studi sono volti alla divulgazione di opere letterarie e cinematografiche meno conosciute.
Resta quel che resta di Katia Tenti: il germe del male e l’identità perduta ai tempi della guerra
Annalina Grasso recensisce "Resta quel che resta" di Katia Tenti (Piemme)
“A volte accade che sia un unico gesto al di fuori dell’usuale, un gesto che poi chiamiamo sbaglio, a cambiare per sempre il corso di una vita.”
“Resta quel che resta” di Katia Tenti è un romanzo ambientato a Bolzano durante la Grande e post-guerra.
Il romanzo si apre con la prima parte negli anni del 1945 per poi terminare con la seconda parte negli anni Ottanta. Le famiglie dei protagonisti partecipano e assistono alla guerra, una guerra che sembra remota leggendo il romanzo. Katia Tenti fa riflettere il lettore sulla situazione odierna, perché sembra che la guerra sia finita e per sempre, invece, si percepisce ancora l’eco delle bombe. Le guerre esistono e possono essere anche invisibili. Ma non è la guerra, il tema di questo romanzo, semmai la scenografia, dove sul palco ci sono i protagonisti che la vivono, le famiglie. Il tema è l’integrazione tra italiani e tedeschi, e quest’ultimi, devono fare i conti con la perdita della propria identità culturale.
Katia Tenti ha costruito abilmente un romanzo corale: protagoniste sono cinque famiglie accomunati da “qualcosa”, i Galli e i Ceccarini, gli Egger, i Marchetti e i Ranieri. Queste famiglie diverse tra loro, portano con sé il disagio sociale e la ricerca di una dignità sul piano lavorativo e sociale: la famiglia Ranieri, che prova a migliorare la propria miseria, la famiglia Marchetti-Galli dal sangue marcio e dal temperamento violento che ha creduto nel fascismo per poi <<alzare gli occhi>> e guardare la realtà, che cela un segreto orribile; infine la famiglia Egger, che si mischia, per certi versi, con il germe del Male, ossia Sante Marchetti, che a sua volta si scontra con la lussuosa famiglia del dottore Alfred Gasser. La figura di Sante Marchetti è stilata come un perfetto fenomeno di devianza sociale della quale l’autrice si è a lungo occupata. In primo piano si ha lo sfondo di una campagna di italianizzazione in epoca fascista e in secondo piano la storia di queste famiglie che portano allo svelamento della verità sul rapimento delle gemelline.
I Marchetti assieme ai Galli e ai Ceccarini sono i Walsche che emigrano a Bolzano in cerca di fortuna. Poi, ci sono i tedeschi, gli Egger e la famiglia del medico Alfred Gasser, che cercano invece di lottare per far permanere la loro lingua e cultura tedesca, in un’epoca dove gli italiani sembrano di voler appropriarsi di tutto.
“Bolzano era due città, tutto era diviso, da una parte gli italiani, dall’altra i tedeschi, e agli italiani era destinato il lato meno appariscente”. (p.279)
Tedeschi e italiani sono agli antipodi non solo nei costumi ma anche nel sito delle loro case. I tedeschi abitano in un luogo pulito e appariscente segno della loro ricchezza, mentre gli italiani, annegano nella miseria, miseria si riassume nel “rito” del “bagno in comune”.
“Nerio aveva vissuto in una topaia senza bagno, ed erano in cinque: e ora che il cesso ce l’aveva c’era gente che lo invidiava. Cos’era il bagno se non una “cosa”? Bene, signora: vada lei a cagare per strada, tra le rotaie della ferrovia, come dovevano fare in molti. Erano i soldi a contare […]” (p.98)
Recensione a cura di Annalina Grasso
Annalina Grasso è una giornalista pubblicista nata a Benevento. Si è laureata in Lettere moderne all’Università Federico II di Napoli con una tesi su Giacomo Debenedetti interprete di Marcel Proust e si è specializzata in filologia moderna a indirizzo linguistico presso la medesima università, con particolare interesse verso la storia della lingua italiana. Ha frequentato un corso di laurea magistrale in Editoria e scrittura presso l’Università Tor Vergata di Roma, un breve corso di studi umanistici alla Sorbona e ad Harvard (incentrati soprattutto sulla Divina Commedia), un corso di media social communication alla Ninja Academy di Milano e un master in arte e organizzazione di eventi culturali (specialmente mostre d’arte). Da anni si occupa di cinema, arte e letteratura e nel 2014 ha fondato il magazine culturale online ‘900letterario, che dirige. Le sue ricerche e studi sono volti alla divulgazione di opere letterarie e cinematografiche meno conosciute.
