Anna di Niccolò Ammaniti esce il 29 settembre in libreria. Il nuovo romanzo dell’autore romano giunge dopo una lunga attesa e, secondo Einaudi, sarà il suo “romanzo più struggente”.
La trama di Anna, nuovo libro di Niccolò Ammaniti, ruota attorno alla tredicenne il cui nome dà il titolo al romanzo e alla sua ricerca del fratello minore. La storia è ambientata in Sicilia, ma non nella Sicilia che conosciamo: l’isola si è trasformata in una sterminata rovina, con città in abbandono, macerie, boschi misteriosi, spazi semidesertici e gruppi di sopravvissuti che si aggirano in una landa che la natura sta man mano riconquistando. Una delle frasi che dovrebbe caratterizzare l’evoluzione della protagonista è “la vita non ci appartiene, ci attraversa”.
Il nuovo libro di Ammaniti giunge dopo anni di lavoro da parte dello scrittore ed è ben comprensibile l’attesa cresciuta attorno al testo. Ancora una volta l’autore romano narrerà una vicenda in cui sono coinvolti dei bambini, ma questa volta lo scenario in cui si muoveranno i personaggi sarà del tutto inconsueto.
Anna di Ammaniti sarà pubblicato nella collana Einaudi Stile Libero Big, con un prezzo di copertina di 19 euro (ma lo si può ancora ordinare a prezzo scontato su diverse librerie online. Il volume sarà corposo, 380 pagine, e sarà possibile acquistarlo in eBook al costo di 9,99 euro.
Un estratto dall’incipit del libro
Anna correva sull’autostrada stringendo le cinghie dello zaino che le rimbalzava sulla schiena. Ogni tanto girava la testa.
I cani erano ancora lí. Uno dietro l’altro in fila indiana. Sei, sette. Un paio piú malconci si erano persi per strada, ma quello grosso, davanti, si avvicinava.
Due ore prima li aveva scorti in fondo a un campo bruciato apparire e sparire tra le rocce scure e i tronchi anneriti degli ulivi, ma non ci aveva dato peso.
Le era già capitato di essere seguita da branchi di cani selvatici, ti venivano dietro per un po’, poi si stancavano e se ne andavano per i fatti loro.
Ma quando non li aveva visti piú aveva tirato un sospiro. Si era fermata a bere l’acqua che le restava e aveva ripreso a camminare.
Marciando le piaceva contare. Contava quanti passi ci volevano per fare un chilometro, contava le macchine blu e quelle rosse, contava i cavalcavia.
Poi i cani erano riapparsi.
Erano creature disperate, alla deriva in un mare di cenere. Ne aveva incontrati tanti, con i buchi nel pelo, i grappoli di zecche che gli pendevano dalle orecchie, le costole di fuori. Si sbranavano per i resti di un coniglio. Gli incendi dell’estate avevano bruciato la pianura e c’era rimasto poco o niente da mangiare.
Superò una fila di automobili con i vetri sfondati. Erbacce e grano crescevano intorno alle carcasse coperte da uno strato di cenere.
Lo scirocco aveva spinto le fiamme fino al mare e aveva lasciato dietro di sé un deserto. La striscia di asfalto dell’A29, che univa Palermo a Mazara del Vallo, tagliava in due una distesa morta da cui si sollevavano gli spunzoni anneriti delle palme e qualche pennacchio di fumo. A sinistra, oltre i resti di Castellammare del Golfo, uno spicchio di mare grigio si impastava con il cielo. A destra una fila di colline basse e scure galleggiavano sulla pianura come isole lontane.
La carreggiata era ostruita da un camion rovesciato. Il rimorchio aveva disintegrato lo spartitraffico e lavandini, bidè, gabinetti e schegge di ceramica bianca erano sparsi per decine di metri. La ragazzina ci passò in mezzo.
La caviglia destra le faceva male. Ad Alcamo aveva aperto a pedate la porta di un alimentari.
E pensare che fino ai cani era andato tutto per il verso giusto.
Era partita che era ancora buio. Ogni volta era costretta ad allontanarsi di piú per cercare da mangiare. Prima era facile, bastava andare a Castellammare e trovavi quello che volevi, ma gli incendi avevano complicato tutto. Aveva marciato per tre ore sotto il sole che montava in un cielo slavato e senza nuvole. L’estate era finita da un pezzo, ma il caldo non mollava. Il vento, dopo aver attizzato il fuoco, era sparito come se quella parte di creato non gli interessasse piú.
In un vivaio, accanto a un cratere lasciato da una pompa di benzina esplosa, aveva trovato uno scatolone pieno di cibo sotto dei teloni impolverati.
