Cos’è il giainismo o jainismo? Dal sanscrito jainī, dottrina dei jaina, seguaci di Jina. È una dottrina spirituale indiana (considerata da alcuni studiosi una corrente filosofica dalle forti connotazioni religiose) risalente al Jina (Vardhamāna, detto il Mahāvīra, Grande Eroe), la cui eterodossia consiste nella ricerca di una salvezza extramondana o antimondana, mentre la tradizione politeistica indiana tende, come tutte le religioni etniche, al conseguimento di un ordine e di una salvezza mondani. Il giainismo è sorto nella stessa epoca (VI secolo a. C.) e nella stessa regione dell’India settentrionale in cui è nato il buddhismo, e risponde a esigenze soteriologiche simili a quelle buddhiste. Entrambe le soteriologie si svolgono da una tradizione di ascesi, di rinuncia e di meditazione, che costituiva a quell’epoca l’estremo sviluppo di un lungo processo di interiorizzazione dell’antica religione vedica.
Per chi si chiede cos’è il giainismo o jainismo va precisato che la differenza con l’ascesi tradizionale si rileva segnatamente negli scopi: mentre per la tradizione l’ascesi era un mezzo per raggiungere il dovuto rapporto con l’universo, il giainismo, come il buddhismo, mira allo scioglimento di ogni rapporto, teorizzato come liberazione dal karman, una forza che si acquisisce vivendo (e agendo) e che determina il modo di essere al mondo in un inesauribile ciclo di rinascite. Tuttavia la differenza tra buddhismo e giainismo è rilevante: il conseguimento della perfezione, ossia l’eliminazione del karman, per il buddhismo comporta l’annullamento dell’individualità, mentre per il giainismo consiste nella purificazione del soggetto, fino alla costituzione di una nuova personalità. L’oggetto principale della teoria giaina diventa proprio l’anima individuale, la sua sostanza originaria, la realtà materiale o mondana che la modifica in senso negativo, le sue possibilità di recupero. È una teoria che si esprime in un complesso sistema “naturalistico” che per semplicità qui riduciamo a una specie di dualismo tra anima (jiva, vita) e materia (con cui viene in un certo senso identificato il karman). La materia penetra l’anima dando origine così al “corpo karmico”, ossia alla personalità mondana. La pratica delle regole dettate dal Jina – tra cui la più importante è il divieto di uccidere qualsiasi essere vivente (ahiṃsā) – è l’unico modo con cui l’anima può liberarsi dalla materia che l’ha compenetrata e ritrovare l’integrità originaria. Questa liberazione-purificazione avviene per gradi.
Giainismo, i gradi della filosofia jainista
Il canone giaina ne ha elaborati 14: nei primi tre gradi l’anima è priva di ogni conoscenza, donde deriva un comportamento ingiusto o karmico; il quarto grado è quello della conoscenza e del comportamento adeguato: è anche il grado degli dèi che, per progredire verso la perfezione, debbono rinascere come uomini; infatti soltanto le rinunce umane (che gli dèi non possono praticare) conducono al quinto grado, che è quello del monaco; l’ascesi monastica conduce ai gradi successivi fino all’arresto del karman, ossia all’arresto della penetrazione della materia nell’anima (undicesimo grado); di qui comincia l’eliminazione del karman precedentemente accumulato, fino a che si raggiunge il tredicesimo grado e si diventa Tīrthakara (precursori) onniscienti e maestri di verità; il quattordicesimo grado lo raggiunge un Tīrthakara alla sua morte: libera dal corpo, la sua anima raggiunge le altre che si sono salvate, in un cielo superiore a quello in cui risiedono gli dèi. Questa lunga via per la salvezza si compie in una grandissima serie di vite e presenta anche la possibilità di cedimenti al karman, e quindi di un regresso ai gradi inferiori, per cui in ogni ciclo cosmico (computato in bilioni o trilioni di anni) solo 24 persone diventano Tīrthakara o Jina. Il riconoscimento dell’individualità-personalità delle anime impedisce al giainismo di realizzare la piena fuga dalla storia in senso buddhista anche se tendenzialmente persegue questo stesso scopo in quanto il karman, di cui ci si deve liberare, può essere inteso nel senso occidentale di storia. Ma il residuo storico viene in qualche modo eliminato mediante la concezione di un divenire ciclico ripetente schemi rigidi: ogni ciclo si compone di sei fasi discendenti (con peggioramento delle condizioni di vita) e sei ascendenti (con miglioramento graduale), ossia il bene e il male non sono estemporanei o accidentali, ma sono dosati secondo un rigido schema. Comunque, a parte la teoria, la pratica giaina consegue la fuga dalla storia – che possiamo approssimativamente definire una sublimazione del sé dalla storia -, prescrivendo tutta una serie di rinunce e lodando l’inazione assoluta, quella mediante la quale si può giungere al suicidio per inedia.
Jainismo, la condotta: retta conoscenza e tipi di conoscenza
L’essenza della condotta giainica è costituita da tre gemme: tri-ratna “la retta fede”; samma-nana “la retta conoscenza”; samma-cariya “la retta condotta”. Chi vuole giungere alla liberazione finale deve essere in possesso di tutte e tre queste facoltà. Per ciò che concerne la retta fede, il primo contenuto della stessa è credere nel maestro, quale portatore della verità e trionfatore su ogni ostacolo. I jiainisti considerano l’universo eterno, caratterizzato da un alternarsi di due grandi età (periodi cosmici) che si inseguono senza posa: l’Ossapini (quello che scende) e l’Ussapini (quello che sale); la prima è l’età dell’infelicità e della cattiveria, la seconda l’opposto. In ciascuna di queste grandi età vengono al mondo periodicamente oltre a ventiquattro tirthakana (santi perfetti), i dodici cakravantin (monarchi del Bharatavarsa) e ventisette eroi, tre gruppi di nove ciascuno: tutti sessantatre sono chiamati salakapurusa (grandi uomini). Nella dottrina giainica non si contempla un Dio creatore dell’universo, tuttavia in certe sottocorrenti è previsto il culto di alcune divinità mutuate al pantheon brahaminico.
Strettamente connessa alla retta fede è la retta conoscenza, che può essere diretta o indiretta. Si considerano facenti parte della conoscenza indiretta e, perciò stesso, imperfetta in quanto mediata:
- la percezione, o conoscenza attraverso i sensi;
- la conoscenza attraverso il ragionamento.
Appartengono alla conoscenza diretta:
- la conoscenza trascendentale, o conoscenza dei saggi su presente, passato e futuro;
- la conoscenza del pensiero altrui;
- l’onniscienza o conoscenza assoluta, conoscenza propria dei Jina.
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