La vana illusione di Andrea Parafioriti: storia di un traumatico risveglio
Annalina Grasso recensisce "La vana illusione" di Andrea Parafioriti (Bertoni editore)
Nel romanzo “La vana illusione” di Andrea Parafioriti si presenta la storia di un uomo debole che si crede invincibile, e che ha costruito la sua personalità su valori distorti, probabilmente per fuggire dalla paura di essere ferito o abbandonato. Pietro Barozzi è la voce narrante della vicenda, ed è quindi ancora più facile scorgere le sue fragilità dietro le sue parole da uomo sicuro di sé, borioso e arrogante. Pietro pensa di essere un vincente perché ha avuto successo nel lavoro; ciò lo ha portato a diventare spavaldo e senza scrupoli, praticamente una di quelle persone che guardano gli altri dall’alto verso il basso.
La sua solidità è però solo apparenza: Pietro è infatti un uomo solo e arido moralmente e ciò lo condurrà, dopo determinati avvenimenti, a veder sgretolare quella sua corazza pazientemente costruita per non farsi toccare dal mondo esterno. L’autore ci racconta dei successi di Pietro e della sua spregiudicatezza quando assolve i suoi compiti di senior manager presso una società privata di recupero crediti; parla del suo godimento nel momento in cui riesce a incastrare il malcapitato di turno e della sua eccitazione nel poter tenere tra le mani il destino di una persona. Come è affermato nel titolo dell’opera, però, ciò che sperimenta Pietro è solo una vana illusione: nessuno è onnipotente, magari si può credere di esserlo per un breve lasso di tempo ma poi ci pensa la vita a ricordarci quanto ogni essere umano sia piccolo, fragile e fallace. Per Pietro il primo assaggio di realtà avviene quando incontra Tiziana, la figlia di un debitore che ha appena torchiato; la donna lo affascina immediatamente con la sua schiettezza e con la sua dignità, e con il passare dei giorni ella lo legge dentro e riflette come uno specchio il marcio che risiede in lui – «Ti inchioda alle tue responsabilità e ti porta alla confessione, all’ammissione, perché abbatte le false difese dietro cui ti trinceri».
Andrea Parafioriti narra una storia di presa di consapevolezza, in cui Pietro non dovrà solo fare i conti con un amore puro che fa riemergere la sua coscienza ma anche con una malattia che rischierà di fargli perdere la sua occasione di riscattarsi. È un romanzo toccante e intenso, in cui si ricorda quanta forza risiede in noi quando decidiamo di lottare per una buona causa, e quando scegliamo di diventare la versione migliore di noi stessi.
Recensione a cura di Annalina Grasso
Annalina Grasso è una giornalista pubblicista nata a Benevento. Si è laureata in Lettere moderne all’Università Federico II di Napoli con una tesi su Giacomo Debenedetti interprete di Marcel Proust e si è specializzata in filologia moderna a indirizzo linguistico presso la medesima università, con particolare interesse verso la storia della lingua italiana. Ha frequentato un corso di laurea magistrale in Editoria e scrittura presso l’Università Tor Vergata di Roma, un breve corso di studi umanistici alla Sorbona e ad Harvard (incentrati soprattutto sulla Divina Commedia), un corso di media social communication alla Ninja Academy di Milano e un master in arte e organizzazione di eventi culturali (specialmente mostre d’arte). Da anni si occupa di cinema, arte e letteratura e nel 2014 ha fondato il magazine culturale online ‘900letterario, che dirige. Le sue ricerche e studi sono volti alla divulgazione di opere letterarie e cinematografiche meno conosciute.