Nello zaino aveva sei barattoli di fagioli Cirio, quattro di pelati Graziella, una bottiglia di Amaro Lucano, un grosso tubetto di latte condensato Nestlé, un pacco di fette biscottate rotte ma ancora buone da sciogliere nell’acqua e una confezione da mezzo chilo di pancetta sottovuoto. Non aveva resistito, la pancetta se l’era mangiata subito, in silenzio, accovacciata sopra i sacchi di terriccio impilati sul pavimento coperto di escrementi di topo. Era dura come cuoio e cosí salata che le aveva arso la bocca.
Il cane nero guadagnava terreno.
Anna accelerò, il cuore che pompava a ritmo con i passi. Non avrebbe retto tanto. Doveva fermarsi e affrontarli. Se almeno avesse avuto un coltello. Ne portava sempre uno con sé, ma quella mattina lo aveva dimenticato. Era uscita con lo zaino vuoto, una bottiglia d’acqua.
Il sole era a quattro dita dall’orizzonte. Una palla arancione invischiata in una bava viola. Questione di poco e la pianura se lo sarebbe inghiottito. Dall’altra parte la luna era sottile come un’unghia.
Si girò.
Il cane era ancora lí. Gli altri, uno dopo l’altro, avevano mollato, lui no. Nell’ultimo chilometro non si era avvicinato, ma lei correva, lui trotterellava.
Forse stava aspettando il buio per attaccare, però le sembrava improbabile, i cani non ragionano. E in ogni caso lei non avrebbe retto fino al buio. La caviglia le pulsava e il dolore le aveva indurito il polpaccio.
Superò un cartello verde. Cinque chilometri a Castellammare. Per correre dritta seguiva la striscia tratteggiata in mezzo alla strada. Se non fosse stata assordata dal proprio respiro e dai piedi che battevano sull’asfalto avrebbe sentito il silenzio. Non c’era un filo di vento, né uccelli, né grilli, né cicale.
Quando passava accanto a un’automobile la stanchezza le sussurrava di entrarci, ma il cervello le suggeriva di non farlo. Poteva provare a lanciargli le fette biscottate, oppure scavalcare la rete di recinzione, solo che aveva le maglie strette e non aveva visto buchi da cui passare.
Sullo spartitraffico gli oleandri sopravvissuti al fuoco erano carichi di fiori rosa e i rami ricadevano pesanti. Il profumo dolciastro si mischiava a quello di bruciato.
La barriera era alta.
Ma tu sei il canguro, si disse.
A scuola la Pini, l’insegnante di ginnastica, la chiamava il canguro perché saltava piú dei maschi. Ad Anna non piaceva quel soprannome, i canguri hanno le orecchie a sventola. Avrebbe preferito il leopardo, che sa saltare ed è molto piú bello.
Si sfilò lo zaino e lo lanciò oltre le piante. Prese la rincorsa, poggiò un piede sul cordolo di cemento, passò tra i rami e si ritrovò nell’altra corsia.
Raccolse lo zaino e ansimando contò fino a dieci. Sollevò un pugno e sorrise. Aveva un bel sorriso pieno di denti bianchi che raramente mostrava.
Si incamminò zoppicando. Adesso non le restava che superare la rete ed era salva.
Dall’altra parte una scarpata finiva su una stradina che correva parallela all’autostrada. Non era il punto migliore per scavalcare con la caviglia ridotta cosí. Posò lo zaino e si voltò.
Vide il cane sbucare dagli oleandri e galoppare verso di lei.
Non era nero, ma bianco, il mantello era ricoperto di cenere e aveva un orecchio mozzo. Era il cane piú grande che avesse visto in vita sua.
E se non ti muovi ti mangia.
Si aggrappò con le mani alle maglie della recinzione ma le braccia erano paralizzate dalla paura. Si girò e scivolò a terra.
L’animale falcò gli ultimi metri di autostrada e con un balzo superò il guardrail e il canale di scolo. La sagoma scura offuscò la luce del crepuscolo arrivandole addosso con i suoi quaranta chili di fetore rognoso.
Anna sollevò un gomito e lo affondò tra le costole del cane, che si sgonfiò e le stramazzò accanto. Si tirò su.
La bestia era stesa sull’erba. Uno stupore quasi umano gli attraversava le pupille nere come carbone.
Penso che ANNA, quasi sconosciuto ancora, sia un romanzo che ha anticipato il virus attuale e deve essere aggiunto all’elenco che si inizia con La Peste.
Ernesto Ferrero è stato un incontro casuale nella Livraria da Travessa/Botafogo a Rio de Janeiro, anzi una dei pochi dove si può comprare dei libri italiani in nostro paese.