Misteri napoletani: La crepa, il visionario romanzo di Demetrio Salvi
Annalina Grasso recensisce "Misteri napoletani: La crepa" di Demetrio Salvi (L’undicesima copia editore)
Demetrio Salvi ambienta il suo ultimo romanzo in una Napoli sorprendente, più oscura di come viene dipinta di solito, e sede di forze maligne che provengono dalla sua copia speculare: una città sotterranea simile a un luogo infernale. “Misteri napoletani: La crepa” si apre su alcune impattanti illustrazioni in bianco e nero, accompagnate da un testo straniante che ci racconta di questo volto inedito della città partenopea: inquieta e maledetta, può riservare brutte sorprese al viandante solitario, e può celare allarmanti presenze. Ciò succede anche in un luogo famigliare come la casa, in cui ci si dovrebbe sentire al sicuro; nell’abitazione di Giona Michetti, il protagonista dell’opera, una strana entità invisibile agli occhi dell’uomo minaccia il suo sonno. Sono notti angoscianti, in cui Giona non trova pace perché si sente osservato; anche il lettore patisce una sorta di ansia per questa ipotetica e inspiegabile presenza.
La tensione cresce, e Demetrio Salvi è impeccabile nel farci sentire a disagio; Giona, poi, comincia a manifestare ossessione e paranoia e non è facile comprendere se siano causate da un pericolo reale o semplicemente da un suo disturbo psichico. Durante il corso della storia l’autore ci svela l’arcano, e l’atmosfera e il tono dell’opera si modificano, facendosi sempre più cupi; la presenza che Giona avvertiva è infatti reale quanto lui: un esserino antropomorfo con grandi occhi e con un pallore mortale. Questa manifestazione è solo il principio di un male che vuole avvolgere tutto e tutti; Giona entra in una spirale di terrore e di perdita: la donna che ama sparisce infatti sotto i suoi occhi, e anche quella presenza, che diventa col trascorrere dei giorni familiare per lui, scompare senza lasciare traccia.
Mentre Napoli sembra marcire e delle strane crepe appaiono sui muri, il protagonista accoglie la sua missione, probabilmente letale, in cui si dovrà inoltrare nella città sotterranea per fermare qualcosa di molto più grande di lui. Il suo viaggio all’inferno permette all’autore di dipingere scenari surreali, e di raccontare una storia che lascia col fiato sospeso e che turba profondamente. Non stupiscono quindi le parole di Salvi nella prefazione all’opera: «Come per una malattia della quale non conosci l’origine né le conseguenze e che, all’inizio, non riconosci neppure come malattia, così non sapevo cosa stavo facendo, a cosa andavo incontro, quale sarebbe stato il finale. È sempre così quando inizi a scrivere una storia: non lo sai ma stai stendendo e descrivendo le caratteristiche di una malattia che, talvolta, è squallidamente mortale».
Recensione a cura di Annalina Grasso
Annalina Grasso è una giornalista pubblicista nata a Benevento. Si è laureata in Lettere moderne all’Università Federico II di Napoli con una tesi su Giacomo Debenedetti interprete di Marcel Proust e si è specializzata in filologia moderna a indirizzo linguistico presso la medesima università, con particolare interesse verso la storia della lingua italiana. Ha frequentato un corso di laurea magistrale in Editoria e scrittura presso l’Università Tor Vergata di Roma, un breve corso di studi umanistici alla Sorbona e ad Harvard (incentrati soprattutto sulla Divina Commedia), un corso di media social communication alla Ninja Academy di Milano e un master in arte e organizzazione di eventi culturali (specialmente mostre d’arte). Da anni si occupa di cinema, arte e letteratura e nel 2014 ha fondato il magazine culturale online ‘900letterario, che dirige. Le sue ricerche e studi sono volti alla divulgazione di opere letterarie e cinematografiche meno conosciute.
La Legge dell’Amore, la favola della scrittrice e musicista Cristina Vaira
Annalina Grasso recensisce "La Legge dell’Amore" di Cristina Vaira
“La Legge dell’Amore” è il nuovo libro di Cristina Vaira, cantante, cantautrice e produttrice musicale premiata a livello internazionale, e recentemente riconosciuta, con la sua band Jandro & Cristina, per il singolo “Libertà, Libertad!” al Global Voices Film Festival 2021, presentato dalle Nazioni Unite.
Si tratta di una favola delicata e poetica, una storia di fantasia che è allo stesso tempo un viaggio metaforico in cui si racconta delle insidie di sentimenti come la paura, il senso di colpa e il rancore, che allontanano pericolosamente l’essere umano dall’equilibrio fisico, mentale e spirituale, oltre che dall’amore.
L’autrice ha intrapreso da anni un cammino di esplorazione interiore e di crescita personale insieme al marito, l’artista Jandro Cisneros, e in quest’opera cerca di veicolare quelle importanti verità che sono diventate parte integrante della loro vita privata e professionale.
Attraverso la toccante storia di Stella Alma, la protagonista dell’opera, l’autrice ci sprona ad accettare le nostre colpe del passato, non permettendo loro di imprigionarci ma lasciandole andare; il perdono è la chiave che permetterà alla protagonista di compiere la sua missione, così come può consentire a noi di essere liberi e di donare libertà.
Stella Alma è la Direttrice della Grande Biblioteca, il cuore di un Sistema perfetto e allo stesso tempo fragile: il corpo umano; nella biblioteca vi sono alti scaffali di legno pregiato, dove centinaia di libri si muovono da un ripiano all’altro con ordine e armonia, rispettando la Legge dell’Amore. Ogni libro rappresenta un’emozione o un sentimento, e le copertine hanno un colore diverso a seconda di ciò che manifestano. A causa della costante mutabilità delle emozioni e dei sentimenti provati dal Sistema, però, il moto dei libri necessita di essere regolato: è Stella a occuparsi di gestire quella vivace e disordinata esplosione di colori, con una bacchetta ereditata dal padre, che utilizzava come un direttore d’orchestra – «Il nostro compito è mantenere costante l’equilibrio.
La nostra musica, le nostre interpretazioni del moto, il nostro controllo della bacchetta, tutto ciò ha un grande e importante obiettivo: regolare l’equilibrio delle emozioni nella Grande Biblioteca».
L’armonia è però rotta da un evento che provoca un profondo e incessante dolore in Stella: le emozioni negative prendono il sopravvento e alla protagonista non resta che partire per un viaggio verso luoghi mai esplorati, alla ricerca del celeberrimo Capitan Coscienza e di una cura per la malattia che ha colpito non solo la Grande Biblioteca ma anche l’intero Sistema, che ha perso la sua integrità e le connessioni tra le sue parti. Sarà un’avventura straordinaria che la condurrà a una difficile ma liberatoria consapevolezza, e che le farà raggiungere quella pace necessaria per accettare il passato, e godere pienamente del momento presente.
La legge dell’Amore è un romanzo avvincente e a tratti introspettivo, sull’importanza della ricerca della verità che guarisce la mente e lo spirito. L’opera di Cristina Vaira richiama alla mente il racconto fantastico di Jorge Louis Borges, La Biblioteca di Babele, apparso dapprima nel 1941 nella raccolta Il giardino dei sentieri che si biforcano e poi nel 1944 all’interno del volume Finzioni, il quale, come il libro di Vaira sembra suggerire al lettore la visione dell’universo come una grande biblioteca. Proprio perché nella Biblioteca esistono tutti i possibili libri e tutte le verità e le falsità che vi si riescono a scrivere, la prospettiva della Biblioteca è incommensurabile con quella della specie umana.
Recensione a cura di Annalina Grasso
Annalina Grasso è una giornalista pubblicista nata a Benevento. Si è laureata in Lettere moderne all’Università Federico II di Napoli con una tesi su Giacomo Debenedetti interprete di Marcel Proust e si è specializzata in filologia moderna a indirizzo linguistico presso la medesima università, con particolare interesse verso la storia della lingua italiana. Ha frequentato un corso di laurea magistrale in Editoria e scrittura presso l’Università Tor Vergata di Roma, un breve corso di studi umanistici alla Sorbona e ad Harvard (incentrati soprattutto sulla Divina Commedia), un corso di media social communication alla Ninja Academy di Milano e un master in arte e organizzazione di eventi culturali (specialmente mostre d’arte). Da anni si occupa di cinema, arte e letteratura e nel 2014 ha fondato il magazine culturale online ‘900letterario, che dirige. Le sue ricerche e studi sono volti alla divulgazione di opere letterarie e cinematografiche meno conosciute.
L’undicesimo giorno della falena: l’adolescenza secondo la sociologa Eva Forte
Annalina Grasso recensisce "L’undicesimo giorno della falena" (La Ragnatela, 2022)
L’undicesimo giorno della falena” è un romanzo di formazione, rivolto soprattutto agli adolescenti, scritto dalla sociologa romana, classe 1976, Eva Forte e pubblicato da La Ragnatela Editore nel 2022.
Si tratta di viaggio emozionale e introspettivo che fa un po’ da contraltare ai romanzi adolescenziali di successo negli scorsi decenni, di Federico Moccia. Nel caso di Eva Forte, il mondo complesso di adolescenti romanzi, è affrontato con profondità.
L’autrice infatti, dopo i romanzi dal titolo “Due”, e “In Equilibrio”, e “Dieci amanti in cucina”, che hanno messo in luce la sua predilezione per i gialli, presenta l’adolescenza raccontando un gruppo di ragazzi degli anni 90 in uno dei quartieri più misteriosi di Roma. La storia si articola a partire da un brutto incidente in motorino che porta Cecilia, la protagonista e voce narrante, ad affrontare diversi giorni di coma.
La ragazza parla di se in questi termini:
«Ho diciassette anni. Quell’età in cui ti sembra di essere padrona del mondo. Ogni giornata è diversa, viva, piena di speranze per il futuro. Quell’età in cui ancora credi di poter cambiare le cose, di rendere tutto più bello grazie ai tuoi ideali. Così mi sento, come se il futuro fosse oggi, non domani. Sul mio diario scrivo solo i compiti e le date più importanti. Poi arriva l’imprevedibile ed è impossibile sapere cosa accadrà. Ora è un po’ così, va tutto veloce: i rumori, le persone che mi circondano senza che io possa capire cosa stiano facendo, il passato, la voglia di chiamare la mia amica, non la sento più vicino a me. Non sento più quel cuore che sembrava le stesse uscendo fuori dal petto. Ho solo sete. Tanta sete. Arriva il silenzio».
Eva Forte coglie una delle caratteristiche principali dell’essere giovani: l’inconsapevolezza. Quella che fa sentire Cecilia invincibile, forte, e sempre giovane.
Quello di Eva Forte è un romanzo delicato e lento, che fotografa una calda e sonnolenta Roma negli anni 90 nel suo tratto meno visibile, come quello dell’animo giovanile che resta ignoto per molti aspetti alla protagonista. Sfogliando le pagine del romanzo, il lettore può assaporare la semplicità e la genuinità di un gruppo di ragazzi di quartiere, ragazzi dei licei di zona come l’Avogadro e il Giulio Cesare che si incontrano a Villa Borghese, ma anche i problemi legati alla droga che girava in quegli anni, e che si confondeva con le prime cotte e innamoramenti.
L’undicesimo giorno della falena” riserva anche colpi di scena e momenti di grande commozione in uno dei romanzi più belli di questo 2022, in virtù dell’abilità dell’autrice romana di rendere universale la figura di Cecilia, in ogni luogo e in ogni tempo.
Eva Forte, tuttavia non vuole rinunciare alla passione per gli intrighi e racconta una storia che prende una svolta imprevista e che rende possibile la messa in discussione della protagonista, alle prese con una vicenda intricata che coinvolge un suo amico.
L’autrice ad un certo punto della storia, in modo abbastanza lineare, fa convergere in un solo punto i destini di tutti i personaggi coinvolti, che dovranno affrontare una volta per tutte le loro perdite, i loro fantasmi, le loro incertezze, nonché conoscere l’aspetto più oscuro della vita, l’imponderabile, e accettare di conseguenza l’inevitabile mentre osservano la falena volare via. Perché crescere, maturare significa in primis accogliere le sventure e gli imprevista che la vita ci mette davanti. In certi passaggi Eva Forse sembra richiamare alla memoria una frase di Proust sull’adolescenza e al senso a volte ingannevole della pienezza di ogni attimo vissuto:
“Forse non ci sono giorni della nostra adolescenza vissuti con altrettanta pienezza di quelli che abbiamo creduto di trascorrere senza averli vissuti, quelli passati in compagnia del libro prediletto.”
In tal senso “L’undicesimo giorno della falena può essere davvero un ottimo compagno di viaggio di un adolescente.
La peculiarità pià affascinante del romanzo di Eva Forte, che conosce bene, da brava sociologa, le dinamiche relazionali tra giovanissimi, sta nella possibilità di leggere diversi spin-off dopo aver terminato il libro; sono infatti state pubblicate sui canali social della casa editrice e dell’autrice stessa altre storie collegate alla narrazione principale.
L’intento è quello di incuriosire sempre di più il lettore, sfidandolo ad immaginare altre trame, storie parallele, spronando la propria fantasia e concependo il romanzo come una sorta si serie tv, best seller in ebook su Amazon.
«Sento qualcosa sbattere sul vetro della finestra. È una falena. Oggi è il suo undicesimo giorno di vita. Nella stanza ora è tornato il silenzio».
Recensione a cura di Annalina Grasso
Annalina Grasso è una giornalista pubblicista nata a Benevento. Si è laureata in Lettere moderne all’Università Federico II di Napoli con una tesi su Giacomo Debenedetti interprete di Marcel Proust e si è specializzata in filologia moderna a indirizzo linguistico presso la medesima università, con particolare interesse verso la storia della lingua italiana. Ha frequentato un corso di laurea magistrale in Editoria e scrittura presso l’Università Tor Vergata di Roma, un breve corso di studi umanistici alla Sorbona e ad Harvard (incentrati soprattutto sulla Divina Commedia), un corso di media social communication alla Ninja Academy di Milano e un master in arte e organizzazione di eventi culturali (specialmente mostre d’arte). Da anni si occupa di cinema, arte e letteratura e nel 2014 ha fondato il magazine culturale online ‘900letterario, che dirige. Le sue ricerche e studi sono volti alla divulgazione di opere letterarie e cinematografiche meno conosciute.
L’ultima occasione: recensione del libro di Vincenzo Contreras
Annalina Grasso recensisce "L'ultima occasione" (Ali Ribelli, 2022)
«Signori e Signore, Ladies and Gentlemen, questo è il mio show, quindi mi raccomando, tutti concentrati su di me!».
“L’ultima occasione” è il nuovo romanzo edito da Ali Ribelli nel 2022, dello scrittore di Gaeta Vincenzo Contreras.
Si tratta di un romanzo ricco di intrighi e suspence, animato, come recita la sinossi del libro, da un lucido spirito rivoluzionario; narrato in prima persona, presenta un intenso protagonista che in poche pagine riesce a rivelare il suo complesso mondo interiore.
L’eccentrico protagonista, creato grazie anche al successo del film premio Oscar Joker, ha deciso di commettere azioni criminose, compiendo rapine a mano armata allo scopo di destabilizzare il sistema sociale, politico ed economico, le istituzioni, l’opinione pubblica, l’ordine pubblico, colpevoli secondo lui di lobotomizzare la massa, di farle credere tutto ciò che vogliono servendosi dei media, per consolidare il proprio potere.
Questo Joker italiano si trucca il viso ispirandosi dunque alla figura del Joker cinematografico, re indiscusso del rovesciamento dello status quo, per denunciare l’assenza del libero pensiero negli individui, i quali pensano di essere loro i veri protagonisti delle loro vite quando in realtà sono subdolamente manipolati e indottrinati. Il protagonista va alla ricerca della sua personale e discutibile vendetta per cercare di svegliare le coscienze.
Proprio all’inizio del romanzo egli si presenta in questi termini:
«Il mio problema è quello di essere egocentrico per eccellenza e non ho mai sopportato l’idea di avere una vita, come dire, normale.
Essere un comune mortale mi avrebbe mortificato e giuro che, se lo fossi diventato, oggi non sarei qui a parlare con voi».
«Certo, staresti in un normale ufficio a fare il tuo normale lavoro onestamente, come i comuni mortali!»
«In ogni caso, non ci sarei mai stato in quel dannato ufficio, sarei morto, probabilmente mi sarei ucciso con le mie stesse mani!» dissi, guardando quegli uomini davanti a me.
Questo anonimo protagonista, che potrebbe essere chiunque, compie furti e rapine inscenando sempre lo stesso copione, avvalendosi anche di frasi ad effetto e forse un po’ troppe retoriche. L’adrenalina è il suo pane, rende la scena del crimine uno show, dove lui, attore rampante, recita divertito e compiaciuto, monologhi di fronte attentissimo.
Un giorno, però, le cose non vanno per il verso giusto: una rapina finisce male ed il protagonista si ritrova a essere inseguito dalla polizia; tuttavia, invece di arrendersi, comprende l’importanza di quel momento drammatico in cui può continuare a dare il meglio di se, recitando, a braccio, come si dice in gergo: indossa il cappello a cilindro, sale sul tettuccio della sua macchina, e si esibisce per la folla curiosa che si sta radunando intorno a lui. Joker coglie al volo questa occasione per poter gridare al mondo il suo atto d’accusa e la propria indignazione, e per divulgare il suo manifesto sovversivo e rivoluzionario, benché sia ben consapevole di uscirne probabilmente sconfitto.
Vincenzo Contreras riflette sulle contraddizioni della società di oggi, e su quella che egli definisce “la fabbrica di esseri umani”. Il protagonista del suo romanzo è un folle nel vero senso della parola? Un nevrotico, un disadattato sociale o un ingenuo idealista coraggioso? Potrebbe essere considerato un eroe o un frustrato, attore mancato, in cerca di notorietà e popolarità che non vuole sprecare la sua ultima occasione?
Quello di Contreras è un racconto drammatico e sincero che stimola l’intelletto; ben scritto, scorrevole e attualissimo, soprattutto per quanto riguarda il dibattito intorno al politicamente corretto, alle fake news, alla manipolazione delle masse, facendo riferimento alle teorie del pioniere Gustave Le Bon, etnologo e psicologo, autore del libro “Psicologia delle folle”, opera nella quale descrive le masse come una forza di distruzione in cui prevalgono sentimenti di autorità ed intolleranza e che possono essere facilmente condotte a farsi uccidere per un’ideale oppure a compiere atti terribili.
BIOGRAFIA DELL’AUTORE. Vincenzo Contreras è nato nel 1981 a Gaeta, dove ha vissuto fino a vent’anni prima di trasferirsi a Siena e poi a Verona, dove vive tutt’ora. Alla sua professione ha associato varie passioni come quelle per la letteratura e per il cinema; non a caso molte storie che ha scritto, tra cui quella narrata nel libro “L’ultima occasione”, trovano ispirazione proprio nei film. Scrittore di racconti e di romanzi, nel 2001 ha ricevuto una citazione di merito al premio letterario “Campiello giovani”. È inoltre un attivista per Mediterranea Saving Humans.
Recensione a cura di Annalina Grasso
Annalina Grasso è una giornalista pubblicista nata a Benevento. Si è laureata in Lettere moderne all’Università Federico II di Napoli con una tesi su Giacomo Debenedetti interprete di Marcel Proust e si è specializzata in filologia moderna a indirizzo linguistico presso la medesima università, con particolare interesse verso la storia della lingua italiana. Ha frequentato un corso di laurea magistrale in Editoria e scrittura presso l’Università Tor Vergata di Roma, un breve corso di studi umanistici alla Sorbona e ad Harvard (incentrati soprattutto sulla Divina Commedia), un corso di media social communication alla Ninja Academy di Milano e un master in arte e organizzazione di eventi culturali (specialmente mostre d’arte). Da anni si occupa di cinema, arte e letteratura e nel 2014 ha fondato il magazine culturale online ‘900letterario, che dirige. Le sue ricerche e studi sono volti alla divulgazione di opere letterarie e cinematografiche meno conosciute.
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